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Little San Salvador Island, Bahamas.
Domenica 14 marzo.
La casa era piccola ma godeva di una vista tentacolare sul golfo smeraldo. Era nel classico stile creolo francese, di legno con ballatoi decorati e le pareti dell’unico piano dipinte di giallo, azzurro e viola. Il tetto, rivestito di paglia e che copriva l’ampia veranda, la faceva assomigliare in tutto e per tutto al bungalow di un villaggio turistico. E in effetti, era ciò che quella costruzione che dominava la collina era stata fino allo scoppio del contagio.
L’isola, distante solo dieci miglia marine da Nassau, era stata un paradisiaco scalo turistico per le navi da crociera in viaggio nei Caraibi. Dalla fine dell’epidemia, che lì aveva colpito più duramente che altrove, era rimasta però pressoché disabitata. Le sue strutture extralusso, dislocate sulle scintillanti spiagge bianche, erano abbandonate a loro stesse così come il porticciolo nei pressi del caratteristico Pirate Cove.
«Come vedi il tuo futuro?», aveva domandato, qualche mese prima, Nobile a Sybilla. Avevano appena intrapreso il viaggio che dall’Amazzonia li avrebbe portati a Cuba, subito dopo aver ritrovato John Tan-Tan. Erano al largo della Giamaica e la ragazza aveva risposto con uno speranzoso: «Voglio credere che abbiamo una possibilità». Aveva sorriso e guardando il mare aveva proseguito: «Ti sembrerà folle, ma io continuo a pensare che quando tutto sarà finito avrò una casa, magari proprio su un’isoletta… e una famiglia!». Subito dopo, si erano scambiati il primo bacio.
Sembrava passata un’eternità da quegli eventi. Gli ultimi mesi erano trascorsi nell’assoluta tranquillità: dopo che il laboratorio del Cairo si era messo a lavorare sul nuovo vaccino, loro avevano deciso di tagliare tutti i ponti con il passato.
Era stata Zer, la chimera per anni al servizio di Verdi, a fornirgli le indicazioni per trovare quel posto. E aveva fatto di più: aveva rivelato che il Fenice – il panfilo di ventiquattro metri di proprietà del capo dei Tredici – era ormeggiato nel porto di Alessandria. L’anziano lo aveva messo a disposizione di Dragan Sauer per ringraziarlo di avergli portato il bambino. Il mercenario, però, dietro le sbarre di un carcere egiziano, non ne avrebbe più avuto bisogno. Esattamente come Verdi, che era fuggito chissà dove a bordo del suo elicottero.
Nobile e Sybilla si erano guardati e avevano accettato l’offerta. Scortati dagli uomini di Nikolaj Pavlovic si erano avventurati per oltre duecento chilometri nel Governatorato di Buhayra e avevano raggiunto la città sul Mediterraneo.
Il Fenice era in effetti ormeggiato nel porto, carico di provviste e pronto per partire. L’equipaggio, avvisato per tempo, era stato felice di scortare ai Caraibi quelli che la stampa aveva definito “i salvatori del mondo”.
La chimera e i suoi dodici cloni, Quattordici compreso, non avevano però intrapreso lo stesso viaggio: nel suo linguaggio dei segni Zer aveva comunicato che il deserto era il luogo giusto per vivere. Lì – nella terra del loro progenitore Osiris – tra tribù nomadi di Tuareg, avrebbero potuto mimetizzarsi senza che nessuno sapesse della loro esistenza.
Quanto a Gutierrez, Veneziani e Sforza, loro avevano programmi differenti…
«Hanno levato le ancore questa mattina, poco dopo l’alba». Antony Milano, infradito, shorts di jeans al ginocchio e cappellino da baseball che metteva in risalto le lentiggini, indicò verso il porticciolo. Era affacciato al parapetto della casa di Niccolò e Sybilla, un bicchiere d’acqua in mano.
«Secondo te c’entra l’uomo che è venuto la settimana scorsa? Il tizio dell’Aia?». La ragazza era incredula. Si massaggiò il pancione, ormai alla ventesima settimana di gravidanza, e incontrò gli occhi profondi dei due uomini.
«Il colonnello ha portato via la mappa del tesoro», specificò, annuendo, Milano.
La mappa del tesoro.
L’ultimo regalo di Zer, prima che si salutassero per sempre, erano state proprio quelle carte del Golfo del Messico, su cui erano tracciate alcune x colorate.
Non indicavano un tesoro, naturalmente, ma un qualcosa di molto più prezioso…
«E ha lasciato solo questo?», domandò ancora Nobile, scrutando alla sua destra, sul fianco della collina su cui erano dislocate altre costruzioni identiche alla sua. Le imposte degli alloggi di Sforza e Veneziani erano sbarrate.
Si concentrò sul biglietto, vergato a mano con inchiostro nero. La scritta non lasciava spazio a molte interpretazioni:
Niccolò, siamo sicuri che ci perdonerai per non averti coinvolto, ma ora tu hai altre priorità… Prendiamo in prestito il Fenice ma saremo di ritorno prima che diventi papà!
Scosse il capo, combattuto. Non sapeva se essere più arrabbiato o più riconoscente. Gutierrez, Sforza e Veneziani non lo avevano coinvolto nella loro impresa per non metterlo in pericolo… dopotutto presto sarebbe diventato papà di un secondo figlio: lo sferragliare della bicicletta di Jonathan, che scorrazzava davanti a due splendidi oleandri bianchi fioriti, lo riportò al presente. Contemplò il bambino e sorrise.
La mappa dell’isola del tesoro.
Mentre scrutava il sole che si nascondeva dietro una nuvola spumosa, si augurò che lo trovassero davvero.