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Osservatorio astronomico vaticano VATT, monte Graham, Arizona.
10:50.
Il sentiero era coperto degli aghi secchi e ingialliti dei pini. Si insinuava, in salita, tra una selva di alberi protesi verso il cielo. In lontananza, tra il cinguettio degli uccelli e il frusciare secco di rami, si udiva il gorgoglio di un corso d’acqua. Nonostante non tirasse un alito di vento, l’aria mattutina era frizzante per l’altitudine, pregna dell’odore intenso della resina.
«Sapete cos’è l’ominazione?», li interrogò a un certo punto Vonn. Camminava davanti al gruppo con le mani giunte dietro la schiena, un tablet da nove pollici tra le dita.
Veneziani lanciò un’occhiata a Sforza, senza rispondere. A loro si era aggiunto Gutierrez che chiudeva la fila, con l’M-16 penzolante a tracolla e la canna verso il terreno.
«È l’insieme dei processi che ci hanno fatto diventare quello che siamo… Sapete che alcuni geni, immutati in tutti i vertebrati, nell’uomo hanno subìto sostanziali cambiamenti? Ciò è avvenuto in un tempo estremamente breve, se osservato in termini evoluzionistici: queste mutazioni hanno interessato specifiche parti del genoma, quelle che hanno a che fare con lo sviluppo cerebrale, per esempio, il cosiddetto HAR1. Oppure che riguardano il bipedismo, l’opponibilità del pollice o ancora il linguaggio articolato».
«Eminenza…», provò a interromperlo Sforza.
Il religioso non si voltò, ma disgiunse le mani e fece chiaramente segno di lasciarlo parlare. «Il nostro genoma è costituito da tre miliardi di nucleotidi, che nella storia hanno subìto cambiamenti casuali rarissimi. Come è possibile spiegare che le mutazioni rispetto allo scimpanzé si siano concentrate proprio in regioni come l’HAR1? Stiamo parlando di soli 118 nucleotidi contro tre miliardi. È una pura casualità?»
«Mano divina?», ipotizzò, quasi per scherzo, Sforza. Si sistemò gli occhiali da sole e contemplò la nuca grinzosa di Vonn, per saggiarne la reazione.
«Adesso ci siamo», disse inaspettatamente quest’ultimo. «Questa è proprio la domanda che dobbiamo porci».
«Non dovrebbe essere la base della fede?», fece notare Gutierrez, ironico. Digrignò le labbra intorno al cubano. «Anche se il fatto che il Vaticano gestisca un osservatorio astronomico così avanzato dovrebbe far riflettere…».
Vonn non cadde nella provocazione: il suo rapporto con Dio era sempre stato conflittuale e si acuiva proprio quando la sua essenza di scienziato lo metteva di fronte alla crudezza dei numeri. «Mano divina? In effetti esistono due macroipotesi su chi possa aver manipolato il DNA dei primati per incanalare l’ominazione».
Una poiana si sollevò dalla punta di un pino e per un secondo il cardinale si interruppe. Scrutò il cielo, come se vi stesse leggendo ciò che si accingeva a spiegare. «Immagino conosciate la teoria degli antichi astronauti».
«L’uomo sarebbe stato creato da extraterrestri, giusto?». Quella era una delle ipotesi che andavano per la maggiore sui siti internet e sui social network, almeno fino a quando il mondo non era andato a rotoli. Nobile non vi aveva mai dato troppo credito, tuttavia almeno la conosceva. «Il loro fine era creare una razza di schiavi che però fosse in grado di comprenderli e obbedirgli?»
«Ma per favore, ancora con questa storia». Gutierrez sputò per terra, stizzito. «Diceva Chesterton che chi non crede in Dio è disposto a credere poi a qualunque cosa».
Il cardinale, inaspettatamente, annuì. «Molti libri dell’antichità, a cominciare dalla Bibbia, parlano di “dèi scesi dal cielo”. Spesso vengono descritti come individui in carne e ossa, che devono mangiare, si sporcano, hanno bisogni fisiologici. Nel Crizia vengono chiamati theoi, ma riferimenti analoghi sono presenti dalle saghe nordiche fino all’Epopea di Gilgameš. Tutte le religioni sono praticamente concordi».
«Strane parole, in bocca proprio a un religioso», commentò Sforza, senza preoccuparsi troppo di offendere Vonn. Anche lui era stanco per la scarpinata in salita ma, come l’americano, non era solo il sudore a infastidirlo.
«Ammettere un fatto scientifico incontrovertibile non significa necessariamente rinnegare Dio», lo riprese il cardinale. «Sostenere che l’uomo è frutto di ingegneria genetica non equivale a dire che Dio non esiste. Il problema non è questo!».
«Vada avanti», lo invitò Veneziani. «Prima parlava di due macroipotesi su chi potrebbe avere modificato il DNA delle scimmie».
«L’alternativa agli dèi venuti dal cielo è l’esistenza di una civiltà molto avanzata perduta nel tempo». Vonn si interruppe, socchiudendo gli occhi. Per un istante, solo uno, fu sul punto di dire basta: di andare nella cappella e chiedere perdono per i suoi pensieri blasfemi. Oltre che un religioso, però, era anche un uomo di scienza… E soprattutto lo stava facendo per una nobile ragione.
«Per Platone, i sacerdoti egizi riferivano di una società avanzatissima, esistita oltre dodicimila anni fa. Sarebbe stata spazzata via da una grande calamità naturale».
