… e il padrino della cresima

Il riflesso dei destini incrociati fa emergere una figura che si rivela decisiva per Napolitano. Si chiama Gherardo Marone. Costretto a fare l’avvocato per passione antifascista, intellettuale e poeta, amico di poeti e intellettuali, da Ungaretti a Croce, vive fra Buenos Aires e Napoli, cittadino di entrambe, sfuggendo con dignità alla repressione mussoliniana. Lo troviamo a fianco del padre di Napolitano nella difesa di Amendola e Grifone, ma soprattutto nel grande processo politico del 1934 contro i protagonisti della «rivolta contadina» di Monte San Giacomo che aveva infiammato la penisola salentina un anno prima. Il rapporto di amicizia familiare era tanto stretto che Marone, assiduo frequentatore della biblioteca che divide lo studio dalla grande casa in via Monte di Dio al numero 49, era stato scelto come padrino per la cresima di Giorgio. Dieci anni dopo il figlioccio si rivolgerà a lui nella certezza di trovare un alleato nel conflitto in corso con il padre: gli scrive una lettera «quasi filiale», riconoscendogli una funzione paterna, per sciogliere «il travaglio di una scelta politico-morale» che il padre non aveva compreso, anzi, contestava «aspramente».

La lettera, datata 26 febbraio 1945, perduta e ritrovata dopo quasi settant’anni fra le buste dell’epistolario di Marone conservato negli archivi della Biblioteca nazionale di Palazzo Reale a Napoli, consente di entrare in sintonia diretta, senza mediazioni postume, con i turbamenti esistenziali del giovanissimo Napolitano. Lo stile intellettuale è classico. Le preoccupazioni universali. Nel raccontarsi parla non solo di sé, ma di tutta la sua generazione. Vale la pena seguirlo quasi di soppiatto nei passaggi cruciali della sua confessione. Una seduta di auto-analisi. Emerge una demoralizzazione epocale e il desiderio di emigrare all’estero:

Carissimo padrino, nel cominciare questa lettera mi accorgo di scrivere a qualcuno che quasi non mi conosce. […] Tra qualche mese finisco vent’anni, e da oltre tre anni ho cominciato a capire quali siano i miei interessi […]. Dirti che sono ora al terzo anno della facoltà di legge significa dirti molto poco su quelle che sono la mia attività e le mie aspirazioni. […] Ma vorrei ora richiamare la tua attenzione su quello che è stato il clima in cui io, e la mia generazione, ci siamo formati. Noi acquistammo coscienza di noi stessi quando già si era in piena guerra, e sin dal primo giorno vedemmo le nostre possibilità ridotte al minimo, la nostra attività frenata da cento ostacoli. […] Pur non avendo allora alcun interesse per i problemi politici né alcuna preparazione specifica, tuttavia non mi fu difficile giungere alla conclusione […] che la sconfitta, la disfatta completa era l’unico mezzo che ormai ci restava per liberarci dall’oppressione volgare e spietata […]. La sconfitta, la disfatta: questa l’unica salvezza, che ci sarebbe costata – lo sapevamo – sangue, rovine, umiliazioni senza nome. […] Penso che anche a me, forse, farebbe bene muovermi un po’, andare all’estero, lavorare tranquillamente, per un po’ di tempo, fuori di Italia, per poi tornare in patria più pieno di vita, più sicuro di me stesso, ricostituito. (È forse con questa aspirazione che prendo molta cura delle lingue straniere, e soprattutto l’inglese sempre più approfondisco e perfeziono). […] Aspetto una tua lettera al più presto, ti abbraccio forte.24

La presenza di Marone è confermata con tenacia anche quando lo scontro con il padre è superato, e ricordata con partecipazione emotiva ancora decenni dopo, al momento della stesura dell’autobiografia. Per Napolitano fu proprio la definitiva fuga di Marone in Argentina, nel 1939, ad affievolire nel padre le inclinazioni spontanee che condivideva con l’amico verso «l’antifascismo e il liberalismo amendoliano», lasciandolo «più esposto al conformismo generale e anche alle suggestioni del regime».

Quanto il padre fosse lontano dalla cultura di sinistra egemonizzata dal Pci lo racconta lo scritto con cui si schierò, peraltro insieme a grandi intellettuali europei come Albert Camus e Paul Valéry, contro il processo a Robert Brasillach, scrittore e poeta collaborazionista, giustiziato per i suoi crimini nazisti il 6 febbraio 1945. Si può supporre che nell’inconscio di Giorgio Napolitano il ricordo di Marone sia necessario tutte le volte che sente il bisogno di rievocare la figura del padre: «Li rivedo, nella mia memoria, entrambi consapevoli di sé e insieme esigenti verso se stessi, di modi un po’ severi e solenni, di connaturata vigile dignità. Gherardo era certamente per mio padre punto di riferimento vicino e prezioso nel rapporto con la cultura crociana, nell’esercizio dello scrivere poetico e letterario, nel contatto con il mondo delle riviste e dell’editoria. […] Aveva pubblicato due libri di mio padre nella “Libreria della Diana”».25

Giovanni Napolitano era stato un autore prolifico di opere letterarie. Riemergono ancora, nelle librerie antiquarie di Napoli, titoli come La volontà di vivere oppure il più tardo e curiosissimo saggio L’amante di Lady Chatterley o del pudore. Ed era stato anche poeta di sicuro gusto, su quella linea che arriva a Ungaretti partendo da Pascoli. Dagli anni Trenta è riaffiorata anche una poesia dedicata ai figli dopo la nascita del secondogenito Giorgio: «Nella gioia di stringerli,/ ora, eccomi fatto diverso:/ stanco d’aver finito,/ sono pronto a ricominciare,/ pur di vederli giocare/ e portar loro ogni giorno/ con un giocattolo/ una nuova immagine dell’universo».26

L'ultimo comunista: La presa del potere di Giorgio Napolitano
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