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Osservatorio
astronomico vaticano VATT,
monte
Graham, Arizona. Contemporaneamente.
Ora locale 12:45.
«Come la fenice il genere umano rinascerà e il Settimo Segreto, il vero messaggio, sarà finalmente chiaro». Il cardinale Klaus Vonn camminava nervosamente nel bunker circolare dell’osservatorio, ripetendosi quella frase fino all’ossessione. Mordicchiava il labbro inferiore con i denti da tricheco e sfregava le mani, giunte dietro la schiena, l’una sull’altra. La fioca luce delle teche sulle pareti che contenevano gli scheletri gli rischiarava la fronte corrucciata.
“Settimo Segreto. Vero messaggio”.
Quelle semplici parole, pronunciate dal capo dei Tredici al Bohemian Grove, avevano chiarito i reali fini della SunriseX. Fin dall’inizio, da quando il Vaticano aveva messo a disposizione i resti dei giganti, Vonn aveva sospettato che la multinazionale avesse un secondo fine. Non gli importava, perché sapeva che in una prima fase i loro interessi coincidevano.
«Dio si occuperà di loro al momento opportuno», ripeteva sempre al povero Mattia Frasca. «Ma fino ad allora abbiamo bisogno gli uni degli altri».
Fino ad allora. Ecco il punto. La sporcizia e la degenerazione morale in cui era caduto il mondo avevano bisogno di pulizia. Il fuoco purificatore dell’Apocalisse, predetto dalla Bibbia, avrebbe dovuto essere il solo, l’unico fine. La SunriseX, invece, aveva posto a fondamento delle sue azioni un obiettivo molto diverso. Blasfemo a dir poco.
Subito dopo il Bohemian Grove, Vonn si era documentato, partendo dalle poche parole pronunciate da Verdi e da uno dei partecipanti alla riunione. L’unica indicazione era un nome: Paul Charles Davies, che era risultato essere un famoso astrofisico dell’Arizona State University. Parlando di Settimo Segreto, Verdi si era riferito alle teorie dello studioso americano su un presunto “messaggio” contenuto nel DNA umano? Era quello il vero messaggio, il cosiddetto “messaggio molecolare”?
Se era così, era chiaro che la riduzione della popolazione mondiale aveva un secondo macabro fine. Chi aveva orchestrato tutto si era basato su un principio molto semplice: il virus avrebbe annientato gran parte della popolazione, permettendo di sopravvivere solo a chi aveva un DNA particolare. Una selezione con lo scopo ultimo di poter ottenere solo individui “speciali”, all’interno del cui genoma cercare il “messaggio” teorizzato da Davies…
«Nel suo ufficio mi hanno detto che l’avrei trovata qui».
Il cardinale si voltò in direzione della porta che dava sulla camera asettica. Al di là del vetro, davanti a una vetrina più piccola – quella che conteneva i resti egiziani dell’Homo floresiensis – c’era Scott Trump, in attesa. Il corpulento addetto alla sicurezza informatica della Specola si era trasferito negli Stati Uniti subito dopo la strana morte di padre Frasca. Con il propagarsi dell’epidemia era stato deciso che tutto il personale sarebbe stato più al sicuro nel bel mezzo delle montagne dell’Arizona.
«Hai trovato qualcosa?», lo interrogò il cardinale, mentre digitava su un tastierino numerico un codice a dieci cifre. Una luce verde gli scansionò la retina e la porta scorrevole si aprì in un crepitio appena percettibile.
L’americano fece qualche passo ed entrò nel bunker. Mosse il mento in direzione delle teche con gli scheletri e cominciò: «I contratti di sfruttamento dei nostri… reperti grandi, per così dire, sono con una società che ha sede legale a Panama». Fissò il suo tablet e proseguì. «Questa fa capo a una serie di holding, scatole cinesi per lo più. La parte interessante è che sono tutte collegate, direttamente o indirettamente, sia alla società che ha in concessione il Bohemian Grove sia alla SunriseX International».
«Quindi?», tagliò corto Vonn, l’imponente porta metallica che si richiudeva dietro il tecnico. Una leggera corrente d’aria gli investì le spalle.
«In pratica è come guardare un teatro di burattini con un solo burattinaio».
«Scommetto che il burattinaio è il nostro fan di Giuseppe Verdi».
«Esattamente. La cosa che mi ha incuriosito è che fa capo al misterioso benefattore con la barba anche un’altra società: l’Ulybka Corporation».
Quel nome era ben noto a Vonn. Era dall’Ulybka di Michail Rodchenko che il Vaticano, grazie a monsignor De Lestes, aveva acquistato i resti della mummia di Giza. Il sarcofago era stato ritrovato dai russi negli anni Sessanta e custodito per trent’anni dall’Accademia Sovietica delle Scienze. Negli anni Novanta, alla caduta del URSS, molti dei reperti erano finiti in mano ai privati: il ministro era stato il più abile a impossessarsi dei resti che si diceva fossero appartenuti al dio Osiris.
