La calma dinanzi all’Apocalisse

D’accordo con i sovietici, Togliatti vuole formare un governo di unità nazionale per intensificare la guerra contro i nazisti e i fascisti di Salò. Altro che marciare verso Brindisi per fucilare il re e proclamare la repubblica, seguendo le parole d’ordine degli estremisti di Montesanto! Togliatti prepara il partito a entrare nel governo del maresciallo Badoglio. Succede tutto molto in fretta. Il suo discorso dell’11 aprile 1944 al cinema Modernissimo di Napoli – il famoso discorso della «svolta di Salerno», dal nome della città dove il governo, del quale farà parte anche il Pci, si è trasferito da Brindisi – ha cambiato non solo il Pci ma anche tutta la storia politica ventura dell’Italia, i cui riflessi si percepiscono ancora oggi.

Due uomini nuovi del Pci, Renzo Lapiccirella e Massimo Caprara, giovanissimi, sono immediatamente spinti in prima fila proprio da Togliatti, che li esamina entrambi per scegliere fra loro il suo segretario particolare. Sceglie Caprara, preferendo un figlio della borghesia manageriale al figlio dell’umile barbiere, diventato medico e già dotato di un personale carisma politico nei quartieri della Napoli più popolare in cui il basso ceto medio si confonde con il sottoproletariato.17

Per Napolitano sono invece giorni di delusione profonda e sottile disincanto. Sa che non diventerà mai avvocato, nonostante continui a studiare giurisprudenza. Ha trovato il suo primo lavoro presso la Croce rossa americana, che a Capri ha allestito un campo di riposo per aviatori, il Rest Camp dove già lavora la madre Carolina. Si dedica allo studio accanito della lingua inglese, prendendo lezioni da Maria Miradois, tedesca poliglotta ma caprese d’adozione. Unica consolazione dello spirito è la frequentazione di Curzio Malaparte, che dispensa racconti di mondi lontani e cronache inedite di storie inarrivabili. Il giovane Napolitano ha persino firmato, pur sapendo che non se ne farà un bel niente, per partire volontario con il corpo di spedizione che lo scrittore va arruolando nei bar di Capri, con l’intenzione di andare a combattere contro i tedeschi in prima linea.

Nel fitto intreccio di riverberi fra passato e presente è ormai impossibile capire cosa vedesse Napolitano in Malaparte. Sicuramente aveva già potuto apprezzare le sue corrispondenze dal fronte russo pubblicate su «Prospettive» nel 1942, nelle quali si trovano parole di esplicita simpatia non solo per il popolo russo ma anche per il potere sovietico e i soldati dell’Armata rossa. E forse Napolitano scorgeva negli sfrontati funambolismi ideali di Malaparte una strada originale per diventare comunisti dopo essere stati fascisti. Certo non doveva essere facile per lui percepire, dietro il superficiale chiacchiericcio, la natura apocalittica dei fantasmi che la cronaca forniva all’immaginazione letteraria dell’altro. Malaparte, invece, sembrava aver capito già tutto di Napolitano. Con poche e significanti parole aveva saputo cogliere i tratti fondamentali del carattere del giovane spilungone che lo seguiva dappertutto. Sulla copia fresca di stampa di Kaputt, il suo romanzo pubblicato dal libraio Gaspare Casella, aveva tracciato un’immagine che ancora tramanda il realismo di un’istantanea: «A Giorgio Napolitano, che non perde mai la calma nemmeno dinanzi all’Apocalisse». Dopo il primo incontro, avvenuto il 27 febbraio, Napolitano va a cercare quasi ogni giorno Malaparte al bar dell’Hotel Quisisana da dove, sullo sfondo di uno dei percorsi più abbacinanti del paesaggio mediterraneo, passando dalla Terrazza di Tragara si arriva, oltre i Faraglioni, ai piedi di Capo Masullo per salire i gradini di villa Malaparte, l’astratta polena protesa sul mare costruita dall’architetto razionalista Adalberto Libera.18 Il pavimento è disegnato da Alberto Savinio. Una scultura di Pericle Fazzini, un imponente bassorilievo, fa da quinta nel grande salone dabbasso. Il camino, su un fondale di cristallo, racchiude in un’unica cornice, dietro le fiamme, la vista simultanea del Monacone e dei Faraglioni. Quanta luce, quanto cielo, quanto mare! Due mesi dopo sarà Palmiro Togliatti a provare lo stesso stordimento. Lui non sa niente di Napolitano. E Napolitano di Togliatti non deve sapere ancora molto. Il racconto di Malaparte lascia il segno nella sua autobiografia.

