Mistero napoletano
Nel ventre di Napoli anche il comunismo, esposto ai meticciati dello spirito e a grovigli di classe altrove impensabili, deve adattarsi ai misteri del genius loci. Così nessuno si sorprende delle ragioni che hanno portato in via Medina una maggioranza di intellettuali giovani e borghesi schierati a difesa dei simboli della repubblica e della rivoluzione comunista, pur nei modi della «doppiezza» togliattiana, mentre il popolo, seppure nella sua più feroce figurazione sottoproletaria, si trovava schierato tutto con la monarchia e la controrivoluzione.
Tra i giovani intellettuali c’è anche Giorgio Napolitano. Il suo ricordo dell’assalto di via Medina, seppure eticamente irreprensibile nel racconto dei fatti (aumenta persino il numero dei morti accertati), minimizza storicamente le responsabilità dell’eccidio, attribuisce alla polizia il legittimo monopolio della violenza, ricorda che gli agenti erano in realtà ausiliari «provenienti dalle forze partigiane», per arrivare infine a una sincera riflessione autocritica sull’incapacità del Pci di comprendere fino in fondo la «realtà meridionale», a causa dei sogni rivoluzionari e delle insofferenze e impazienze ideologiche «che fermentavano al Nord anche nelle file comuniste».45
Ma non basta. Perché quel ricordo non rimanga come una macchia indelebile della sua biografia, sessant’anni dopo Napolitano racconta che era stato proprio Amendola, con «l’appello ai fratelli delle altre regioni d’Italia», a escogitare una sorta di riparazione politica per mutare la percezione del Pci nel sentimento comune del «popolino napoletano»: il trasferimento temporaneo di migliaia di bambini affamati e denutriti presso famiglie benestanti di contadini emiliani, perché «li accogliessero nelle loro confortevoli case, li vestissero, li nutrissero, li educassero alla conoscenza della lingua italiana e alla frequentazione delle scuole». Nel giro di due anni i beneficiari saranno ben 12.000.
Per il Pci, che nel governo era rappresentato anche da Emilio Sereni, ministro per l’Assistenza postbellica, si era trattato di un’operazione grandiosa, sebbene non fossero mancati contraccolpi al limite dell’assurdo e del paradosso politico che ben riflettono però l’aria del tempo. Come racconta la testimonianza «colorita e commovente» lasciata da un grande amico di Napolitano, Gaetano Macchiaroli, diventato poi editore di sofisticata cultura, molte famiglie del napoletano diffidavano di quell’opportunità per il sospetto, diffuso dalla propaganda anticomunista, che i bambini in realtà venissero reclutati per essere poi spediti in Siberia!46
Nella strategia della memoria seguita da Napolitano, la storia dei bambini mandati per qualche mese a vivere nelle patrie regionali del comunismo italiano serve a ribadire che proprio a Napoli, a guardare con gli occhi del disincanto ideologico, c’era un Pci diverso non solo dallo stalinismo togliattiano di Salvatore Cacciapuoti ma anche dall’idealismo rivoluzionario di Renzo Lapiccirella.
Quando ancora non c’era nemmeno la Costituzione, quando ancora Togliatti era convinto dell’irreversibilità del governo di alleanza nazionale con la Dc, quando ancora la guerra era troppo calda per poter immaginare la Guerra fredda, lo stalinismo interno al partito era perfettamente compatibile, anzi consapevolmente funzionale, alla strategia delle alleanze più audaci, persino intrepide o anche ardite, con cui Amendola pensava non solo di dare una nuova consapevolezza progressista e moderna alla cultura politica del Pci nel Sud, ma anche di fornire una nuova percezione nazionale dell’Italia meridionale.