UN pomeriggio la sentiamo cantare dalla camera da letto. Janine prende una videocamera. È un gospel intitolato No Longer Slaves che i bambini di Haiti cantano durante le preghiere. Chika lo sta cantando una strofa dopo l’altra, seduta sul letto, con indosso una maglietta gialla e i pantaloni del pigiama.
Di solito, quando un adulto entra in una stanza, i bambini smettono di cantare, soprattutto se quell’adulto cerca di filmarli. Ma quando Janine entra, Chika non si ferma. Ha gli occhi quasi vitrei e sembra in comunione con qualcosa di invisibile.
«I’m no longer a slave to fear
I’m a child of God.»
La canta per otto minuti. Senza sosta. Neppure con la videocamera a pochi centimetri dalla faccia. Quando finisce, si sdraia e chiude gli occhi.
Janine esce dalla stanza sbalordita.
«Ha cantato da sola per tutto il tempo?» le chiedo.
«Non da sola», risponde Janine. «Stava parlando con Dio.»