«Suicidio o pipì?»

Siamo nell’ottobre del 1961. Di preciso il 17, quando Nikita Krusciov si scaglia contro i complici di Stalin, compreso il generale Voroshilov, «licenziato» in diretta mentre presiede l’assemblea. Quando, finita la requisitoria, il generale si alza e sparisce dietro le quinte, Luciano Barca, seduto nelle prime file, chiede alla Iotti: «Suicidio o pipì?». Voroshilov rientra presto e riprende il suo posto, in attesa di uscire dalla scena politica per sempre.97

Togliatti è molto contrariato, come ricorda Barca, che gli sta accanto. Impone al corrispondente de «l’Unità», Giuseppe Boffa, di censurare l’attacco politico. Il 10 novembre, in Italia, il suo umore è ancora più nero per il clima di febbrile attesa con cui si apre il comitato centrale. Togliatti deve spiegare cosa il Pci debba pensare del congresso sovietico. Il titolo scelto per la relazione di apertura funziona già come una denuncia delle voci critiche: «Avanti verso il comunismo, liberandosi delle scorie del passato». Ma non serve. Il fronte dei rinnovatori non può essere più sbaragliato, si è già organizzato. La regia degli interventi è affidata a Cacciapuoti, che tiene bordone al gruppo amendoliano. C’è un primo colpo di scena: Paolo Robotti racconta di aver sopportato la feroce tortura della polizia di Berija, ministro dell’Interno e capo della polizia segreta sovietica, e di Stalin dopo il rifiuto di denunciare Togliatti, suo cognato. Ma non basta. Dopo Terracini, l’attacco al segretario comincia con l’intervento di Alicata. La critica si diffonde, diventa dissenso: Chiaromonte, Natoli e persino Trombadori.

Con l’intervento di Amendola, il dissenso critico si struttura secondo un crescendo inquisitorio, nel tono e nell’enfasi. Chiede democrazia interna. Attacca l’unanimità come una pratica stalinista. La diversità delle opinioni non è solo un diritto, ma soprattutto un dovere. E lancia l’accusa d’inadeguatezza politica della guida del Pci dopo il congresso del 1956: «Non si è fatto in questi anni tutto quello che si poteva fare e andava fatto per adeguarci ai compiti nuovi». Mai nella storia del partito una fazione comunista aveva osato dare battaglia a viso aperto contro la segreteria. Dopo Ingrao che, con intento polemico, parla solo per otto minuti, come da regolamento, e dopo Pajetta che invece parla per un’ora come Amendola (un’infrazione consentita solo alla ristretta élite del partito nuovo), Cacciapuoti ha previsto, con sospetta sapienza, che al quattordicesimo posto la parola tocchi a Giorgio Napolitano.

«Il compagno Amendola all’inizio del suo intervento ha espresso una preoccupazione che mi pare fondata […]. Il compagno Togliatti ha parlato nel suo rapporto di emozioni e di perplessità; ora io francamente, non credo che la questione fondamentale sia quella di vedere se prevalgono reazioni di carattere emotivo.» La contrapposizione è chiara. Inaudita. Altro che «emozioni»! Togliatti è chiamato a spiegare le ragioni politiche che hanno interrotto la critica allo stalinismo così come era stata prospettata a partire dal 1956. Napolitano cita Amendola per ribadire la richiesta di «un dibattito aperto» e soprattutto «un’autonomia di giudizio nei confronti della politica e delle posizioni degli altri partiti». E infine, attingendo alle tecniche tipiche della retorica togliattiana, conclude il suo intervento criticando la classe dirigente del Partito comunista albanese con parole che sembrano scelte per accusare il Pci: «Diciamo che vengono meno certe condizioni fondamentali, certe norme fondamentali di democrazia interna di partito».98

Chi doveva capire capisce. Per la prima e unica volta «l’Unità» non pubblica i resoconti, non solo per proteggere il Pci dall’opinione pubblica anticomunista, ma soprattutto per non dare alla sua base l’idea di quanto profonde siano le divisioni interne alla classe dirigente. La replica di Togliatti viene di fatto secretata e resterà a lungo introvabile, occultando il senso politico della risposta del segretario ai dissidenti (Amendola soprattutto, ma anche Alicata) e i giudizi che avrebbero reso irrimediabile la rottura. Che in realtà c’era stata.

«La simpatia e la stima politica di Togliatti per Amendola avrebbero subito un’incrinatura specialmente in seguito alle prese di posizione di Giorgio nell’autunno del 1961»: con una battuta di sfuggita nella sua autobiografia, nel paragrafo in cui ricorda il carattere sobrio e riservato della vita familiare di Togliatti, Napolitano associa la fine della frequentazione privata tra i due alla fine di un idem sentire in politica. Altro che incrinatura! «Vidi per la prima volta un Togliatti ferito, che stentava a padroneggiare la situazione e si abbandonava a una polemica più meschina che convincente.»99

L'ultimo comunista: La presa del potere di Giorgio Napolitano
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