«Il mio primo lavoro politico»
Il passaggio al lavoro politico, «il mio primo lavoro politico» nel senso della militanza come professione, porta una data che ricorda un punto di passaggio esemplare nella vita di Napolitano: il 18 luglio 1946. Mentre le ferite politiche di via Medina non possono ancora dirsi risanate, il giovane leader degli studenti universitari, cresimato dalla sua partecipazione alla difesa militare della sede del Pci a Napoli, viene cooptato come vicesegretario nel Ceim, il Centro economico italiano per il Mezzogiorno.47 Non si tratta però di un impiego subalterno. Anzi.
Nell’idea di Amendola e di Sereni, il Ceim sarebbe dovuto diventare il luogo deputato all’elaborazione di un progetto per il Mezzogiorno che non fosse plasmato solo dal comunismo ma anche da quella cultura industriale di impronta illuminista che all’inizio del secolo si era già confrontata con lo sviluppo industriale di Napoli. Napolitano ricorda «il bagno di concretezza», l’impegno «altamente istruttivo» nato da quel confronto diretto con la cultura del capitalismo industriale proprio quando era necessario mettere le fondamenta della ricostruzione. Non c’era nemmeno bisogno di scomodare Marx, perché l’elaborazione di Togliatti e le indicazioni del V congresso sul «Pci partito di governo» ribadivano la necessità di costruire nuove alleanze con tutte le forze progressive della società realmente preoccupate della rinascita economica, anche quando rappresentavano il «nemico di classe». Anzi, era proprio questa la sfida culturale lanciata al capitalismo italiano. I comunisti riuscivano ad accettare che alla presidenza del Ceim ci fosse Giuseppe Paratore, già ministro dell’Economia del governo Facta (l’ultimo prima di Mussolini) e nuovo presidente dell’Iri, e a tollerare senza alcun malessere ideologico il coinvolgimento di Giuseppe Cenzato, che durante il fascismo aveva ricoperto un ruolo di primo piano nella Società meridionale di elettricità (Sme).
«Insomma, il Pci, specie nell’approccio dei suoi dirigenti meridionali, non si lasciava irretire in pregiudiziali ideologiche e di classe.»48 In questo commento che Napolitano lascia nella sua autobiografia si può leggere l’ironia amara di chi pensa di poter regolare una partita ancora in sospeso, cioè di riuscire in ultima analisi a tramandare una percezione diversa della storia dei gruppi dirigenti del comunismo italiano dopo Togliatti.
Il 1946 è un anno anfibio per Napoli. In estate è ancora sindaco Gennaro Fermariello, un comunista. Ma le elezioni comunali del 10 novembre 1946 danno sostanza al voto ideologico contro la repubblica portando un monarchico al governo della città; insieme al Fronte dell’uomo qualunque, fondato nel 1944 da Guglielmo Giannini. Il Pci di Togliatti, consacrato proprio all’inizio del 1946, è stato pur sempre pensato e inventato nello scenario politico della Napoli comunista, che niente può di fronte alle dure risposte populiste e qualunquiste della democrazia pluralista.
La storia non ha mostrato la minima benevolenza per il futuro del Ceim, che sopravvive alla crisi del 1947 (quando, a dispetto delle aspettative dei comunisti, De Gasperi esclude Pci e Psi dal suo terzo governo), ma non riuscirà più a svolgere alcuna funzione di mediazione e confronto fra le istituzioni dei lavoratori e degli imprenditori quando la campagna per le elezioni del 18 aprile 1948 riporta la contraddizione fra lavoro e capitale al centro dello scontro politico.
