1986

 

 

 

 

 

 

 

Nonostante gli sforzi di Padre Fedele, la violenza continuò. Il 13 aprile del 1986 un sostenitore della Roma appena diciassettenne venne bruciato vivo in un vagone del treno. Paolo Zappavigna dei Boys aveva accesso un fumogeno durante i disordini della partita in trasferta della Roma, vinta per 4 a 2 contro il Pisa, e le tendine presero fuoco. Una folata di vento dal finestrino aperto fece in modo che nel giro di pochi minuti l’intero vagone venisse inghiottito dalle fiamme, i cui idranti a bordo erano già stati rubati.

Un mese dopo, a maggio, Geppo fu arrestato in Sardegna. Fu accusato di aver ucciso un turista tedesco in un accampamento hippy chiamato Valle della Luna. Venne messo in prigione per quasi un anno, periodo che descrisse come un «inferno insopportabile». Non si era integrato più di tanto con gli altri detenuti, forse perché erano sardi e parlavano un dialetto che lui capiva a malapena.

Quando uscì di prigione era come se la sua scintilla fosse sparita. Il suo ottimismo ed entusiasmo erano solo dei ricordi. La sua dipendenza da eroina lo aveva trasformato in uno scheletro. Conservava ancora un po’ del suo fascino, ma gli serviva soltanto per scroccare qualche migliaio di lire ai suoi amici Bongi o Mortadella. Si era chiuso in se stesso, pensando solo a bucarsi e a nient’altro.

Quando finalmente fece ritorno a Roma, scoprì che l’unità del cucs – che aveva unito gli ultrà della Roma sotto un’unica bandiera – si stava disintegrando. La società aveva acquistato un ex centrocampista della Lazio e all’interno del cucs c’erano posizioni contrastanti sull’argomento. Le cose stavano prendendo una brutta piega. La Roma – capitanata da Carlo Ancelotti e allenata da Sven-Göran Eriksson – si era fatta sfuggire un altro scudetto, sconfitta in Zona Cesarini dalla Juventus.