Vincitori e vinti
Nella retorica del potere comunista il «congresso» è la figura dell’idea in atto, il luogo deputato della legittimità. Nella sua fisiologia invece è la sede della messa in scena, il teatro della rappresentazione delle parti in gioco, il punto di attrazione gravitazionale di tutte le decisioni e le scelte. Con diversa intensità nel corso della storia. Nella classifica dei congressi del Pci, l’XI, che inizia alle 9 del 25 gennaio 1966, non è fra i più celebrati. Non solo perché è il primo senza Togliatti, ma soprattutto perché il travagliato dibattito che lo ha preceduto ha esaurito in fretta le energie liberate dal confronto dentro il partito. Il punto di arrivo è uno stato di agitata quiete in cui tutte le valutazioni ideali e politiche finiscono per bilanciarsi, così che alla fine l’unico metro di valutazione politica rimane la conta fra chi ha vinto e chi ha perso.
Napolitano ha vinto. Amendola ha quasi vinto. Ingrao ha quasi perso. La sinistra del Pci ricorda di essere stata vittima di un vero e proprio agguato della destra, guidata in aula proprio da Napolitano. La sua versione è più sobria e pacata, ma la sostanza rimane la stessa. Longo è riuscito infatti a riformare la struttura stessa del vertice. La segreteria, cuore e cervello del partito, viene abolita e le sue funzioni operative sono affidate a un «ufficio di segreteria» (che comprende Bufalini e Natta, e fra i più giovani Macaluso e Cossutta), mentre il dibattito sulle decisioni strategiche diventa prerogativa del nuovo «ufficio politico», in cui confluiscono i nomi di primo rango: Amendola, Ingrao, Alicata, Pajetta e Novella, oltre a Berlinguer e Pecchioli. Giorgio Napolitano è l’unico, oltre a Longo, che partecipa a tutti e tre gli organismi del vertice comunista con un ruolo di coordinamento al fianco del segretario.
«Non voglio fare il segretario a vita […]. Amendola, Pajetta, Ingrao non sono molto lontani dalla mia età. […] Accanto a questi bisogna far crescere altri dirigenti. Ce ne sono già che hanno unghie e capacità: Napolitano, per esempio. Io penso proprio a lui come il compagno che sia il costante organizzatore di ogni iniziativa.»110 Nel gioco dell’oca delle Botteghe oscure, si capisce che la scelta di Longo obbliga Berlinguer a fermarsi almeno un giro. Sarebbe stato Alicata a sottolineare la sua timidezza nel criticare le multiformi personificazioni della sinistra ingraiana.111 Nella ferrea logica che governa le regole della formazione dei gruppi dirigenti, la missione in Vietnam del 1966 insieme a Carlo Galluzzi e Antonello Trombadori, con scalo a Mosca per ritirare i visti all’ambasciata cinese, non è un premio di consolazione ma una carta di credito che Berlinguer potrà riscuotere in un futuro non troppo lontano.
Intanto Napolitano, del tutto adeguato al ruolo, si impegna con grande dedizione e lealtà ma con altrettanta creatività a ricostruire il partito. Attribuisce le idee migliori al segretario, riservando per sé il merito di averle realizzate persino meglio di come erano state pensate. Di giorno in giorno Napolitano si fa in tre, e così appare sulle pagine de «l’Unità», che si sono rivelate, compulsate a dovere, una fonte esatta per valutare il dispiegarsi della sua azione come segretario sostituto. Uno e trino, viene citato di volta in volta in uno dei tre ruoli che ricopre nel comitato centrale, nella nuova segreteria e nell’ufficio politico. Un’attività intensa e senza sosta, piuttosto umile e defatigante, per far arrivare fino alla base del partito la linea della segreteria e del segretario. Casomai aggiungendovi qualcosa. Sembra esserci in Napolitano (ma lo si può capire solo dalle sue azioni, poiché i suoi pensieri e i suoi scritti sono sempre ecumenici) la convinzione che sia necessaria una rottura fra il Psi e la Dc per favorire, secondo lo schema amendoliano, un’alleanza fra comunisti e socialisti che, superando il tabù della socialdemocrazia, possa provvedere a un’autentica modernizzazione politica e sociale del paese attraverso le «riforme di struttura» (un classico del togliattismo).