Per la teoria marxista è la contraddizione principale. Per il Pci, sospinto ai margini della legittimità nazionale, un dilemma politico. Per il ministro dell’Interno un problema di ordine pubblico. Per il Meridione d’Italia un dramma sociale: gli esiti tragici delle lotte contadine nel dopoguerra (gli undici morti della strage di Portella della Ginestra sono del 1° maggio 1947) lasciano ferite laceranti nel tessuto ideologico del partito. La sconfitta elettorale del 1948 risveglia antiche e nuove suggestioni bolsceviche. E quando Antonio Pallante spara a Togliatti il 14 luglio ferendolo alla nuca e alla schiena sembra a molti che sia di nuovo scoccata l’ora della rivoluzione.49
Ricordando quei giorni, Napolitano attribuisce a Giorgio Amendola il merito di aver seguito la raccomandazione di Togliatti a non «perdere la testa».50 Ma leggendo gli archivi del ministero dell’Interno, la cronaca dei disordini, degli arresti, delle rivolte e della repressione anticomunista voluta da Mario Scelba, si scopre che anche a Napoli si era radicato un clima da guerra civile.51 Sono gli anni dei finanziamenti americani all’Italia attraverso il Piano Marshall. Sono gli anni in cui si prepara la riforma agraria voluta dalla Dc. Sono gli anni in cui nasce la Cassa per il Mezzogiorno. Per Napolitano sono gli anni in cui si completa la sua formazione dentro il partito napoletano, punto di partenza di tutta la sua carriera politica nazionale.
Chiamato da Salvatore Cacciapuoti, che ne aveva potuto misurare efficienza e affidabilità nei mesi del Ceim, Napolitano viene assunto in pianta stabile dalla federazione napoletana nel 1950. Dietro c’è il disegno di Amendola di cooptarlo nel gruppo dirigente nazionale del partito, che subito gli prospetta una possibile candidatura in parlamento. Non deve essere stata una scelta improvvisa, nemmeno inattesa, come ricorda Napolitano.52 E neppure prematura, anche se mancano ancora tre anni alle elezioni politiche. C’è un documento negli archivi del Pci che dimostra quanto Amendola contasse su Napolitano. Come responsabile della commissione per il lavoro di massa, Napolitano ha chiesto la rimozione del «compagno Marmorosa»53 che presiede la commissione agraria. Spedita da Amendola, la requisitoria di Napolitano arriva sul tavolo del vicesegretario Pietro Secchia. Che gli risponde: il compagno Marmorosa, sulla base dell’accusa di «deficienza di iniziativa e di mordente», cioè di non aver applicato con entusiasmo la linea riformista di Amendola, può essere licenziato all’istante. Un appunto anonimo suggerisce di corrispondergli ancora tre mesi di stipendio.
Qualche mese dopo, siamo già nel 1951, troviamo Amendola nello studio di Giovanni Napolitano, l’avvocato che lo aveva difeso davanti ai tribunali fascisti, per chiedergli di convincere suo figlio Giorgio a lasciare Napoli per diventare segretario della federazione di Caserta.54 Passaggio obbligato per l’elezione alla Camera nel 1953. L’operazione riesce: e così, fra i voti di preferenza che consentono al comunista Napolitano di entrare a Montecitorio, c’è anche quello di un liberale: suo padre.
30 Sulle vicende del cambiamento del nome si veda Renzo Martinelli, Storia del Partito comunista. Il Partito nuovo, dalla Liberazione al 18 aprile, Einaudi, Torino 1995, p. 37.
31 Si veda Chiara Daniele (a cura di), Togliatti, editore di Gramsci, con un’introduzione di Giuseppe Vacca, Carocci, Roma 2005; Giuseppe Vacca, Vita e pensieri di Antonio Gramsci 1926-1937, Einaudi, Torino 2012, pp. 323-59.
