Alla scuola di Amendola e Sereni
Napolitano sembra aver intuito con immediatezza i principi su cui sarà radicata la nuova prassi politica, ancora tutta da inventare. L’università, forte dell’esperienza che gli viene dai Guf, sarà il suo primo territorio di formazione militante, che culmina nella primavera con le elezioni per i consigli studenteschi di facoltà: si guadagna prima un posto da delegato per Napoli al congresso nazionale universitario che si tiene a Roma dal 12 al 20 maggio 1946, poi la designazione fra i membri della delegazione che rappresenterà l’Italia al congresso studentesco mondiale che si svolgerà a Praga pochi mesi dopo, in agosto.
Un impegno di primo piano per i giovani universitari comunisti, che il «partito nuovo» segue con un’attenzione tutta speciale proprio perché rappresentano quel punto di contatto con la borghesia intellettuale su cui Togliatti punta per nazionalizzare il Pci e fornire un ricambio per la nuova leva di militanti e dirigenti politici.
Una fotografia poco nota mostra un Napolitano giovanissimo incravattato e compreso nel suo ruolo insieme a un altrettanto attento e giovane Giovanni Berlinguer: mutria sarda e sussiego napoletano tramandano la cronaca viva di una stagione politica aurorale. Tempi febbrili in cui le macerie del passato non riescono a nascondere i segnali del futuro, per quanti hanno desiderio di vederli. E sono tanti. Per Napolitano si materializzano in due figure del comunismo italiano la cui storia affonda nel mito del passato – dalla clandestinità alla prigione e all’esilio – che nel presente le sostiene ai vertici del potere politico del nuovo Pci: Emilio Sereni e Giorgio Amendola. Erano diventati comunisti quasi insieme. Insieme erano stati arrestati. Insieme si erano ritrovati esuli a Parigi. Poi le loro strade si erano divise. Quando Togliatti era arrivato inaspettato a Napoli, Amendola teneva le fila dei Gap, i Gruppi di azione patriottica che guidavano in clandestinità la Resistenza contro i nazisti a Roma. Sereni era prigioniero delle SS in qualche «braccio della morte» delle Carceri nuove di Torino, da cui non sarebbe scampato se non fosse stato liberato con un colpo di mano della moglie e dei suoi amici. Aveva potuto così partecipare alla liberazione del paese, riprendere il suo posto nel partito (sebbene nel 1937 avesse rischiato di finire travolto dal terrore staliniano), farsi eleggere nel comitato centrale del Pci al V congresso e infine rientrare a Napoli. Di famiglia ebraica romana con grandi tradizioni culturali e profonde radici religiose, si era trasferito a Portici nel 1924, dopo la licenza liceale, per studiare all’Istituto superiore di agraria con la precisa intenzione di acquisire alte competenze specialistiche prima di trasferirsi insieme al fratello in Palestina. Lo studio però lo aveva portato ben presto ad abbracciare il comunismo e a rinunciare al sionismo.
Giorgio Amendola era finito a Roma nel febbraio del 1946 come sottosegretario di De Gasperi e responsabile per il Mezzogiorno, un ruolo strategico nel progetto togliattiano di radicare nel Sud sanfedista e lazzarone, monarchico e sottoproletario, il nuovo comunismo italiano. In luglio Amendola, insieme a Sereni, si farà promotore del Ceim, il Centro economico italiano per il Mezzogiorno.
A dispetto della sua straordinaria intelligenza e dell’incommensurabile vastità della sua cultura, nella vulgata interna del Pci Emilio Sereni è ricordato come il più ottuso degli stalinisti italiani. L’incontro con Napolitano è inevitabile, già scritto nel destino di due borghesi che si sono fatti comunisti per realizzare un ideale che va al di là del comunismo stesso. «Prese a curarmi» ricorda il neofita. Chissà cosa ne sarebbe stato del destino del futuro capo dei miglioristi, un destro per definizione, se la collaborazione politica con Sereni fosse durata nel tempo. Invece si interrompe molto presto.
Nel nuovo governo De Gasperi, il primo istituzionalmente repubblicano nella storia dell’Italia unita, insieme a Mauro Scoccimarro alle Finanze e a Fausto Gullo alla Giustizia, per i comunisti ci sarà anche Sereni, ministro per l’Assistenza postbellica: un ministero di emergenza, di primaria importanza nella speciale contingenza che affronta l’Italia. Sereni pensa di farsi aiutare nell’impresa proprio da Napolitano, proponendogli di seguirlo a Roma come suo segretario particolare.
Sotto l’influsso intellettuale di Sereni, Napolitano aveva già deciso di cambiare il piano dei suoi studi, in senso marxiano si intende, dimenticando persino le sue originarie inclinazioni letterarie. Aveva orientato il suo impegno universitario verso i temi dell’economia politica e quello nel partito verso i problemi della ricostruzione economica del paese. Ma solo fino a un certo punto. Con un filo di malizia ricorda quanto gli fosse apparso «insostenibile» il suggerimento di Sereni che lo spingeva, partendo dalla lettura dell’ultimo capitolo del primo libro del Capitale, a scrivere una tesi sull’«accumulazione originaria» nell’Italia del Sud. Sceglie invece di laurearsi in giurisprudenza, trovando così modo di soddisfare le aspettative familiari, seppure con una tesi in economia dedicata alla «legge speciale per Napoli del 1904», la famosa legge Nitti da cui sarebbe poi nato il polo industriale di Bagnoli, per cercare di spiegare il «mancato sviluppo industriale del Mezzogiorno dopo l’unità», ottemperando così alle aspettative del partito. Che in qualche modo deve aver apprezzato la scelta di non seguire Sereni a Roma. Perché a Napoli la nottata non è ancora passata!