«Conosco anche questa teoria», ammise Nobile, perplesso. «Ha a che fare con la SunriseX e con ciò di cui abbiamo bisogno?»
«Potrebbe…», assentì Vonn. «Dopotutto siete arrivati fino a me proprio a causa di una mummia egizia vecchia di diecimila anni».
Veneziani toccò appena il braccio di Nobile. Non capiva esattamente dove volesse arrivare il religioso con il suo ragionamento, ma almeno valeva la pena lasciarlo finire.
«…per la scienza ufficiale, l’uomo è uscito dall’età della pietra più o meno cinquemila anni fa, al tempo dei sumeri. È possibile che l’ascesa del genere umano fosse già stata compiuta in tempi ancora più remoti? Pensate alla Sfinge: è risaputo che il corpo del leone presenta un’erosione differente dall’ambiente che lo circonda. Non mostra striature orizzontali, come quelle causate dai venti e dalla sabbia del deserto, ma ondulate e arrotondate. Solo grandi precipitazioni, estremamente violente, possono avere creato quei segni. Fenomeni simili si sono verificati in Egitto alla fine dell’ultima glaciazione… dodicimila anni fa.
«La grande calamità di Platone, quella che annientò questa civiltà, potrebbe essere il diluvio universale?»
«Questo daterebbe l’esistenza della Sfinge migliaia di anni prima dei faraoni…». Vonn si fermò, ansimando per la scarpinata e allo stesso tempo per l’aria rarefatta dovuta all’altitudine. Davanti a lui si apriva una radura affacciata sulla vallata sottostante. In giornate di vento intenso, da quel punto panoramico si godeva di una vista mozzafiato sui laghi del Dankworth Pond State Park e oltre sulla Gila National Forest.
«E come spiega che la testa della Sfinge rappresenta proprio un faraone?». Per Gutierrez quella era un’osservazione assolutamente pertinente. Un’osservazione a cui il religioso non poteva controbattere.
Vonn invece sorrise, felice di poterlo fare. Si asciugò il sudore dalla fronte e fissò il militare. «Ha mai fatto caso che il corpo della Sfinge è lungo e schiacciato e la testa sproporzionata, sensibilmente più piccola? Ciò indica semplicemente che la testa attuale non è quella originale: è stata ricostruita successivamente alla distruzione di quella prediluviana».
«Cardinale…». Questa volta fu Sforza a interromperlo, esasperato dalla deriva che stava prendendo quella conversazione. Ma dovette ingoiare in fretta le sue perplessità.
«Arrivo subito al punto», lo rassicurò Vonn. «Se davvero siamo frutto dell’ingegneria genetica – chiunque ne sia l’autore – è possibile che i nostri creatori abbiano lasciato tracce all’interno del DNA umano».
«Di cosa stiamo parlando?»
«Tra le altre cose, del motivo per cui l’Ulybka ha creato quei cloni…». Il cardinale si accigliò.
«Perché l’avrebbero fatto?», incalzò Nobile. «Perché creare dei cloni di una forma di vita vissuta prima del diluvio universale?»
«Secondo Davies, uno studioso americano, è inutile cercare tracce materiali di extraterrestri o di civiltà prediluviane sulla Terra. Non esistono materiali talmente resistenti da superare indenni il trascorrere di centinaia di migliaia, se non milioni di anni». Fece una pausa, cercando di venire a capo con idee che, in bocca a qualcun altro, lui stesso non avrebbe esitato a definire eretiche. «È più probabile che una società evoluta abbia sfruttato le sue conoscenze biologiche per lasciarci un messaggio dove era certa che non si sarebbe degradato».
«Il vero messaggio?», si intromise Veneziani, ricordando che lo stesso Vonn aveva menzionato qualcosa di simile nella sala riunioni.
«Esattamente, il vero messaggio: cosa c’è di più duraturo della struttura molecolare del DNA? Una volta integrate nel genoma dei nostri antenati le informazioni che volevano comunicarci, queste sono state trasmesse, più o meno invariate, fino a noi. In attesa solo di essere lette quando l’umanità ne fosse stata in grado…».
«Mi perdoni, non afferro ancora il punto. Ciò che ci ha raccontato ha che fare con il virus e con i cloni?»
«Purtroppo sì…».
Sforza infilò le mani in tasca, con un gesto plateale. «E tutto questo: messaggio, creatori, alieni, sarebbe ancora compatibile con l’idea che Dio esiste davvero?».
Dio esiste davvero.
“Ecco la domanda giusta”.
«Non sarei disposto ad accettare una risposta negativa», ammise, sospirando, Vonn. Era la stessa identica ragione per la quale, da tutta la sua vita, raccoglieva reperti fossili in contrasto con la teoria canonica della creazione divina. Aveva destinato ingenti risorse del Vaticano a quella missione e il bunker dell’osservatorio ne era la prova lampante. La prova che, nonostante tutto, ancora si rifiutava di accettare.
Estrasse il piccolo tablet dalla custodia di pelle che teneva in mano e lo mostrò ai tre: l’immagine raffigurava la mappa satellitare di Giza, in Egitto, la stessa che Trump aveva sciorinato davanti a lui poco prima.
«E proprio questo è il motivo per cui sono disposto ad aiutarvi… in cambio di un piccolo favore».