Praga caput regni
Ma per il Pci c’è un’altra partita in corso: in Cecoslovacchia l’impegno di Alexander Dubcek per un «socialismo dal volto umano» potrebbe cambiare i rapporti di forza dentro il campo sovietico. La «primavera di Praga» potrebbe rappresentare un punto di partenza per un’evoluzione dei sistemi economici e politici del campo comunista. Dal Cremlino i segnali non sono tranquillizzanti. Però nessuno sospetta che possa finire come dodici anni prima in Ungheria.
Nell’estate del Sessantotto quasi tutti i massimi dirigenti del Pci si trovano in vacanza in qualche paese dell’Est. Berlinguer e Bufalini con le rispettive famiglie fanno i bagni a Eforie in Romania, Pajetta è a Jalta, Pecchioli in Asia centrale, Macaluso in Russia. Longo sta a Dobi, località di villeggiatura vicino a Mosca. A Botteghe oscure è rimasto solo Armando Cossutta. Nel pomeriggio del 20 agosto lo raggiunge il primo segretario dell’ambasciata sovietica, Enrico Smirnov, per informarlo che l’appuntamento con l’ambasciatore Nikita Rijov non può essere spostato. Anche Maurizio Ferrara, direttore de «l’Unità», è rimasto a Roma. Cossutta passa a prenderlo per andare in via Gaeta. Il sole è ancora alto. Rijov mostra un telex in codice e lo traduce in diretta: truppe del Patto di Varsavia sono entrate in Cecoslovacchia su richiesta del governo e del partito. A quel punto, con grande imbarazzo di Cossutta e Ferrara, l’ambasciatore cerca di rimangiarsi la comunicazione. Dice che si è sbagliato.113
La notizia è vera, ma ancora coperta. L’invasione non è nemmeno iniziata. I dirigenti del Pci in vacanza in Italia che hanno raggiunto in fretta Botteghe oscure aspettano notizie. Ci sono Galluzzi, Nilde Iotti, Occhetto, Scoccimarro, Terracini e anche Napolitano, rientrato precipitosamente dalle vacanze. Proprio a lui viene affidato il compito di scrivere una bozza del comunicato ufficiale del partito. Non è semplice rintracciare Longo, che finalmente viene raggiunto al telefono. Napolitano legge. Longo ascolta. Chiede di capire meglio. Napolitano rilegge lentamente. Tutto è centrato sul «grave dissenso» del partito per «l’intervento militare». La formula di Napolitano si impone fin dai primi notiziari. Quando Longo riesce a tornare in Italia, la direzione del Pci a ranghi completi approva la formula e la corregge con una parola, «riprovazione», che sta a cuore al segretario: «Il Pci ribadisce il suo dissenso e la sua riprovazione».114
La rottura con Mosca è consumata, ma bisogna pur ricucire. Cossutta, che è presidente dell’Intourist, viene incaricato di ristabilire normali rapporti. Quando però al Pci arriva l’invito per un incontro con il Pcus, Longo è già stato colpito da un ictus. La delegazione sarà guidata da Berlinguer. Napolitano invece resta a presidiare il comizio di chiusura della Festa dell’Unità a Bologna.
Longo, dimesso dalla casa di cura Villa Gina, convoca al completo l’ufficio politico e pone la questione della sua successione. Ha già in mente il nome del vicesegretario che lo deve sollevare dal peso della direzione quotidiana del partito per poi prendere il suo posto. Pensa a Berlinguer. Secondo Natta, Longo ha maturato un’improvvisa sfiducia verso Napolitano perché avrebbe preferito «più gradualità» nella presa di posizione contro l’Urss in difesa della Cecoslovacchia. A sfavore di Berlinguer gioca il rifiuto di andare a Milano come segretario regionale della Lombardia, e la scarsa decisione con cui ha contrastato, come segretario del Lazio, il formarsi di due fazioni estreme contrapposte: quella del «Manifesto» di Aldo Natoli e Luigi Pintor a sinistra, e quella dei «capitolardi» di Renzo Trivelli e Antonello Trombadori a destra.
Accettata la logica del passaggio di generazione, condivisa sia da Amendola sia da Ingrao e Pajetta, si procede a una veloce consultazione della direzione, una trentina di dirigenti, che partecipano a un sondaggio affidato alle cure esperte di Agostino Novella, segretario generale della Cgil, e di Armando Cossutta, diventato responsabile dell’ufficio di segreteria. Con Napolitano si schierano solo due dirigenti della vecchia guardia, tra cui Terracini. Preferisce Berlinguer anche Amendola che, guardando dritto negli occhi Napolitano, dice: «Per dirigere il Pci, occorre avere una forte esperienza e un prestigio internazionali. Berlinguer s’è fatto le ossa al tempo della federazione mondiale giovanile e da anni è presente in difficili missioni all’estero con fermezza e misura. Tu, caro Giorgino, quest’esperienza non ce l’hai».115