32 Palmiro Togliatti, Quinto congresso, «Rinascita», n. 12, 1945.
33 Pietro Nenni, Tempo di guerra fredda. Diari 1943-1956, Sugarco, Milano 1981, p. 162.
34 La definizione è di Paolo Spriano, Le passioni di un decennio, Garzanti, Milano 1986, p. 76.
35 Sibilla Aleramo, Diario di una donna. Inediti 1945-1960, Feltrinelli, Milano 1978, p. 73.
36 Le indicazioni dei verbali di polizia si trovano presso l’Archivio centrale dello Stato (d’ora in poi Acs), Ministero dell’Interno, Direzione generale di Pubblica sicurezza, Ager K 18, Partito comunista, busta 37-38, fasc. 2/1. Il rapporto della questura segnala al governo di De Gasperi che, per garantire la sicurezza del congresso, la polizia ha preso accordi con l’apparato del Pci, «al fine della miglior tutela dell’ordine pubblico», tramite Walter Audisio, il fucilatore di Mussolini. Il rapporto della questura è citato anche da Pietro Di Loreto, Togliatti e la doppiezza. Il Pci tra democrazia e insurrezione, 1944-1949, il Mulino, Bologna 1991, pp. 61-63, con diversa segnatura archivistica: Acs, Ministero dell’Interno, Gab., P.P. f. 161/P10/12, b. 23 (Pci. Congressi nazionali ed esteri).
37 Marcello Flores, Sul Pci: un’interpretazione storica, il Mulino, Bologna 1992. Fra i testi di riferimento, Giuseppe Vacca, Saggio su Togliatti, De Donato, Bari 1974, pp. 263-91.
38 Italo De Feo, Diario politico 1943-1949, Rusconi, Milano 1973, pp. 242-45.
39 Un aneddoto utile per capire il rapporto tra Stalin e Togliatti è riferito da Vittorio Gorresio, I carissimi nemici, Longanesi, Milano 1949, p. 11: «Si racconta che a Mosca, quando Stalin decise di spedire in Italia un comunista italiano dopo lo sbarco degli americani e dei britannici nel nostro paese, si era incerti fra Togliatti e Grieco. […] La decisione fu riservata a Stalin e costui ordinò che si facesse un esame ai candidati concorrenti. […] Il tema era : “Esponga il candidato che cosa si propone di fare una volta arrivato in Italia”. Togliatti scrisse nello svolgimento che avrebbe prima trattato con la monarchia per abbatterla poi; e Grieco scrisse invece che per prima cosa avrebbe abbattuto la monarchia. Esaminati i due componimenti, Stalin diede nove a Togliatti e cinque a Grieco, mandò Togliatti in Italia e tenne di riserva Grieco per qualche mese». L’aneddoto non è vero, ma l’apologo immaginato da Gorresio racconta qualcosa di più profondo sul ruolo di Togliatti in Italia che la piatta verità dei fatti.
40 Sulla «democrazia progressiva» si veda Paolo Spriano, Storia del Partito comunista italiano, vol. V, La Resistenza, Togliatti e il partito nuovo, Einaudi, Torino 1975, p. 405, e Aldo Agosti, Togliatti. Un uomo di frontiera, Utet, Torino 1996, pp. 287-89.
41 Si veda Roberto Gualtieri, Carlo Spagnolo, Ermanno Taviani (a cura di), Togliatti nel suo tempo, Carocci, Roma 2007. È importante anche la testimonianza di Maurizio Ferrara, Dagli appunti di lavoro del direttore di «Rinascita», in «Rinascita», n. 27, 1974, pp. 18-19.
42 Per Luigi Longo fu usata, naturalmente, Bella ciao.
43 Sulla delusione di Togliatti per le elezioni del 1946 (il Pci è il terzo partito mentre pensava di essere il secondo) si veda Luciano Barca, Cronache dall’interno del vertice del Pci, Rubbettino, Soveria Mannelli 2005, vol. 1, p. 22.
