La voce di Clio

Quando mi sono sposata avevo venticinque anni e Giorgio trentaquattro […]. Testimoni Gerardo Chiaromonte e questo compagno di Caserta […]. Sì, andammo in viaggio di nozze con il treno e la corriera a San Gimignano […]. Mi sono laureata in giurisprudenza […]. Ho cominciato a uscire con lui quando ero a Roma da sola per cominciare la pratica di avvocato, quindi non avevo soldi, vivevo in una stanza con una mia collega in una casa privata. Con Giorgio ci eravamo conosciuti a Napoli, ci siamo di nuovo incontrati a Roma, e lui ha cominciato a invitarmi a cena. Allora la mia famiglia diceva: «L’ha presa per fame» […]. Giorgio era già deputato, era considerato di belle speranze, ma non erano queste le cose che cercavo […]. Certo, ognuno ha trovato dei pregi nell’altro. Però credo che, visto che si è sposato a trentaquattro anni, era maturo per sposarsi. Io glielo dico sempre: «Tu hai avuto fortuna, perché qualsiasi persona avessi incontrato ti saresti sposato». Perché era proprio il momento giusto, in cui uno sente il desiderio di avere una famiglia, un figlio […]. Da fidanzati andammo in montagna assieme, naturalmente con un’organizzazione dell’Emilia Romagna […]. Poi al ritorno andammo a Venezia a trovare Giorgio Amendola, che si trovava lì forse per la mostra del cinema, poi scendendo siamo andati nelle Marche, dove gli ho presentato i miei genitori, che vivevano già a Napoli ma erano in vacanza lì. Quindi la presentazione con Giorgio Amendola è avvenuta come prima presentazione […]. Nella formazione e nella vita di Giorgio contava moltissimo, perché Giorgio ha cominciato a fare un’attività di partito a Napoli che già c’era Giorgio Amendola; però indipendentemente da questo lui è stato molto presente nella nostra vita […]. Si tenga conto che Amendola era al confino con mio padre, entrambi confinati all’isola di Ponza […]. Non che ci fosse un rapporto di amicizia, però. Anzi, credo che mio padre e Amendola facessero parte di due correnti politiche diverse […]. Non avrei mai potuto sposare un uomo che non la pensasse come me. […] Anche io sono stata una militante, fin da piccola mia madre mi portava in sezione, dopo la liberazione mio padre è stato sindaco di Chiaravalle.91

Clio Bittoni sposa Giorgio Napolitano a Roma nell’ottobre del 1959. Si concedono solo qualche foto di rito, una sulla scalinata del Campidoglio. Un matrimonio laico, molto di sinistra, per le consuetudini sociali dominanti alla fine degli anni Cinquanta. Un matrimonio molto comunista, sobrio e disincantato, come si conviene a un dirigente in carriera. E soprattutto adatto alla figlia di Amleto Bittoni e Diva Campanella, lei socialista e lui comunista, concepita proprio nel confino di Ponza, dove si erano conosciuti, amati e sposati il 23 luglio 1932, e nata il 10 novembre 1934 a Chiaravalle, nelle Marche.

La fascinazione della genealogia socialcomunista della giovane Clio completa il cursus di Napolitano, combinandosi in giusta e aurea proporzione con le sue origini borghesi e liberali. Nella biografia familiare dei Bittoni c’è anche il padre di Amleto, sindaco socialista di Chiaravalle fino al 1912, nel pieno dell’età giolittiana, ma soprattutto la lunga storia di traversie successive al confino. La famigliola è costretta a peregrinare per l’Italia fascista per un lavoro in farmacia da cui Amleto sarà sempre scacciato appena emergono i suoi trascorsi antifascisti. Tutto si aggiusta con la fine del fascismo e la guerra di liberazione: Amleto riesce a diventare sindaco e a rimanere comunista nonostante le sue convinzioni antistaliniste. Quando muore la madre di Clio, nel 1962, «l’Unità» ne dà notizia aggiustandone un po’ la biografia e attribuendole un passato comunista invece che socialista. Dopo la morte di Amleto, nel 1967, Clio e la sorella Talia continuano per anni a sottoscrivere a suo nome abbonamenti e donazioni al quotidiano del partito. Amendola, che apprezza Clio, rassicura la madre di Napolitano, preoccupata per lo stile di vita un po’ troppo comunista della nuora. Il rifiuto di battezzare il nipote Giovanni peserà non poco sulle sue convinzioni cattoliche.

Nel 1959, un decennio prima del Sessantotto, è il partito a esercitare il controllo sulla morale privata dei dirigenti. L’etica familiare comunista è ancora attraversata da pruderie bigotte e pregiudizi bacchettoni, un po’ per paura del confronto impari con la morale delle masse cattoliche, ma molto di più per la convinzione ideologica desunta dalle parole di Lenin nella famosa lettera a Clara Zetkin, in cui la sobrietà dei costumi è indicata come requisito indispensabile di ogni militanza rivoluzionaria. Una visione ipocrita e perbenista su cui vigila dall’Ufficio quadri delle Botteghe oscure il mitico Edo – Edoardo D’Onofrio – sotto il controllo di Amendola, con il compito di sradicare ogni immoralità dal partito, nella convinzione che sia un retaggio borghese.

Molti anni dopo Nilde Iotti racconterà con leggerezza le pesanti attenzioni del Sant’Uffizio rosso quando era diventato palese il suo legame segreto con Togliatti. Che Edo fosse solo un «pover’uomo» destinato alla sconfitta non attenuava il rischio corso allora da Togliatti quando decise di imporre in pubblico il suo privato. Che il conflitto fosse arrivato a mettere in discussione persino i ruoli nel partito si capisce dalla proposta di Giorgio Amendola, che chiese a Togliatti di sacrificare la partecipazione alla politica attiva di Nilde Iotti, donna colpevole e colpevolizzata, in cambio di un vero e proprio riconoscimento politico della loro storia personale.92

L'ultimo comunista: La presa del potere di Giorgio Napolitano
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