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Il Cairo.

00:38.

 

«Sono io la vostra alternativa. Siamo noi». Al riflesso della candela il viso di plastica di Rodchenko si contrasse in una smorfia. I suoi occhi color pece scintillarono però di una luce sinistra, diversa dal solito.

«Figlio di puttana!». Nobile si scagliò contro il politico, che alzò le mani in segno di resa.

Fu Sforza a fermarlo. «Lascialo parlare!».

Il ministro annuì, in segno di ringraziamento verso l’ispettore. «Ammetto che in queste settimane non sono stato del tutto onesto con voi».

«Onesto?». Nobile, ancora trattenuto per un braccio da Sforza, ringhiò con rabbia. «Onesto? Ci hai fatto quasi ammazzare… per proteggere questo folle progetto. Sei contento adesso? Hai quello che volevi, i bambini e Sybilla!». L’ultimo nome fu pronunciato più lentamente, quasi soffocando un singhiozzo.

«Ve la prendete con la persona sbagliata», si giustificò Rodchenko, avanzando di un passo. Socchiuse gli occhi, come distratto da un richiamo lontano: da qualche parte, in strada, una sirena aveva preso a suonare. «Mi dovete capire, come tutti obbedivo semplicemente a degli ordini».

«Ordini dell’uomo “che dobbiamo ringraziare per tutto questo”?». Veneziani usò volutamente le stesse parole pronunciate dal russo al suo arrivo. Posò lo sguardo prima su di lui e poi sulla strana creatura che si era portato dietro. «Quindi dovremmo credere che non è lei l’artefice di tutto?»

«Non sono io in effetti», ammise il russo. «Sono una pedina, forse un po’ più importante di voi, ma pur sempre una pedina. Il burattinaio è un altro, un uomo che si fa chiamare “l’Oracolo”. Alcuni lo hanno soprannominato “Giuseppe Verdi”».

«E adesso improvvisamente lei ha deciso di cambiare bandiera?», si informò Veneziani, un velo di incertezza nella voce. Anche volendo credergli, l’esperienza gli aveva insegnato che non era possibile fidarsi di quell’uomo. Ciò che faceva, lo faceva solo nel suo esclusivo interesse. «Perché questa volta ci dovremmo fidare di lei?»

«Perché le cose cambiano». Per un istante, soltanto uno, Rodchenko si incupì, ripensando agli ultimi momenti trascorsi con Tommaso Signorini. Anche il suo amico era stato una pedina. La prima a essere sacrificata, oltretutto. Probabilmente non l’unica. Non lo disse al gruppo, ma si limitò a poggiare una mano sulla spalla di Zer, che lentamente si srotolò il foulard dal capo. «Vedete questa donna? È l’esemplare “numero Zero”, da qui il nome con cui lui la chiamava. È un semplice test, la facemmo prima di mettere in produzione le cavie. Soprattutto è disposta ad aiutarci…».

Sul fatto che quella specie di individuo fosse identico a Quattordici non ci potevano essere dubbi: testa grossa, pelle grigia, bocca e naso minuscoli. Almeno su quello era impossibile mentire.

«Zer conosce l’Oracolo meglio di chiunque altro», spiegò Rodchenko. «Sa a cosa servono le chimere e soprattutto come liberarle. Io, invece, conosco la base…».

«Se hai già ciò che ti serve, cosa sei venuto a offrirci?». Fu lo Zar, che conosceva Rodchenko molto meglio degli altri, a rivolgersi a lui con tono indagatore. Nel frattempo, il suono di pochi istanti prima si era fatto più chiaro: sirene della polizia. Si stavano avvicinando.

«Vi offro una chance di sopravvivere in cambio di un piccolo aiuto».

El Kamhawi sorrise. «Ha un esercito alla base», sottolineò, da militare esperto. «È vero che organizzare una specie colpo di Stato all’insaputa di questo Verdi è rischioso. Se vuole scalzarlo dal posto di comando non può semplicemente affidarsi ai suoi uomini? Non si fida di loro?».

Rodchenko accennò un sorriso maliardo, mostrando gli incisivi. «Ho settantacinque anni. Sono uno dei cento uomini più ricchi al mondo: non mi interessa prendere il posto di nessun altro. È arrivato il tempo di fare la cosa giusta. Se un karma esiste è il momento di aggiustare le cose per il male che ho fatto fino a oggi». Si fermò con una pausa teatrale e studiò nella penombra le reazioni degli occupanti della stanza. «Per rispondere alla sua domanda: i miei uomini sono semplici mercenari. Vanno con il miglior offerente. Il problema è che ora non sono più neppure nella base. Io stesso sono poco più di un ospite in casa mia e i miei militari sono stati quasi completamente soppiantati dalle Guardie Speciali di Verdi. Si è preso la struttura e ci ha messo dentro il suoi soldatini fidati!».

«Insomma», lo schernì lo Zar, che si trovava nell’insolita situazione di aiutare l’uomo che l’aveva tradito, «possiamo dire che questa volta hai bisogno di noi…».

«Sì», ammise serenamente Rodchenko, mordicchiandosi le labbra. «Ma c’è anche un’altra ragione più sentimentale, se volete: mi servono uomini disposti a combattere per i giusti ideali!».

Sforza applaudì, prima lentamente e poi con maggior vigore. «Bella interpretazione. I “giusti ideali” sarebbero quelli di creare un vaccino davvero efficace contro il nuovo Ebola?»

«C’è ancora tempo per fermare questa follia», insistette il russo. «I militari di Verdi non sono ancora tutti arrivati e sul piano tecnico sono solo all’inizio: stanno esaminando il genoma dei “fratelli” di Zer, in attesa che arrivino le vere cavie, i sopravvissuti del morbo».

A quelle parole Veneziani cominciò a considerare l’idea che questa volta Rodchenko stesse dicendo il vero.

I fratelli di Zer. Le chimere.

Quella parte del racconto faceva il paio con quanto esposto da Vonn due giorni prima… la ragione per cui si erano accordati con il religioso ed erano andati fino in Egitto.

«…ammetto di essere stato parte del progetto», proseguì il ministro. «Ma è sempre possibile cambiare idea, no? Mar’ja Efimova, il capo dipartimento dell’Ulybka, è un ottimo scienziato. E soprattutto è una persona fidata e ragionevole: se davvero è possibile fare ciò che pensate, lei è la persona giusta».

«Dimentica un dettaglio non trascurabile: per creare il vaccino serve il soggetto immune». Sforza incrociò le braccia, saccente. «Ma scommetto che il piccolo, assieme a Quattordici e Sybilla, sono già da qualche parte in quella base sotterranea».

Il ministro annuì. «Certo che sono lì. È grazie alla loro inaspettata visita che ho scoperto che eravate in città». Mentre parlava studiò l’espressione di Zer. Quando aveva udito quel nome, Quattordici, la donna aveva sollevato il mento. «Non vi siete domandati il motivo per cui le mie ultime guardie si sono limitate a fotografarvi, fuori dalla base? Non sapevo quando e se sareste arrivati: ho avuto la conferma solo quando ho visto la sua fotografia, ispettore Sforza. A proposito, è davvero fotogenico…».

Mentre parlava, il rimbombo della sirena si fece più prossimo. Una frenata. Dalla strada giunsero i suoni di portiere che si chiudevano e voci concitate.

«Direi che abbiamo finito. La polizia è qui», concluse il russo. «Se siete con me, questo è il momento di seguirmi».