44 Con una lettera di denuncia anonima, pubblicata dal quotidiano «Italia nuova» il 22 giugno 1946 con il titolo Il responsabile è… Amendola, un gruppo di poliziotti individua nel dirigente comunista chi ha dato l’ordine di aprire il fuoco. Il prefetto Ventura teme un colpo di Stato che unisca il separatismo siciliano e il sentimento monarchico napoletano sotto un’unica bandiera, portando alla frattura lo Stato unitario. In Acs, Ministero dell’Interno, Direzione generale di Pubblica sicurezza, Affari riservati 1944-1946, busta 160, fasc. Napoli, incidenti. La versione comunista in Salvatore Cacciapuoti, Storia di un operaio napoletano, Editori Riuniti, Roma 1972, pp. 135-40; Aldo De Jaco, Napoli, monarchia «milionaria» repubblicana, Newton Compton, Roma 1982, p. 238. Si veda Giorgio Napolitano, Dal Pci al socialismo europeo. Un’autobiografia politica, Laterza, Roma-Bari 2005, p. 19. Al funerale di Giorgio Amendola, il 7 giugno 1980, Napolitano porterà la bandiera rossa di via Medina. Si veda Paolo Franchi, Giorgio Napolitano. La traversata da Botteghe oscure al Quirinale, Rizzoli, Milano 2013, p. 271.
45 G. Napolitano, Dal Pci al socialismo europeo cit., p. 18. Probabilmente Giorgio Napolitano alla cena non c’era, ma ricalca la versione moderata di Mario Palermo, Memorie di un comunista napoletano, Guanda, Parma 1975, pp. 339-46.
46 Gaetano Macchiaroli racconta la vicenda in Un’esperienza popolare del dopoguerra per la salvezza dei bambini di Napoli, Napoli 1979. Altra testimonianza in Giulia Buffardi, Quel treno lungo lungo: il comitato per la salvezza dei bambini di Napoli 1946-19447, Dante & Descartes, Napoli 2010. Fra i fondatori del comitato figura anche Francesca Spada, la protagonista infelice di Mistero napoletano di Ermanno Rea.
47 Il Ceim fu un «rassemblement di prim’ordine», come scrive Giuseppe Galasso nell’introduzione a Giuseppe Russo, L’avvenire industriale di Napoli negli scritti del primo ’900, Guida, Napoli 2004 [prima edizione 1963]. Affiancano Russo, che ne è segretario, Manlio Rossi Doria, Giorgio Amendola, Giorgio Napolitano, Cesare Foà, Giovanni Porzio, Stefano Brun, Giuseppe Cenzato e, in qualità di presidente, Giuseppe Paratore. Si veda anche Francesco Barbagallo, Il Pci, i ceti medi e la democrazia nel mezzogiorno (1943-1947), in «Studi storici», n. 3, 1985, pp. 523-44.
48 G. Napolitano, Dal Pci al socialismo europeo cit., p. 21.
49 Sull’attentato a Togliatti si vedano Giovanni Gozzini, Hanno sparato a Togliatti, il Saggiatore, Milano 1998; Aldo Agosti, Togliatti. Un uomo di frontiera, Utet, Torino 1996, pp. 359-64.
50 G. Napolitano, Dal Pci al socialismo europeo cit., p. 35.
51 Sui disordini a Napoli si veda Acs, Ministero dell’Interno, Direzione generale di Pubblica sicurezza, Divisione affari generali, 1950, Attività del Pci, Napoli.
52 G. Napolitano, Dal Pci al socialismo europeo cit., p. 36.
53 Il «compagno Marmorosa» (citato solo con il cognome) era stato segretario della federazione di Potenza. Tutta la documentazione si trova in Archivio del Partito comunista (d’ora in poi Apc), 1950, Napoli, Mf 0328. La relazione di Napolitano è nel foglio 0442.
54 La conversazione tra Amendola e Giovanni Napolitano è in G. Napolitano, Dal Pci al socialismo europeo cit., p. 16. Appena arrivato a Caserta, Napolitano scrive a Roma per chiedere al partito i soldi per una nuova macchina con cui sostituire la vecchia Balilla, che si è rivelata un incauto acquisto. Per risposta ottiene un netto rifiuto. Apc, Caserta, Mf 0339-Foglio 1932.