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Giza, Egitto, 19 settembre. Il giorno successivo.
Ora locale 14:08.
L’Ulybka Corporation aveva sede in un impersonale complesso alle porte del Cairo. Si trattava di una serie di edifici a forma di parallelepipedo, del tutto anonimi e ingrigiti dalla fuliggine. Il palazzo più alto – il Building 3 – risaliva ai primi mesi del 1962, quando i russi del Progetto ISIS si erano installati in quello che allora era un anonimo angolo di deserto. Si componeva di cinque piani, piccole finestre squadrate e una grande terrazza con eliporto.
Ciò che distingueva la struttura dalle costruzioni limitrofe, simili in tutto e per tutto, era il filo spinato che sormontava il muro perimetrale. Un cartello apposto sulla recinzione recitava, in arabo e inglese, il medesimo messaggio: PROPRIETÀ PRIVATA. SORVEGLIANZA ARMATA.
Giuseppe Verdi raggiunse il compound nel primo pomeriggio, quando il caldo era ancora asfissiante. Davanti alla sua Bentley blindata, il cancello a doppio battente si aprì lentamente e due guardie in candide tute hazmat fecero cenno di entrare. L’auto percorse lentamente il selciato polveroso e si diresse a una costruzione più bassa con il tetto sporgente. Si avvicinò a un portone basculante già aperto ed entrò in un garage sorretto da pilastri colorati d’arancione. Di fronte a una parete di metallo lo attendevano due paramilitari in compagnia di Michail Rodchenko.
«Ha fatto buon viaggio?», cominciò il ministro russo. Il portone si era appena richiuso, lasciando il grande garage in una luce bluastra.
«Il posto è ben mimetizzato», si limitò a borbottare Verdi, mentre scendeva dall’auto aiutato dall’assistente Zer. La donna – chador scuro che le copriva capo e parte del viso – gli comunicò qualcosa con il linguaggio dei segni. Poi si accodò al suo padrone.
«Viviamo nell’epoca dei satelliti spioni», sorrise Rodchenko, porgendo la mano. «L’unico modo per garantire la segretezza era fare un bel buco e chiuderci dentro. Abbiamo costruito cinque piani interrati sotto la base originaria. Siamo a prova rischi NBCR. Siamo preparati a resistere ad agenti nucleari, batteriologici, chimici e radiologici di livello 3; se scattano i sistemi di sicurezza i laboratori vengono automaticamente sigillati: il supporto vitale e ogni altro comando viene trasferito nella sala di osservazione… dove la sto portando».
Con rammarico il ministro si fermò. Era stato costretto suo malgrado a smobilitare i suoi uomini per cedere l’intera struttura a colui che gli stava davanti. Il progetto, si era deciso al Bohemian Grove, era estremamente importante e quello era il luogo ideale dove realizzarlo. Non si erano minimamente presi in considerazione i cinquant’anni di storia della struttura né tutti i reperti archeologici che conteneva. «Vedrà che avete fatto un buon affare: gli alloggi per i suoi corpi speciali sono già stati liberati e i depositi sono in fase di smobilitazione».
Verdi sguainò uno sguardo di finta ammirazione ed evitò accuratamente di stringergli la mano. In quel momento la paratia di acciaio dietro il ministro si mosse, rivelando due porte scorrevoli, una scala che scendeva e un grande ascensore. Ci sarebbe potuto entrare un furgone di medie dimensioni.
Rodchenko, impettito nel suo abito blu, finse di ignorare la scortesia del suo ospite e fece strada.
«A che punto sono le vostre ricerche?», si informò Verdi, mentre l’ascensore scendeva con rumore ovattato.
«Negli ultimi anni abbiamo fatto passi da gigante», rispose senza modestia il ministro. «Come ben sa, i primi esemplari avevano qualche piccolo problema ma, grazie agli AW di Istra, siamo arrivati a produrre embrioni con genoma modificato. Attualmente stiamo finendo di mapparlo».
L’anziano non chiese cosa fossero gli AW: i dettagli sul come non lo avevano mai appassionato. Fino a qualche tempo prima era stato interessato alle attività dell’Ulybka ma mai sul piano puramente tecnico. Adesso, in ogni caso, aveva piani molto più grandi da portare avanti: riteneva più utile dedicarsi agli elementi concreti. «Quante unità avete prodotto in tutto?»
«Quindici, come da accordi». Rodchenko lanciò un’occhiata di sottecchi a Zer. «Più naturalmente il “progetto pilota”. Purtroppo nell’ultimo viaggio dalla Russia tre esemplari appena giunti a maturazione sono andati perduti».
