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01:18.
Sybilla guizzò in piedi, poggiandosi al tavolo e trascinandosi dietro la sedia alla quale era ammanettata. Nonostante il freddo dei condizionatori era madida di sudore, il cuore che martellava all’impazzata.
Gli eventi erano precipitati in pochi istanti. Dopo i primi spari, la donna che era entrata per ultima nella sua cella era corsa fuori con il bambino. Aveva estratto una piccola rivoltella ed era scomparsa lungo il corridoio. La porta si era richiusa alle sue spalle, ma non aveva udito lo scatto della serratura. Forse era rimasta aperta…
Doveva verificarlo.
A fatica si trascinò di un paio di metri fino a raggiungere la maniglia metallica. Era uno di quei modelli circolari, che devono essere ruotati in senso antiorario. Si voltò, per cercare di afferrarla con le mani immobilizzate dietro la schiena, e quando ci riuscì provò ad aprire.
Niente.
Si era sbagliata: era bloccata.
Sarebbe stato troppo facile e in quella giornata nulla sembrava volesse andare per il verso giusto.
Frastornata dal suono persistente dell’allarme, si rizzò sulle gambe, cercando nella penombra qualche oggetto che potesse permetterle di liberarsi. Ma il locale – forse un alloggio non occupato – non offriva nulla che facesse al caso suo: oltre al tavolo e al letto era completamente vuoto.
Si volse ancora verso la porta: un battente unico in metallo, con due aperture di vetro, nella parte alta, dalle quali penetravano le lame di luce tenue del corridoio.
Tornò verso il tavolo e afferrò l’unica altra sedia che ammobiliava la camera, quella su cui era stato fatto accomodare Jonathan. La spinse verso la porta e ci salì sopra con i piedi, per riuscire a sbirciare dalle finestrelle.
A pochi metri di distanza, nell’atrio del livello -2, le porte dell’ascensore si aprirono su un lungo corridoio, identico sia a destra sia a sinistra. L’allarme stava suonando.
«Sto bene!», esclamò il ministro Rodchenko, stringendosi le mani attorno all’addome. Erano impregnate di sangue e anche l’incarnato pallido del ministro comunicava l’esatto opposto. «Proseguiamo con il piano. Da quella parte».
I quattro – il povero el Kamhawi era deceduto nel garage – procedettero nella direzione indicata. Ma solo per pochi metri: uno scalpiccio in fondo al corridoio, oltre l’angolo, li costrinse a fermarsi. Uomini fedeli a Rodchenko o Guardie Speciali?
Sforza e Gutierrez spianarono i mitra, in attesa.
Subito dopo l’americano cambiò idea: chiunque fossero, nel punto in cui si trovavano erano completamente alla loro mercé. Sfiorò il braccio dell’ispettore e gli fece cenno con il capo di tornare indietro. Entrarono nel vano scala che scendeva parallelo all’ascensore nell’esatto momento in cui due guardie girarono l’angolo.
Ansimanti, li udirono confabulare in francese. Non erano russi e, cosa peggiore, i loro passi concitati erano sempre più prossimi. Sembravano diretti proprio verso di loro. Sperarono che procedessero oltre ma non fu così: si fermarono.
Quando la porta si aprì cigolando, Gutierrez non si lasciò prendere alla sprovvista. Con una manata spinse uno dei due militari giù per le scale. Il poveretto rotolò come un sasso lungo la rampa. Terminò la caduta picchiando la testa contro il muro, svenuto.
Con l’altro militare, che era un passo dietro al collega, non fu così facile.
Gutierrez provò a trascinarlo sul pianerottolo ma senza riuscirci. L’uomo si divincolò, assestando una gomitata sul naso dell’americano che balzò all’indietro. Picchiò la nuca contro l’estintore appeso alla parete, che cadde violentemente per terra.
Fu Sforza a intervenire. Mentre la colluttazione si spostava nei pressi del parapetto, afferrò l’H&K MP7 per la canna e piantò il calcio dritto sul collo dell’aggressore. La mitraglietta gli sfuggì tra le dita, cadendo nella tromba delle scale, ma la guardia perse i sensi all’istante.
Rientrati nel corridoio si mossero velocemente verso l’alloggio di Verdi. Secondo il russo occupava uno dei più ampi, nel corpo centrale. Per raggiungerlo, avanzarono con passo svelto e svoltarono due volte a destra.
Quando furono davanti alla porta, Zer si bloccò di colpo.
«Siamo arrivati», confermò a fatica Rodchenko.
«La serratura può essere aperta con un codice o con un tesserino magnetico». Sforza si avvicinò allo stipite, studiando il meccanismo di apertura. Avendo perduto la mitraglietta estrasse il coltello a serramanico che portava alla cintura.
