Rottamare «il Migliore»
Il 5 febbraio 1964 Togliatti scrive a Luigi Longo, vicesegretario e uno dei massimi dirigenti del partito, per comunicargli che ha deciso di abbandonare la segreteria per un problema di salute. Cita il poeta latino Terenzio («senectus ipsa morbus») per spiegare nei dettagli i rischi insiti nella «proliferazione epiteliale alla vescica», insomma un cancro, seppure ancora benigno. Terrebbe la direzione di «Rinascita» e il governo della direzione del partito. La decisione deve rimanere segreta. All’interno si concede che ne sia informato l’intero vertice. Non si tratta di finte dimissioni. Il temperamento leninista di Togliatti ne tradisce l’uso strategico, come un’arma per vincere. E infatti la lettera a Longo trova giustificazione pratica e ragione politica come reazione a un conflitto interno al partito, ma anche come risposta alle tensioni internazionali con i russi.85
Lo scontro politico si apre a Napoli alla V conferenza di organizzazione, fra il 12 e il 15 marzo 1964, sotto la responsabilità di Napolitano. Quasi un congresso. Forse di più, poiché l’«organizzazione» è la fonte prima del potere leninista. Infatti il rimescolio è vistoso. Perde terreno Amendola, salgono Alicata (a «l’Unità») e Macaluso (al posto di Amendola), che arrivano in segreteria; meno vistosamente sale un po’ anche Berlinguer e debuttano in direzione in quattro, fra cui Reichlin e Lama. Al vertice Longo è stabile e Natta pure.
Sulla prima pagina de «l’Unità», il giorno dell’inizio dei lavori al Teatro Mediterraneo, il saluto di Napolitano è citato nel catenaccio del titolo di prima pagina. Dal trionfalismo di rigore delle cronache sul quotidiano del partito, firmate da Miriam Mafai, è difficile ricostruire la sostanza dei fatti, ma se si legge la lettera operativa con le «indicazioni di lavoro» di Napolitano, scritta in puro burocratese comunista, che ci risparmiamo, i temi del conflitto emergono già prima dell’inizio dei lavori.86
Dai verbali della direzione del successivo 19 aprile invece si scopre che sotto accusa è proprio il leninismo di Togliatti. Non solo: molte scelte del segretario vengono criticate e il ruolo egemone della segreteria viene messo sotto accusa, soprattutto la «tendenza negativa […] all’azione empirico-pratica» (cioè il decisionismo) e la frattura fra vertice e federazioni che si sentono scavalcate nelle decisioni, come fa capire senza dire anche Napolitano. Togliatti si addossa qualche colpa: riconosce un’esagerata enfasi, un eccesso di «pessimismo» nella rappresentazione della sua malattia. La riconferma automatica alla segreteria non dissolve le domande postume sulla compattezza del gruppo dirigente nei primi anni Sessanta, illuminando la persistenza del conflitto interno, che arriva a mettere in discussione l’aura sacrale del ruolo di segretario.87
Sostituire Togliatti? Congettura improbabile, ma non impossibile. Nel 1951 Stalin c’era quasi riuscito, con la partecipazione dell’intero partito. L’ipotesi, da allora, è stata considerata come una diceria, una leggenda politica da mettere in nota nei libri di storia. Invece è probabile che Togliatti avesse perfetta cognizione di causa della possibilità di essere messo da parte. Soprattutto dopo il 1956. E infatti all’interno del Pci le voci su imminenti dimissioni si diffondono già nel 1957. Questa volta il complotto sarebbe tutto italiano, forse sotto il controllo politico dello stesso Togliatti, quasi volesse procedere alla creazione di un delfinato da usare per gestire gli equilibri interni del partito.
Il racconto che emerge dalle carte della Questura di Napoli, in un lungo rapporto datato al 15 novembre 1957, è troppo dettagliato e ben contestualizzato per essere inventato di sana pianta: «In seno alla direzione del partito si sarebbe creata una certa tensione, dovuta al fatto che l’on. Giorgio Amendola avrebbe chiaramente fatto intendere di ambire alla nomina di segretario generale del partito, con il proposito di sostituire l’on. Togliatti, al quale verrebbe affidata, invece, la sola formale presidenza del partito». Il rapporto del poliziotto si dilunga sullo scontro interno che ne sarebbe nato, con Pajetta tutto di traverso per impedire all’ipotesi di una segreteria Amendola di affermarsi senza contrasti. Che Napolitano abbia davvero dimenticato o sottovalutato l’episodio nella sua ricostruzione autobiografica? La sua reticenza è curiosa. Secondo l’informativa della questura, infatti, l’operazione coinvolgeva tutto il gruppo amendoliano: «Dal canto suo l’on. Amendola, a mezzo dei suoi sostenitori, svolgerebbe presso le varie federazioni dell’Italia centro-meridionale una particolare attività di penetrazione, al fine di potenziare la sua candidatura».88
Già: Napolitano non poteva non sapere. Due mesi prima, nel settembre del 1957, era intervenuto al comitato centrale su una relazione di Giorgio Amendola che invocava la «maggioranza di sinistra», ossia l’alleanza con il Psi, per contrastare il sistema di potere democristiano. Nel suo breve discorso, era riuscito a trovare tutte le giuste corrispondenze con la relazione di Amendola, in particolare in merito alla crisi con il Partito socialista: «Alla polemica con il Psi deve corrispondere una parallela concreta iniziativa unitaria. L’esigenza unitaria rimane un fondamento della nostra politica».89