Lezione uno

SONO LA TUA PROTEZIONE

BE’, vediamo. Ti ricordi quando andavi così forte sull’altalena della missione che per poco non voli via dal sedile e io ti ho presa e ti ho fatta rallentare? O quando siamo entrati nell’oceano, e io ti ho tenuta per le ascelle per non farti andare sotto?

Questo è un tipo di protezione, Chika. Probabilmente a te sembrava naturale, un adulto che interviene per evitare che succedano cose brutte. Ma per me era una novità. Finché non sono arrivato ad Haiti, proteggevo soprattutto la signorina Janine, la mia carriera e me stesso. Proteggevo la nostra salute. Il nostro denaro. Proteggevo i miei libri e la mia reputazione professionale. Ho detto che ero egoista, ma questo non c’entrava. Nessuno aveva bisogno di me. Non come ha bisogno un neonato che piange, quando una madre e un padre si rendono conto che ci sono solo loro, e tutto il resto deve passare in secondo piano.

La signorina Janine e io non l’avevamo mai vissuto, né con te né con gli altri bambini dell’orfanotrofio, per quanto li amassimo. Non ti avevamo tenuta in braccio umidiccia e appena nata, non avevamo fatto il tifo per i tuoi primi passi né avevamo messo in valigia pannolini e comprato biscotti con le faccine per i viaggi.

A dire la verità, non avevamo conosciuto la maggior parte di voi finché non eravate già capaci di camminare e di parlare, e in molti casi avevate già vissuto difficoltà incredibili: eravate stati abbandonati nei boschi da piccolissimi, com’era successo a uno dei tuoi fratelli della missione, avevate perso i genitori in un terremoto o durante un uragano, ragione per cui erano arrivate dalla città di Jérémie le tue quattro sorelline della missione; alcune di loro avevano vissuto tra le macerie fangose della loro casa per mesi.

Non potevo proteggerli da queste cose. Ma ero deciso a proteggerli da tutte le altre, proprio come ero deciso a proteggere te. Dovevo considerare cose a cui non avevo mai pensato, per esempio i pavimenti scivolosi o le buche nel cemento dove i bambini giocavano a calcio, le piccole parti dei giocattoli che potevano essere inghiottite o le taniche di diesel per il generatore che potevano finire nelle manine sbagliate.

I primi mesi pensavo che se solo fossi stato più attento, avrei potuto proteggervi da tutto. Ma era come trovarsi in mezzo a uno sciame di api: più scacciavi i pericoli e più ne spuntavano. Quando accettammo più bambini mi preoccupavo dell’edificio (non ancora antisismico), del piano superiore (e se qualcuno cadeva?), dei serbatoi dell’acqua (e se ci entrava qualcosa di velenoso?). Ero sopraffatto. A poco a poco, dovetti scendere a patti con il fatto che non potevo controllare tutto, non importa quanto occhiuto e fulmineo riuscissi a essere. Era difficile da mandare giù. Non sono bravo a sentirmi vulnerabile, Chika, o a fare affidamento sul Signore, anche se molti ad Haiti accettavano con naturalezza la Sua custodia. Proteggere i nostri bambini diventò la priorità più grande e angosciosa della mia vita.

Ma dato che eravate tutti così piccoli, pensavo più a incidenti o disavventure, non alla salute a lungo termine.

Poi un giorno, mentre mi trovavo in Michigan, ricevetti una telefonata dal signor Alain.

«Signore, Chika ha qualcosa che non va.»

«In che senso?»

«La sua faccia. È deformata. E cammina in modo strano.»

«L’hai portata dal medico?»

«Sì, signore.»

«Che cosa ha fatto?»

«Le ha dato un collirio.»

«Alain, gli occhi non c’entrano. Riesci a trovare un neurologo?»

«Signore?»

«Un dottore dei nervi.»

«Ne troverò uno.»

Ricordo di aver riagganciato con la sensazione di una minaccia incombente, come il tuono che preannuncia le piogge torrenziali nei pomeriggi haitiani. Non avevamo mai avuto bisogno di un neurologo, Chika. Di un dermatologo sì. Anche di un dentista. Medicinali per la tosse, per la diarrea, paracetamolo per bambini. Ma un neurologo?

Quanto è grave? mi chiesi.

* * *

Quando finalmente trovammo un neurologo, notò la deformazione della bocca e dell’occhio sinistro, e l’andatura sbilenca. Prescrisse una risonanza magnetica. All’epoca ad Haiti c’era solo un’apparecchiatura per la risonanza magnetica e l’esame costava 750 dollari.

Il signor Alain ti portò là. Partiste prima dell’alba. Sei ore dopo, un’infermiera chiamò finalmente il tuo nome. Ti diede da bere uno sciroppo che ti fece addormentare. Ti misero in un grande cilindro, dove intorno alla tua testa vennero generate onde radio e un campo magnetico. Il risultato erano immagini che mostravano l’interno del tuo corpo.

Io avrei detto che dentro eri calda e curiosa e fiduciosa e buffa, Chika, ma il referto della risonanza fu più clinico: «La bambina ha una massa nel cervello. Non sappiamo cosa sia. Ma qualunque cosa sia, ad Haiti non c’è nessuno che possa aiutarla».

Lessi quelle parole.

E tutto ciò che sapevo riguardo alla protezione cambiò.

Chika
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