Non fece in tempo a infilarlo sotto la maniglia che Zer lo anticipò, digitando una sequenza numerica. Un clic annunciò l’apertura, ma inutilmente.
Appena furono dentro si resero conto che l’alloggio era vuoto.
Non ebbero modo di elaborare un altro piano che tra una pausa e l’altra della sirena udirono un richiamo lontano.
«Da questa parte!».
Era una voce conosciuta: Sybilla.
Ylenia risalì a piedi dal piano -5.
La base era sotto attacco ma la cosa non le interessava. Come le era stato richiesto aveva scortato il bambino nel laboratorio e adesso tutto quello che stava accadendo non era più affar suo.
L’importante era guadagnare l’uscita e salire su quel dannato aereo.
Mentre percorreva il pianerottolo del livello -4, per un istante la vista le si annebbiò.
Si fermò, prendendo fiato.
La mente andò inevitabilmente al medicinale che le era stato somministrato. Il monito della dottoressa Efimova risuonava netto nella sua testa: «Non si conoscono gli effetti sui soggetti già vaccinati, come lei e il signor Sauer», aveva chiarito, appena prima di piantarle quella strana siringa nel braccio. «Non sappiamo se il siRNA è in grado di neutralizzare l’attivatore, ma questo è il meglio che possiamo fare».
Scacciò quel pensiero. Sarebbe andato tutto bene.
Trascorse un altro istante e le parve di sentirsi meglio.
Scrutò in alto e ricominciò a salire lungo la scala.
«Dannate serrature!», imprecò Sforza, questa volta armeggiando sullo stipite con il coltello.
La combinazione che Zer aveva usato per aprire la serratura di Verdi non aveva funzionato con la porta dietro la quale era rinchiusa Sybilla. Perfettamente logico: ogni alloggio aveva una chiave unica…
«Le guardie hanno anche un tesserino. Un passepartout», precisò Rodchenko. La sua voce era debole, a metà tra la speranza e la paura.
«E dove cavolo lo prendiamo un tesserin…». Gutierrez si bloccò di colpo, voltandosi nella direzione da cui erano arrivati.
«Le scale!», dedusse Sforza. «Il militare svenuto nel vano scala forse ne aveva uno. Vado io!». Si catapultò in direzione degli ascensori senza che gli altri potessero controbattere e scomparve oltre l’angolo del corridoio.
Ylenia scavalcò l’uomo accasciato sul pianerottolo a metà tra il livello -3 e il -2. Salì l’ultimo gradino proprio nel momento in cui Sforza spalancava la porta del vano scala.
Si trovarono l’uno di fronte all’altra, immobili come due giocatori di scacchi. Fu come l’incontro inaspettato di due amici che non si vedono da lunga data, ma con una differenza.
La donna portò la mano alla cintura per afferrare la pistola, ma l’ispettore la trattenne, torcendole un braccio.
Lei si divincolò. Solo per un istante. Non poté opporsi alla forza dell’uomo, che la scaraventò giù per la rampa. Rotolò per una decina di gradini ma giunta in fondo riuscì a mettersi in ginocchio, dolorante.
Fissò in cagnesco la silhouette di Sforza, in cima al pianerottolo, la luce del corridoio alle sue spalle. Puntò l’arma e prese la mira.
L’esito della caduta non era stato esattamente come l’ispettore si era augurato.
Molto male, visto che lei era armata di pistola e lui invece aveva solo un coltello.
Controllò meglio la donna, che si stava muovendo, provando a mettersi in ginocchio. Poi si girò alla sua destra: sul primo gradino c’era l’estintore a gas che si era staccato dal muro durante la colluttazione di Gutierrez, poco prima. Lo agguantò e piantò la lama del coltello nell’ugello di gomma.
Appena udì il sibilo del gas che usciva vi accostò il suo Zippo e contemporaneamente lo fece rotolare giù per le scale.
Si riparò come poté, ma non servì: l’esplosione fu poco più che lo scoppio di un petardo, seguita da una vampata verdastra. Un fumo nero, denso e maleodorante, cominciò però a saturare l’aria.
La vista di Ylenia si annebbiò di nuovo, questa volta all’istante. Gli occhi le si iniettarono di sangue e brividi di freddo la scossero.
Non poteva essere stata la caduta. Era ciò che stava respirando, che le stava penetrando nei polmoni.
Fuoco dovuto all’estintore. Fumo. Benzopireni propagati violentemente nell’aria. Attivatore del VP25.
Il siRNA avrebbe funzionato in presenza del vaccino? Sarebbe stato in grado di neutralizzare l’attivatore?
In quel momento ebbe la risposta.
Fu scossa da un lungo tremito, chiuse gli occhi e non riuscì più a riaprirli.