Alla maniera russa
Fra i 1626 delegati, tutti in piedi, c’è anche Giorgio Napolitano. Lui, nell’autobiografia di sessant’anni dopo, gli applausi li descrive «scroscianti». E del discorso di Togliatti ricorda l’enfasi antifascista sul contributo del partito alla «Resistenza vittoriosa», quasi volesse giustificare, con un omaggio al «vento del Nord», la sua origine politica nella temperie culturale del Regno del Sud.
Eppure è proprio al V congresso che Togliatti elabora in maniera compiuta quella sorta di algoritmo politico su cui il Pci costruirà la sua identità nel tempo, con e senza Togliatti fino a Berlinguer, adattandola di volta in volta alle mutate condizioni della storia, senza soluzione di continuità fra una spinta rivoluzionaria coniugata al futuro e una strategia democratica calata nella realtà del paese.
Più che un gioco tattico fra la pratica democratica e l’ideologia bolscevica, la «doppiezza togliattiana» è stata un metodo «storicistico» per innestare via via elementi di democrazia, anche liberale ma nel senso del pluralismo politico, nel simulacro teorico del marxismo-leninismo, inutilizzabile nella condizione storica dell’Italia del dopoguerra. Togliatti la chiamava «democrazia progressiva»:40 un progetto in cui la collaborazione con tutte le forze antifasciste, compreso il re, per vincere il nazismo, si sarebbe trasformata nella battaglia per il referendum fra monarchia e repubblica, nella collaborazione per la stesura di una carta costituzionale esemplare, nella partecipazione al governo fino al 13 maggio del 1947, e infine nella competizione elettorale del 18 aprile 1948, che avrebbe garantito al Pci una posizione egemonica sull’opposizione di sinistra in un parlamento dominato dalla maggioranza cattolica.41 Spinta dalla necessità di trovare il filo ideale dei fatti storici, la storiografia su Togliatti e il Pci, speculare alla storiografia su De Gasperi e la Dc, ha dato per scontato un risultato raggiunto grazie a un sano realismo strategico e a un cinico uso della tattica.
Quella sera del 30 dicembre 1945, mentre il ventenne Napolitano applaude «alla maniera russa» – legittimando non solo la politica di Togliatti, ma anche la nuova pedagogia del Pci, e assumendo su di sé le stimmate ideali che guideranno tutta la sua storia nel partito e nelle istituzioni –, niente è ancora successo: il Nord è ancora nelle mani alleate, la consulta formata dai partiti antifascisti non funziona ancora come un parlamento, la Costituente è ancora una scommessa politica da vincere e il referendum istituzionale è una spina nel fianco del partito cattolico, che non può dirsi repubblicano senza entrare in conflitto con il suo elettorato monarchico.
Man mano che gli oratori salgono sul palco, accompagnati dalle canzoni militanti che servono a identificarne ruolo e biografia,42 tutte le tessere del mosaico si collocano al loro posto, stabilito da una sofisticata regia politica, per formare un’immagine inedita, una sorta di matrice pedagogica su cui verrà educata non solo la classe dirigente ma l’intera massa del popolo comunista.
Per Togliatti, insieme all’affermazione di un metodo politico, il V congresso ha funzionato come un’investitura che sanziona ufficialmente il suo ruolo di segretario generale. E sebbene non si tratti di un potere assoluto, perché ancora dovrà vedersela tanto con Secchia, escludendolo, quanto con Longo, integrandolo, certamente dopo otto giorni di lavoro congressuale Togliatti ha fondato il togliattismo.43