Tu
QUANDO sei nata io non c’ero, Chika. Sono arrivato ad Haiti qualche settimana più tardi, per dare una mano dopo un terremoto terribile, e dato che mi chiedi di parlare come un adulto, allora posso dire che è stato così violento che in trenta secondi ha spazzato via quasi il tre per cento della popolazione del vostro Paese. Gli edifici sono crollati. Gli uffici sono collassati. Le case in cui stavano le famiglie erano intatte fino a un momento prima e quello dopo erano ridotte a un pennacchio di polvere. Le persone sono morte e sono state seppellite dalle macerie, molti sono stati ritrovati solo settimane dopo, con la pelle ricoperta di polvere grigia. Non sono mai riusciti a fare un conto esatto delle vittime, nemmeno oggi, ma sono state centinaia di migliaia. In meno di un minuto sono rimaste uccise più persone che in tutti i giorni della Rivoluzione americana e della Guerra del Golfo messi insieme.
È stata una tragedia su un’isola dove le tragedie sono di casa. Haiti, la tua patria, è la seconda nazione più povera del mondo, con una storia di avversità e morti numerose, di quelle che arrivano troppo presto.
Ma è anche un luogo di grande felicità, Chika. Un posto di bellezza e risate e fede incrollabile, e di bambini: bambini che durante un temporale si prendono sottobraccio e ballano spontaneamente, poi si gettano a terra ridendo come pazzi, quasi non sappiano che farsene di tutta la loro gioia. Tu eri felice così una volta, anche se eri molto povera.
Ecco come mi è stata raccontata la storia della tua nascita: il 9 gennaio 2010 sei venuta al mondo in una casa di due stanze costruita con blocchi di cemento vicino a un albero del pane. Non c’era un medico. Un ostetrico di nome Albert ti ha aiutata a uscire dal ventre di tua madre. Secondo tutti i resoconti, è stata una nascita sana, hai pianto quando dovevi farlo, hai dormito quando dovevi farlo.
E il tuo terzo giorno di vita, il 12 gennaio, in un pomeriggio caldo, stavi dormendo sul petto di tua madre quando il mondo ha tremato come se la terra brandisse il tuono. La tua casa di cemento ha ondeggiato, il tetto è caduto e la struttura si è spaccata a metà come una noce, lasciandovi esposte al cielo.
Forse Dio vegliava su di te, Chika, perché quel giorno non ti ha presa, e non ha preso tua madre, anche se ha portato via così tante altre persone. La tua casa era distrutta, ma voi due siete rimaste incolumi… nude sotto il cielo, ma incolumi. Tutt’intorno la gente correva e cadeva e pregava e piangeva. Gli alberi giacevano su un fianco. Gli animali si erano nascosti.
Quella notte hai dormito in un campo di canna da zucchero, su un letto di foglie, sotto le stelle, e hai dormito lì per molti, molti giorni. Perciò sei nata sul suolo della tua madrepatria, Chika, tutta quella furia e quella bellezza scatenate, e forse è per questo che certe volte anche tu ti scatenavi piena di rabbia, ed eri così bella.
Sei haitiana. Anche se hai vissuto in America e sei morta in America, sei sempre appartenuta a un altro luogo, come adesso, anche mentre sei seduta qui con me.