Il 10 aprile Togliatti è a Capri per preparare il discorso che deve tenere, proprio il giorno dopo, al Modernissimo: il discorso della «svolta di Salerno». In platea ci sarà anche Benedetto Croce. Per l’occasione è stato ordinato al sarto Carrà un doppiopetto blu. Non arriverà in tempo. A Capri ha indosso ancora quello grigio, liso e consunto, pieno di macchie, che sarà lavato in extremis prima di entrare in teatro. Con la scusa di fare una passeggiata, Togliatti segue il gruppo di comunisti guidato da Reale, di cui fanno parte Maurizio Valenzi e Massimo Caprara, e probabilmente anche Velio Spano e Salvatore Cacciapuoti, fino alla scalinata di Capo Masullo dove li aspetta Curzio Malaparte. Piove, ma lo spettacolo è indimenticabile. E la scena con i Faraglioni e il Monacone sullo sfondo, campiti sul fondale di cristallo del camino, è all’altezza dello spettacolo interpretato dal primattore. Lo scrittore sciorina con sublime naturalezza il suo repertorio migliore. Racconta del disegno della villa vista dall’alto, che ha voluto in forma di falce e martello; ricorda Lenin nascosto a Capri, vittima di un finto arresto perpetrato per scherzo dagli esuli socialdemocratici; sostiene che anche «il compagno Koba», cioè Stalin, scampato alla deportazione a Vologda, si era rifugiato a Capri, ospite della «scuola per operai socialdemocratici» dove aveva insegnato Maksim Gorkij; si dilunga sulla baronessa Jenny von Westphalen, «Jenny la rossa», di nobiltà imperiale, moglie di Karl Marx; si vanta di aver introdotto Stendhal in Italia… E, gran finale, chiede l’iscrizione al Pci. Ottiene invece di scrivere per «l’Unità», inviato al seguito degli angloamericani per raccontare la liberazione dell’Italia dai nazisti. A Togliatti sembra l’idea giusta per togliere al Pci la patina settaria e bolscevica affidando alla cultura ciò che la politica non gli consente di fare. A Malaparte sembra di aver trovato il giusto lasciapassare per entrare indenne nella nuova Italia, nascosto dietro uno pseudonimo maledettamente toscano: Gianni Strozzi.

Non funziona, però. Lo scrittore è troppo appariscente per passare inosservato. Nella corrispondenza La lezione di Firenze su «l’Unità» del 23 agosto, mentre ancora i cecchini fascisti sparano sui partigiani, ne riconosce lo stile e l’intelligenza Mario Alicata, che in quel momento si trova a Roma per ordine del partito a fare l’assessore alla nettezza urbana della città appena liberata. Ne nasce un caso politico, quasi una rivolta del Pci romano, culminata in un’infuocata assemblea contro Malaparte, considerato indegno di scrivere sul giornale fondato da Antonio Gramsci.19 Nella fase di gestazione del «partito nuovo» è ancora consentito contrastare le scelte del vertice politico senza incorrere nella damnatio togliattiana. Anzi: Malaparte, bocciato, sarà costretto a rinunciare e la firma di Strozzi scomparirà con la stessa velocità con cui era apparsa, mentre Alicata sarà promosso e chiamato da Togliatti a dirigere il quotidiano «La Voce» a Napoli. Nella prossemica del potere, un salto verso l’alto nelle gerarchie comuniste sul finire del 1944.

L'ultimo comunista: La presa del potere di Giorgio Napolitano
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