Verdi scosse il capo con tracotanza. «Ho letto che avete fatto un po’ troppo rumore».
«I giornalisti sono bravissimi a montare casi inesistenti».
«Come li hanno chiamati? “Infanti dalla bocca cucita”?».
Rodchenko agitò la mano, come per allontanare quel pettegolezzo, ormai oltretutto privo d’importanza. «Be’», sbottò, «era già programmato che la base di Istra venisse chiusa, esattamente come questa. E adesso, grazie a voi, i giornali si devono occupare per forza di altro».
In quel momento la porta si spalancò su un atrio illuminato da luci al neon. Una scritta a caratteri cubitali, dipinta tra due porte blindate, indicava che erano scesi al livello -5.
«A proposito», disse Verdi, con il chiaro intento di portare la discussione su ciò che gli premeva di più: «Ha notizie sul setaccio?».
Il setaccio.
Quello era il nomignolo confidenziale con il quale Verdi identificava il Protocollo Fenice. Credeva di essere come un cercatore d’oro con un setaccio tra le mani: il genere umano sarebbe stato spazzato via e solo gli individui migliori, quelli con il DNA che lui stava cercando, sarebbero sopravvissuti. “Il setaccio”, la selezione artificiale, implicava la morte di sette miliardi di individui. Il fine era isolarne cinquecento milioni: solo così avrebbe potuto identificare il vero messaggio.
«Ho sentito la SunriseX ieri», illustrò il ministro. Digitò un codice sul tastierino accanto a una delle porte. «Le vaccinazioni su scala globale sono a circa l’ottanta percento. Ci sono ancora poche nazioni canaglia e delle sacche più resistenti che rifiutano il trattamento. Greenidge però confida che presto tutti si uniformeranno».
«L’attivatore?»
«In diverse parti del mondo i livelli di benzopireni sono sufficienti e il VP26 è già stato rilasciato. La FEMA statunitense recentemente ha confermato alcuni casi». Un clic appena percettibile annunciò l’apertura della serratura elettronica. «Eccoci: questo è il laboratorio B, il principale. C’è anche un laboratorio A, dalla parte opposta, per adesso è vuoto e pensavamo di destinarlo alle cavie. Questa però è una decisione che prenderanno i suoi tecnici, dopotutto ora è casa sua…».
Verdi entrò nel grande spazio con uno sguardo imperscrutabile. Il locale era ampio, una specie di sala comando simile alla plancia di una torre di controllo: enormi monitor OLED erano appesi a tutte le pareti come arazzi medioevali. Su un lungo pianale color ghiaccio era sistemata una decina di console e sulla sinistra campeggiava una grande vetrata di cristallo. Oltre, si vedevano tre file di strutture blu, strani lettini d’ospedale sormontati da cupole di vetro. Sulla parete erano state collocate cappe a flusso laminare, sequenziatori e altri dispositivi per le analisi del DNA.
«Bene. Quali sono i tempi? Quando potremo cominciare?».
Rodchenko trattenne a stento un sorriso amaro. Il cinismo becero di Verdi metteva i brividi perfino a lui.
“Quando potremo cominciare?”.
La risposta era soltanto una: dopo l’annientamento del genere umano…
«I militari della sua Guardia speciale saranno qui per il fine settimana. Per fargli posto la maggior parte dei miei è già stata trasferita a Saseno. Per quanto riguarda i bioinformatici, i biologi molecolari specializzati nelle analisi degli algoritmi per l’analisi del genoma, arriveranno a giorni. Insieme, attendiamo anche la capo divisione, la dottoressa Mar’ja Efimova», balbettò, cercando di mantenersi equilibrato. «Per l’esito dell’esperimento… be’, per quello non è facile prevedere i tempi. Come avrà saputo, la prima cavia, il missionario Fernandes, non era compatibile».
«Tra poco, grazie a Fenice, avremo cinquecento milioni di cavie compatibili», ruggì Verdi. «Quanto tempo ci vorrà?».
Quanto ci vorrà?
«Impossibile dirlo!». Rodchenko scosse il capo, per la prima volta nella sua vita a disagio. «Non sappiamo esattamente cosa stiamo cercando, probabilmente schemi non causali nelle sequenze nucleotidiche».
«Quanto?». Il capo dei Tredici alzò un dito in maniera teatrale per fermare il ministro, che stava evidentemente temporeggiando. Una luce sinistra gli attraversò lo sguardo affilato.
«Uno, come diecimila anni!».