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Key West, Florida.
15:50.
Gutierrez, Sforza e Veneziani tornarono al porticciolo in tutta fretta, in silenzio e sballottati dai venti provenienti dal golfo. L’aria era fredda e il cielo grigio.
Erano turbati per il suicidio di Verdi, tuttavia da qualunque prospettiva la si guardasse, quella vicenda si era conclusa con una vittoria. La stessa morte del capo dei Tredici era un’alternativa probabile e concreta: il funzionario dell’Aia che gli aveva conferito l’incarico l’aveva persino accettata come possibilità al cinquanta percento.
Non sapevano se tutto ciò che gli aveva rivelato l’anziano fosse la verità o meno. In ogni caso, poco importava ormai. Se il messaggio era stato trovato se l’era portato nella tomba, se non era così potevano essere necessari diecimila anni per trovarlo… E la cosa più importante era che nessuno potesse terminare ciò che quel pazzo aveva cominciato.
Camminarono con passo marziale, attorniati da pescatori e marinai in grande attività per mettere al riparo la loro attrezzatura. C’era un vociare convulso, che si mescolava all’ululato del vento e al canto dei gabbiani. Attraversarono un cantiere navale che stava chiudendo, passando davanti a un capannone su cui troneggiavano adesivi di Mercury, Arimar e Suzuki Marine.
Fino a che Veneziani si bloccò di colpo.
Gutierrez e Sforza si fermarono a loro volta, fissandolo di sottecchi. La sua espressione era cambiata: sembrava che finalmente si fosse improvvisamente rasserenato. Si fosse tolto un peso dalla coscienza.
Il PM era immobile, gli occhi chiusi, al centro della banchina, il vento che gli scompigliava la chioma brizzolata. Improvvisamente non era più lì, ma a Roma, nella camera da letto della sua villa poco distante dall’EUR. Gli tornò in mente sua moglie Agnese. Stava bene, esattamente come i suoi figli. Erano scampati al contagio ed erano stati sottoposti al trattamento con il vaccino Ulybka. Tutto grazie a lui.
La sua paura più grande, di non riuscire a lasciare un segno tangibile ai posteri, era del tutto scomparsa. Assieme ai suoi compagni ora poteva dire di aver scolpito una traccia indelebile, di aver scritto per sempre il suo nome nella Storia. Quanti, oltre a lui, potevano dire di aver esaudito il loro più grande desiderio? Ricordò l’idea romantica della sua pensione e il modellino della barca che teneva sulla boiserie della camera. Aveva raggiunto il suo obiettivo ma mancava ancora un piccolo, trascurabile, dettaglio.
Si voltò di scatto e tornò indietro, verso il cantiere.
I due compagni lo osservarono, non capendo cosa avesse intenzione di fare. Volevano ripartire prima che arrivasse la tempesta (o che qualcuno si accorgesse del corpo dell’Oracolo) ma lui stava andando nella direzione opposta. Lo videro confabulare con un operaio ed estrarre qualche banconota. Tornò verso di loro subito dopo, con pennelli e barattoli di vernice in mano.
«Princess of the Oceans», borbottò, superandoli e dirigendosi al molo dove era ormeggiato il Fenice. «Questa storia è cominciata in mare, sapete? Su una nave che si chiama Princess of the Oceans».
Gutierrez lo radiografò come se fosse un marziano. “E con questo? Cosa c’entra con Verdi?”.
«È cominciata in mare ed è giusto finisca in mare». Veneziani raggiunse lo scafo affusolato del loro panfilo. Si avvicinò alla murata e imbevuto il pennello di bianco cominciò a muoverlo orizzontalmente e verticalmente. Il colore gli schizzò sul viso e sui vestiti, mescolandosi agli spruzzi del mare grosso.
Sforza e Gutierrez si scambiarono un’occhiata. Veneziani aveva ormai quasi completamente coperto di vernice il nome della barca.
«Fenice non ti piaceva», constatò Sforza, togliendo i Ra y-Ban, per capire meglio cosa stesse facendo il compagno. «Lo capisco… ma come ci hai fatto notare questa storia ormai è finita!».
Il PM, di spalle, mise per terra la latta bianca e intinse il pennello nella seconda latta, di colore blu. Gli occorsero pochi minuti per terminare.
«La storia sarà anche finita e io ufficialmente in pensione. Manca però ancora una cosa», proclamò, poco dopo. Si scostò per mostrare il frutto della sua fatica. «Che ne dite?»
«Ma che razza…?». Gutierrez spalancò la bocca, facendo cadere il cubano sull’asfalto bagnato.
Veneziani sorrise soddisfatto.
Adesso, sotto il pulpito di prua del panfilo campeggiava un nuovo nome. Non era molto altisonante, ma per lui aveva un grande significato: Foxy lady.