Noi
MI tengo la testa fra le mani. Ho gli occhi appannati. Ho la sensazione di essere sul punto di svenire.
«È finito?» dice Chika.
Alzo a malapena lo sguardo.
È finito, dico.
«Vedi? Te l’avevo detto che sarei tornata.»
Mi passo le mani sulla faccia.
Vieni qui, tesoro, dico.
Mi si mette di fronte. Indossa di nuovo il pigiama di My Little Pony, ha le treccine nei capelli ed è identica alla prima mattina che si svegliò a casa nostra, quando avevamo cucinato insieme le uova strapazzate.
Senti, le dico, con la gola chiusa. Lo so che è tutto nella mia testa. Lo che non puoi essere davvero qui davanti a me. Ma mentre sei qui voglio dirti una cosa.
«Ooookay…» dice con la voce monotona, puntandomi i gomiti sulle ginocchia e appoggiando la testa sulle mani. «Cosa vuoi dire?»
Solo questo. Non eri mia figlia. Ma per me lo eri. Non avrei potuto amarti di più, e la signorina Janine non avrebbe potuto amarti di più. E ovunque tu sia andata dopo aver lasciato questo mondo, ci sei andata come parte di una famiglia, anzi, di molte famiglie. Ci hai resi una famiglia, Chika. La signorina Janine, io e te. La cosa che desideravo di più era poterti salvare, anche se i piani del Signore erano diversi. Ma ci manchi ogni minuto. E non devi aver paura che ti dimentichiamo, perché non potremo mai dimenticarti, scorderemo qualunque altra cosa prima di poterci scordare di te. Ti sei portata via un pezzo enorme di noi, Chika, la parte migliore, ma era tua, e spero che rimarrà sempre con te. Volevo dirtelo nel caso in cui, anche per un fuggevole istante, tu pensassi di essertene andata da sola.
Arriccia le labbra, come se stesse riflettendo. Poi fa un gran sorriso e allarga le braccia.
Allungo le mani… e per la prima e ultima volta riesco a creare un contatto, posso toccarla di nuovo. La attiro verso di me e sento le sue braccia intorno al collo, le guance morbide e le treccine contro il mio viso. La stringo in un abbraccio familiare e lei è lì come sempre, come se non se ne fosse mai andata.
Si scosta, sorride e si tira la giacca del pigiama sopra la testa.
«Dov’è Chika?» chiede.
Mi mette una mano sul petto, all’altezza del cuore.
«Eccola!»
E se n’è andata.