«A real communist in our midst»
La missione si rivela un successo. Per Napolitano soprattutto. Le corrispondenze di Jacoviello su «l’Unità» garantiscono una «copertura» della cronaca quotidiana, proponendone una lettura politica con una prospettiva internazionale. Dieci articoli in due settimane, scritti pensando non solo a Carter e a Berlinguer, ma anche a Breznev.
«Negli ultimi giorni Napolitano è stato a Yale, a New York e a Washington. A Yale, oltre ai numerosi incontri con professori e studenti, il dirigente comunista ha avuto modo di scambiare idee e giudizi, oltre che con il professor Joseph La Palombara, anche con prestigiosi economisti come James Tobin e accreditati studiosi di scienze politiche come Robert A. Dahl»: è l’incipit dell’intervista, rivista e corretta dall’intervistato, con cui Jacoviello cerca di trovare il senso politico delle sue cronache americane. «Al Pci si guarda non solo per il ruolo che esso ha in Italia ma per il posto che occupa nella sinistra europea»: è il passo cruciale che sembra scritto per confortare le strategie di Berlinguer.134
Come ricorda La Palombara, man mano che si sparge la voce che si può ascoltare e vedere un «real communist in our midst»,135 un «comunista in carne e ossa», gli auditori si riempiono e le aule si affollano. Robert Leonardi, all’epoca giovane professore del dipartimento di politica della DePaul University di Chicago, rimanda un’immagine dal vivo di Napolitano negli Stati Uniti: «Lo avevo già conosciuto in Italia qualche anno prima, quando facevo la tesi di dottorato. All’epoca era responsabile della Cultura del Pci e già allora mi aveva colpito per la serietà e la curiosità che manifestava per la cultura americana. Così quando Napolitano venne a Chicago per una serie di incontri, La Palombara mi chiese se ero interessato ad ospitarlo. Gli offrimmo il letto di mio figlio, che venne nel lettone con me e mia moglie».136
A Princeton, racconta Jacoviello il 9 aprile, Napolitano spiega che per i comunisti italiani la realizzazione del socialismo «non richiede il passaggio allo Stato o ad altre forme di proprietà collettive di tutti i mezzi di produzione». Un giovane studente interviene per sottolineare la contraddizione fra gli scritti del giovane Marx e la politica del Pci: «Era Edoardo Agnelli, figlio di Gianni Agnelli». Jacoviello non ha raccontato però che qualche giorno dopo Furio Colombo, presidente di Fiat America, si era fatto vivo con Napolitano per organizzare un incontro proprio con Gianni Agnelli, arrivato negli Stati Uniti, nella sua casa in Park Avenue. Quel lungo incontro è rimasto segreto fino al 23 gennaio 2013, quando lo stesso Napolitano lo ha raccontato, nel decennale della morte del padrone della Fiat, rispondendo alle domande di Ezio Mauro su «la Repubblica»: «Curioso, attento, gentile. E, di certo, uomo di visione internazionale». Napolitano non dice che Agnelli si era impegnato, inutilmente, per organizzare un incontro fra l’ambasciatore dei comunisti e Ted Kennedy. Dimostrando di possedere l’acume di un politologo, Agnelli si era convinto che erano sfalsati a svantaggio del Pci «i tempi della crisi italiana e quelli della maturazione degli Stati Uniti».137
Perciò, da un punto di vista strettamente politico, il viaggio non aveva potuto cambiare il corso della storia americana e nemmeno della cronaca italiana. E falsa era l’aspettativa che, con la presidenza di Jimmy Carter e il via libera ai comunisti, si sarebbe compiuta la politica di apertura inaugurata da John Kennedy nei primi anni Sessanta, quando gli americani non avevano impedito la partecipazione al governo italiano dei socialisti. Trent’anni dopo, Joseph La Palombara osserverà: «Siamo stati anche noi accademici e intellettuali a contribuire a tale confusione. Come il collega Peter Lange – celebre il suo giudizio per cui i comunisti italiani erano “filoamericani” –, eravamo tutti portati a pensare che Carter avrebbe ripreso la strada iniziata da Kennedy».