Introduzione - Mistero Napolitano

Il fallimento di un progetto

La storia si capisce meglio se si comincia dalla fine. La mancata vittoria dei democratici di Bersani, la mancata sconfitta del centrodestra di Berlusconi, la riuscita sorpresa di Beppe Grillo con le liste del MoVimento 5 Stelle, il partito più votato dagli italiani alle politiche del 24 e 25 febbraio 2013, sono la misura del fallimento del progetto perseguito da Giorgio Napolitano con il governo tecnico di Mario Monti: ritrovare nella borghesia «progressiva» il punto su cui far leva per trasformare la cultura e il costume politico degli italiani.

Se immaginiamo le Botteghe oscure come una scuola di alta politica, quasi fosse una di quelle grandes écoles della Francia che l’Italia non ha mai avuto, si comprende bene il paradosso di Napolitano: è stato proprio lui, di cultura comunista, a dare al Quirinale quella pienezza di cui nessun presidente aveva mai potuto disporre. Che si sia trattato di volontà di potenza o potenza della volontà, senza il Pci Napolitano non avrebbe mai potuto scoprire che alla fine della via italiana al socialismo c’era il Quirinale da conquistare. Senza bisogno di una rivoluzione.

«I would prefer not to», preferirei di no, è la risposta che ha fatto diventare celebre Bartleby, lo scrivano del racconto di Herman Melville, scopritore di quello speciale algoritmo del reale che consente di passare alla storia senza aver fatto niente di storico, di esserci senza comparire, di contemperare il massimo della visibilità con il culmine della riservatezza. Un’arte. Un tratto caratteriale che in psicanalisi potremmo associare al processo di «denegazione».

Per lungo tempo, nella storia del Pci Napolitano è stato considerato un ospite. E nella storia d’Italia un passante. Nelle biografie di Togliatti non è mai citato: non c’è nella versione di Giorgio Bocca, né in quella più documentata di Aldo Agosti, e nemmeno nella più ortodossa di Ernesto Ragionieri. Paolo Spriano lo nomina una volta sola, in una nota a piè di pagina alla fine dell’ultimo dei suoi volumi della Storia del Partito comunista (Einaudi), fra un folto gruppo di intellettuali che nel dopoguerra scelsero la militanza comunista: con Berlinguer in testa ci sono tutti, da Antonello Trombadori a Rosario Villari, e via via rievocando fra tanti nomi ormai sommersi nel profondo della memoria storica del partito. Nel volume successivo della stessa opera, scritto da Renzo Martinelli e dedicato al periodo compreso tra la Liberazione e il Quarantotto, Napolitano addirittura scompare. Negli ultimi due volumi della Storia d’Italia di Giovanni Sabbatucci e Vittorio Vidotto (Laterza) figura una sola volta nel testo e un’altra in nota.

L'ultimo comunista: La presa del potere di Giorgio Napolitano
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