Nel gennaio del 1967, in parlamento, Ferruccio Parri presenta la sua denuncia sullo scandalo del Sifar, il servizio segreto militare che aveva schedato almeno 260.000 persone, al di fuori di ogni controllo parlamentare. L’opinione pubblica è sgomenta, sollecitata dalle rivelazioni giornalistiche de «l’Espresso» diretto da Eugenio Scalfari. E Napolitano interviene a maggio su «Rinascita» con un articolo presentato come una «ricetta per difendere la democrazia», poi ripreso da «l’Unità».112
Sempre su un’idea di Longo, in prospettiva di una concorrenza non belligerante con il Partito socialista, va situata la nascita della Sinistra indipendente. Fra le strategie messe in atto per le elezioni politiche del 19 maggio 1968, il Pci offre la candidatura a socialisti eminenti che patiscono il socialismo autonomista di Nenni, ma nello stesso tempo non se la sentono di aderire al Psiup. Longo ne parla con Ferruccio Parri, al quale è legato dal comune comando al vertice della Resistenza, quando si chiamavano rispettivamente «Gallo» e «Maurizio», per condividere la paternità dell’iniziativa. La maggiore difficoltà sta nel proporre a socialisti del rango di Riccardo Lombardi, leader di una corrente del Psi, di farsi ospitare nelle liste del Pci. Il partito considera l’unificazione socialista come un’«unificazione socialdemocratica», ma Lombardi, dopo aver preso parte alle prime riunioni, lascia decadere la sua partecipazione al progetto, che comporterebbe per lui l’abbandono del Psi. Comunque l’invenzione darà i suoi frutti politici nel tempo lungo. La lista dei candidati eletti dal Pci fra gli Indipendenti di sinistra è lunga e prestigiosa: da Ferruccio Parri (che lancia la campagna elettorale del 1968 insieme a Napolitano al San Ferdinando di Napoli) a Franco Antonicelli, da Stefano Rodotà a Luigi Spaventa, da Vincenzo Visco a Guido Rossi. Anche se arriverà solo nel 1976, la candidatura di un ex comunista, Altiero Spinelli (uno dei padri del Manifesto di Ventotene, testo fondatore dell’Europa unita) sarà di grande soddisfazione per Napolitano, che lo ha sempre considerato come un padre spirituale.
Per molti dirigenti comunisti, il palazzo del potere è quello di Botteghe oscure piuttosto che Montecitorio o Palazzo Madama. Con il radicarsi del comunismo italiano nel parlamentarismo quotidiano, la scelta delle candidature del Pci diventa un problema politico dalle vaste implicazioni dentro il partito. In vista delle nuove elezioni viene convocata una riunione al vertice per individuare e imporre i giusti equilibri sui quali costruire un nuovo successo elettorale. A cominciare dalla selezione, affatto banale, dei nomi che dovranno capeggiare le liste per la Camera. Prima che inizi la discussione, Longo mette sul tavolo senza preavviso una questione preliminare: la necessità di individuare una rosa di candidati che prepari la successione alla sua segreteria. Per assicurare lo scarto di una generazione restringe il campo a tre nomi: Natta, Berlinguer e Napolitano. Tutti e tre devono avere un ruolo nella vita parlamentare. Natta è già deputato. Napolitano lo è stato per due volte dal 1953 al 1963, e adesso potrà essere di nuovo candidato a Napoli. Berlinguer invece fa resistenza. Disinteressato alla vita parlamentare, ha rifiutato di andare a dirigere la segreteria regionale della Lombardia a Milano. Come segretario del Lazio toccherà a lui occupare il primo posto in lista a Roma. Un posto di prestigio che gli fa temere il confronto, per esempio, con Napolitano. Sbaglia. Longo ha ragione: Berlinguer capolista supera le 150.000 preferenze, quasi un quarto dei voti. Napolitano invece, numero due a Napoli dopo il capolista Amendola, viene superato dal terzo candidato, Massimo Caprara, il segretario di Togliatti, che lo ha sostituito sulla poltrona della federazione napoletana.
La scelta della sinistra extraparlamentare di votare «scheda rossa» consente al Pci di Longo, nonostante i contorcimenti ideologici del partito, di superare (con i voti del Psiup) il 30 per cento dei consensi. Una conferma della strategia di Longo messa in atto da Napolitano. La Dc tiene, ma è il Partito socialista unificato il vero sconfitto, che perde quasi 6 punti percentuali. Sarà difficile formare un nuovo governo.