La mummia – che ora era custodita insieme a tutte le altre in quella struttura nel bel mezzo del deserto dell’Arizona – aveva una fisionomia del tutto particolare. Grandi orbite, un capo allungato e una fronte spaziosa. Ciò che aveva però convinto Vonn e De Lestes a offrire trecento milioni di dollari all’Ulybka erano le sei dita delle mani: lo stesso numero dei giganti.
«Quindi la società di Michail Rodchenko e la SunriseX, in definitiva, fanno capo allo stesso burattinaio», sintetizzò il cardinale, accarezzandosi il mento.
«È così». Scott Trump socchiuse le palpebre per cercare di abituarsi alla semioscurità. «Fingono di farsi la guerra a suon di brevetti però, a quanto pare, condividono due progetti collegati. Il nostro amico ha portato avanti due piani paralleli, che in qualche maniera devono essere connessi al fantomatico messaggio».
Il tecnico porse il tablet a Vonn. Si vedeva la mappa di un lembo di terra circondato dal mare Adriatico. «Ho due cose da mostrarle», precisò, muovendo le sue dita grassocce sul display capacitivo. «La prima è questa, l’isola di Saseno, al largo delle coste dell’Albania. È lì che la SunriseX ha stoccato i vaccini per il VP25. Contemporaneamente, nello stesso luogo, nella struttura della vecchia base sovietica, l’Ulybka ha fatto costruire un immenso data center. Stiamo parlando di un centro di elaborazione dati con migliaia di supercomputer alimentati da pannelli solari… Pare che gli edifici siano addirittura a prova di esplosione nucleare».
«A cosa serve una tale potenza di calcolo? Che io sappia l’Ulybka non fornisce servizi informatici».
«Non li fornisce infatti… e qui arriviamo al dunque: forse serve proprio a cercare il famoso “messaggio”?». Lasciò che la domanda cadesse nel silenzio meditabondo del cardinale. Poi proseguì: «Adesso le mostro la seconda cosa».
Trump mosse il pollice e sullo schermo comparve un articolo: parlava di un omicidio avvenuto nei pressi di Mosca, circa un mese prima.
«Delitto degli infanti dalla bocca cucita?», incalzò il cardinale, non capendo la correlazione con ciò che si erano detti fino a quel momento.
«Secondo la mia fonte non si tratterebbe proprio di infanti… Pare che l’Ulybka gestisse nei pressi di Istra una strana installazione».
«Che tipo di installazione?». Il viso grassoccio di Vonn si fece curioso. Piccole rughe si disegnarono attorno agli occhi.
«Sulla carta è una specie di centrale elettrica innovativa, che pare si basi sulle teorie di Tesla», fece Trump. «In realtà, però, sembra si occupino di ben altro: qualcosa che in effetti richiede grandi fonti di energia… In una parola sola: eugenetica».
«Il termine eugenetica mi ricorda gli esperimenti genetici dei nazisti, alla ricerca dell’essere umano perfetto. Cos’ha a che fare con i russi? Fanno studi simili? Creano esseri umani in laboratorio?». Vonn deglutì, fissando l’articolo. «Ne sei certo?»
«Assolutamente. E non esseri umani qualunque: il giornale ha enfatizzato molto la notizia, peraltro smentita dalle autorità, che i due bambini avessero sei dita sia nelle mani sia nei piedi. È stato questo che ha fatto letteralmente esplodere il mio algoritmo di ricerca…». Trump sorrise alla sua stessa battuta. «La mia fonte, comunque, si è spinta oltre: sembra addirittura che facciano ricerche su ibridi uomo-animale…».
Il cardinale scorse l’intera pubblicazione. Non c’erano fotografie degli “infanti dalla bocca cucita”, ma a quanto pareva erano morti di fame nell’impossibilità di mangiare. Per qualche strana ragione, la descrizione rilasciata da un testimone gli ricordò la bocca della mummia di Giza. Alzò gli occhi e la inquadrò dentro la teca: aveva più di diecimila anni ma nel suo sorriso serrato c’era qualcosa di estremamente inquietante. «Oppure ibridi di uomo con qualcos’altro!», esclamò, amaro.
L’americano annuì, soddisfatto della stessa deduzione a cui era arrivato lui. Le informazioni che stava per rivelare gli erano costate un cospicuo gruzzolo di Bitcoin. «E qui siamo al pezzo forte: l’Ulybka gestisce anche un laboratorio nei pressi di Giza, non lontano da dove fu rinvenuto il nostro hobbit. È lì, a quanto pare, che portano le loro cavie…».
«Gli infanti dalla bocca cucita. Sei dita», ripeté perplesso Vonn. «Servono a quello che penso io?».