Gli ultimi anni di Togliatti
È morto il segretario, evviva il segretario
Napolitano non c’è nel grande telero dipinto da Renato Guttuso nel 1972 per raccontare ai sovietici i funerali di Togliatti. Napolitano invece c’è, il 22 agosto 1964, fra i membri della direzione e della segreteria riuniti all’aeroporto di Ciampino per accogliere le spoglie mortali del gran capo comunista in arrivo da Mosca.79 Era riuscito a rientrare per tempo, partendo dai laghi di Plitvice, nel più bel parco nazionale della Croazia, dove si trovava con moglie e figlio in vacanza. Privilegio riservato a ospiti di rango, effetto collaterale del viaggio ufficiale in Iugoslavia con Togliatti all’inizio del 1964. Così si spiega la scelta di affidare alle cure politiche di Napolitano la delegazione dei comunisti iugoslavi arrivata a Roma per partecipare ai funerali.
Togliatti era morto a Jalta il 21 agosto, dopo una settimana di agonia, per un’emorragia cerebrale. Nella camera ardente Napolitano monta la guardia d’onore, in seconda fila con Paolo Bufalini, insieme a Girolamo Li Causi e Umberto Terracini, e la foto viene pubblicata anche su «l’Unità».80 Da Napoli, dove corre subito per organizzare la mobilitazione per i funerali di Roma, arrivano le sue parole di cordoglio per la grande commemorazione del 31 agosto, che vengono riprese dal giornale di partito in una speciale pagina in cui compaiono Alicata che parla da Siena, Amendola da Firenze, Pajetta da Torino, Macaluso da Catania, Natta da Genova, Terracini da Milano… Nella gerarchia della cerimonia dell’addio, Napolitano si trova in settima posizione, un po’ indietro fra gli officianti.81
Forse i suoi ricordi di oggi non riescono a restituire le emozioni di ieri, ma nella sua autobiografia c’è anche un po’ di spazio per ricordare i rapporti con Togliatti, e soprattutto per «sottolineare la distanza siderale, prima di tutto generazionale, poi storica e in ultima analisi anche politica», che lo separava da lui. Eppure i due non erano poi così lontani. Napolitano era stato «segnalato» a Togliatti da Giorgio Amendola che, con la moglie Germaine, era fra i pochi intimi ammessi a una stabile consuetudine di frequentazioni familiari. Così, per ordine del Pci napoletano (cioè Amendola e Cacciapuoti), era capitato a Napolitano di stare vicinissimo al «Migliore»: per esempio a Capri nella primavera del 1949, con Nilde Iotti, e poi a Sorrento, come si vede nella fotografia in cui compare con Marisa Malagoli, figlia adottiva di Togliatti, subito dopo il grave incidente in cui il segretario del Pci era stato coinvolto nell’agosto del 1950 mentre andava in Valle d’Aosta per le vacanze.82
Una distanza personale e privata tanto ravvicinata non si sarebbe più ripetuta fino al viaggio del gennaio 1964 a Belgrado con una delegazione del Pci, guidata proprio da Togliatti, per incontrare una delegazione della Lega dei comunisti iugoslavi guidata da Tito. Di quell’incontro esiste un verbale, scritto da Togliatti stesso, in cui fa parlare molto Tito. Ma in margine ai suoi appunti, una specie di brogliaccio riassuntivo, c’è un riferimento a «Nap.» a proposito del Mercato europeo comune, una delle battaglie che il partito ha affidato in parlamento proprio a Napolitano: il Pci vedeva nel Mec un pericolo per lo sviluppo economico del Meridione d’Italia.83
Secondo la storiografia più avvertita, l’incontro riuscito fra Togliatti e Tito a gennaio prefigura l’incontro mancato con Krusciov a Mosca nell’agosto successivo. Non è affatto banale immaginare che l’incontro con Tito all’inizio dell’anno servisse al «Migliore» per trovare un alleato contro l’idea sovietica di una conferenza internazionale finalizzata alla scomunica ideologica del Partito comunista cinese. La risposta dei russi alle mosse di Togliatti era venuta da Parigi: istruito a puntino, il segretario dei comunisti francesi prima si era rifiutato di incontrarlo, poi aveva deciso di non invitarlo al congresso del Pcf. Togliatti aveva capito: sapeva di avere incrinato il teorema del potere internazionale della Russia sovietica. E allora aveva deciso anche lui di dare le dimissioni. Non voleva però che i sovietici potessero interpretarle come un atto ostile. Sapeva che erano pronti a scomunicare, insieme ai cinesi, anche gli italiani, se necessario.84