L’invenzione dell’antipolitica

L’intervista a Berlinguer si presenta con un titolo banale, un sommesso interrogativo, Dove va il Pci?, insolitamente sobrio per lo stile del quotidiano, ma è passata alla storia con la formula epocale di «questione morale». Succede nel pieno di quell’estate in cui Craxi apre le ostilità contro la magistratura milanese che ha arrestato il banchiere Roberto Calvi, finanziatore, con il Banco Ambrosiano, del Partito socialista (e anche dei comunisti, con un prestito che però è stato prudentemente restituito). Ora quell’intervista viene considerata l’atto di nascita dell’antipolitica. Ma è una suggestione falsificata dall’oggi. Perché il suo vero tema è invece la «diversità comunista», il perno etico della visione politica di Berlinguer. E senza le domande di Scalfari si legge ancora come un saggio di etica comunista:

I partiti hanno degenerato e questa è l’origine dei malanni d’Italia. […] I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. […] I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai Tv, i grandi giornali. […] La questione morale non si esaurisce col fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell’amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale nell’Italia di oggi, fa tutt’uno con l’occupazione dello Stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt’uno con la guerra per bande, fa tutt’uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semplicemente abbandonati e superati.151

Berlinguer sostiene che il Pci è diverso, perché non è complice di questa «degenerazione». Le cronache dal palazzo gonfiano la polemica. I partiti coinvolti, dal Psi al Psdi alla Dc, rispondono con reazioni scomposte, incapaci di trovare la misura politica all’anatema etico del segretario comunista. Berlinguer fa sentire il respiro della grande storia, capovolge l’assioma del primato della politica sottomettendolo alla ragione etica, impegnando tutta la storia del partito verso un destino di impotenza, visto che solo nei tempi lunghi si può pensare a una riforma dei costumi e delle istituzioni, del carattere stesso degli italiani. Ne discende un effetto collaterale devastante per il Pci: la diversità del partito paradossalmente ne sancisce l’isolamento, la marginalità e financo l’inutilità. Al vertice, tenuto all’oscuro delle strategie segrete di Berlinguer, il disagio si misura dall’intensità delle voci di dentro che escono da Botteghe oscure, arricchendo di succulenti particolari le cronache politiche dei quotidiani e dei settimanali. Citatissima la battuta di un articolo de «l’Espresso», intitolato Vade retro Napolitano, attribuita a un anonimo dirigente di primo rango: «Berlinguer è un po’ lugubre. Quando si chiude in una stanza per farsi intervistare può succedere il peggio».152

E il peggio arriva, puntuale. Ma non è colpa di Berlinguer. Tocca proprio a Napolitano dare voce al dissenso con un gesto senza precedenti: una critica pubblica al segretario, con tutti i crismi dell’ufficialità, sulla prima pagina de «l’Unità» del 21 agosto. L’occasione è altamente simbolica e rituale: la commemorazione di Togliatti, a diciassette anni dalla morte. Perché è essenziale il richiamo a Togliatti si intitola. Questa volta tocca a Berlinguer, in vacanza in Sardegna, rimanere senza parole leggendo le frasi di cui si serve Napolitano, seppure con tutte le cautele semantiche della neolingua italo-comunista, per destrutturare l’intero impianto teorico della «diversità» del Pci e per svalutare il senso politico della «questione morale». Con astuzia intellettuale e spregiudicata intelligenza, Napolitano usa le parole di Togliatti per criticarlo:

Dinanzi alle degenerazioni prodottesi nella vita pubblica, non ci limitiamo a sottolineare la nostra estraneità a quei fenomeni e a quei comportamenti; non ci chiudiamo in un’orgogliosa riaffermazione della nostra «diversità», ma intendiamo far leva sulle «peculiarità» del nostro partito per contribuire a un corretto rilancio della funzione dei partiti in generale come elemento insostituibile di continuità e di sviluppo della vita democratica […]. Per cogliere e far maturare queste possibilità, […] è decisivo saper mettere a frutto, nelle condizioni di oggi, la grande scelta togliattiana del «partito nuovo», in quanto partito che «non si limita alla critica e alla propaganda», ma propone soluzioni, propone una combattiva e costruttiva azione di massa, sviluppa un’«iniziativa politica» capace di modificare posizioni e dati di fatto negativi. Ciò vale in particolar modo di fronte a questioni come quelle del risanamento morale e del rinnovamento dei partiti.153

Se non fosse per il risalto e le immediate reazioni dei giornali fin dal giorno dopo (Napolitano polemico con Berlinguer, La falce litiga, Napolitano attacca Berlinguer, Napolitano invita i socialisti a riprendere i contatti con il Pci, Vade retro Napolitano), non sarebbe facile oggi decrittare i punti di conflitto, o distinguere gli argomenti critici dalle idee condivise.

Seppure scritto in un linguaggio cifrato, il «codice Napolitano» ripropone con insistenza la necessità di un’alleanza con i socialisti. Il partito capisce subito e reagisce in tempi brevi, mettendo sotto processo per direttissima il più importante rappresentante della sua anima riformista. Un mese dopo, a chiusura della Festa dell’Unità di Torino, viene convocata l’intera direzione. E ora tocca al segretario far valere le regole del potere comunista dentro e fuori il partito. Racconta Napolitano nella sua autobiografia: «Sul metodo mi disse che considerava scorretto che avessi polemizzato con lui usando lo schermo di Togliatti. Ma ancora in quegli anni la polemica pubblica con il segretario da parte di uno dei membri della segreteria appariva un passo troppo grave». La discussione aumenta via via di intensità, fino a notte fonda. Si capisce subito che nessuno ha intenzione di dare battaglia in difesa di Napolitano. Il 5 ottobre 1981, nella sua cronaca quotidiana in presa diretta, un suo tradizionale antagonista sulle scelte di politica economica del partito, l’ingraiano Luciano Barca, racconta: «Giorgio Napolitano lascia con dignità, su sua richiesta, la segreteria del Pci per assumere la presidenza del gruppo parlamentare alla Camera. È la conclusione concordata e non traumatica (apparentemente) della contrapposizione fra Napolitano e Berlinguer». Il giorno dopo entra al suo posto Adriana Seroni, la prima donna a ricoprire un tale incarico nel partito.154

L'ultimo comunista: La presa del potere di Giorgio Napolitano
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