1977-78
A metà degli anni Settanta i gruppi ultrà proliferarono. Nel 1974 vennero fondati i Forever Ultras del Bologna e gli Ultras Fiorentina. I Vigilantes di Vicenza divennero una realtà nel 1975 e un anno dopo fu la volta delle Brigate Neroazzurre dell’Atalanta, dei Rangers dell’Empoli e degli Ultras Livorno. Ogni anno nascevano nuovi gruppi: il 1977 fu l’anno dei Panthers del Salerno, dei Boys del Parma e degli Ultras Ghetto di Reggio Emilia e così via. Spesso i nomi di questi gruppi erano solo dei titoli ufficiali di organizzazioni composte da decine di tifosi, che avevano alle spalle anni di cori e scontri.
Il processo di consolidazione verificatosi nelle curve non era solo un tentativo di fronteggiare la violenza politica, ma portava anche ordine al caos. Allora, il prezzo del biglietto per lo stadio era così basso che anche i ceti meno abbienti potevano permettersi di assistere alle partite. Per i ragazzi che abitavano le vaste periferie delle città in pieno sviluppo, le domeniche pomeriggio sugli spalti erano diventate uno spettacolo in cui chi era rimasto nell’anonimato poteva essere visto, ascoltato e citato nei discorsi. Ogni domenica facevano la comparsa nuove bandiere e striscioni. Slogan spontanei, gesti, cori e ogni tipo di orientamento politico venivano messi in pratica nell’arena.
Quello degli ultrà era uno dei tanti movimenti rivoluzionari alla fine degli anni Settanta, ma di sicuro il meno pericoloso. Le guerre per il territorio portate avanti dalla Mafia stavano lacerando la Sicilia e il terrorismo politico era una minaccia sempre più grande. Nel 1977 la lotta armata si palesava ogni settimana attraverso nuove forme di violenza, spesso sfociando in sparatorie tra polizia, estrema destra ed estrema sinistra. Niente sembrava avere più un senso: nel marzo di quell’anno Francesco Lorusso, membro di Lotta Continua (gruppo di estrema sinistra), fu ucciso da colpi di arma da fuoco. Il giorno seguente, in quello che aveva tutte le caratteristiche di un atto di vendetta, un militante di Prima Linea (gruppo terrorista nato dalla scissione con Lotta Continua) sparò a un agente di polizia a Torino, uccidendolo. Il mese successivo, sempre a Torino, un avvocato difensore di un membro delle Brigate Rosse perse la vita nello stesso modo. A settembre venne ammazzato Walter Rossi a Roma, mentre distribuiva dei volantini per protestare contro la violenza fascista. Come sempre, gran parte delle vittime di questi omicidi sembrava degli obiettivi assurdi e irrilevanti per la causa. Tra questi ci fu il vice caporedattore de «La Stampa» e un passante, Roberto Crescenzio.
Fu anche l’anno in cui Luciano Re Cecconi, il centrocampista della Lazio campione d’Italia, venne ucciso in una gioielleria, mentre inscenava una finta rapina. Per gli ultrà laziali, Re Cecconi fu il primo della lista dei martiri. Il 24 aprile del 1977, Er Tassinaro e i suoi compagni presero il treno notturno in direzione Milano per andare a vedere la partita che si sarebbe disputata il giorno dopo. Quando il treno arrivò all’alba, Er Tassinaro si recò con il resto degli ultrà al cimitero in cui era seppellito la leggenda bionda della Lazio, di origini milanesi. Fu un viaggio di venti chilometri ma nessuno mise in dubbio la sua autorità, e la marcia proseguì a suon di cori e bevute di birra.
All’inizio di quell’anno cruento, Bongi – lo scaltro ragazzo italoamericano a Roma – capì che aria tirava. Poiché, con molta probabilità, vedeva ancora le cose attraverso gli occhi di uno straniero (era tornato negli Stati Uniti per un anno dopo che i suoi genitori avevano divorziato), propose ai suoi compagni di tenere fuori la politica dalle curve. Molti dei suoi amici erano esponenti di estrema destra, altri di estrema sinistra. «Fuori dallo stadio le persone si uccidevano tra loro», ricorda. «Era dura. Ho detto “qua non si farà politica, per cui deponete le armi”».
Lui e i suoi compagni della caotica curva della Roma si misero d’accordo per riunirsi sotto una sola bandiera. Così, il 9 gennaio del 1977, allo Stadio Olimpico riecheggiò un nome nuovo: il Commando Ultrà Curva Sud, famoso anche come cucs. Bongi riuscì nell’intento in cui gran parte dei capi ultrà aveva fallito: creare in un’Italia perennemente segnata dalle divisioni interne una parvenza di unità. L’acronimo gli andava particolarmente a genio perché assomigliava a quello delle università americane come la ucla.
La stessa partita giocata quel giorno fu di buon auspicio. La Roma vinse 3 a 0 contro la Sampdoria, con due gol di Agostino Di Bartolomei, una giovane promessa che aveva esordito due anni prima. Bongi e Geppo dirigevano il coro: «Oh, Agostino, Ago Ago Agostino gol!». Il giocatore era divenuto il cuore pulsante della rimonta giallorossa. Fuori dal campo però portava sempre con sé una pistola, che da quanto diceva, gli serviva per difesa personale.
Qualche mese dopo, il 25 maggio, Bongi andò allo Stadio Olimpico per vedere la finale di Coppa dei Campioni tra Liverpool e Borussia Mönchengladbach. Si portò un registratore alla partita, cosicché lui e i suoi amici potessero imparare i cori dei tifosi inglesi. Già dall’inizio della stagione successiva avevano italianizzato la canzone Oh When the Saints Go Marching In in onore del bomber Roberto Pruzzo.
Molti ultrà della Lazio erano andati a vedere quella partita per tifare la squadra tedesca. Grinta ricorda che esposero uno striscione nero con scritto in giallo: “Sieg Heil”. «I tedeschi ci guardavano come fossimo dei marziani», racconta. L’ideologia politica della curva laziale è sempre stata evidente. La bandiera della Repubblica di Salò di Mussolini veniva esposta di frequente e una volta gli ultrà fecero uno scherzo al leggendario attaccante Paolo Rossi, scendendo fino al campo da gioco per consegnargli un finto gagliardetto, che poi si scoprì essere un volantino fascista del msi, completo di fiamma tricolore. Il canto: «Lazio, Lazio» è sempre stato accompagnato dal saluto romano, e secondo il Grinta «anche chi non aveva nessun interesse nella politica faceva automaticamente il saluto». Parte di quell’estremismo era pura imitazione.
Ci furono anni in cui le coreografie e la violenza divennero particolarmente sofisticate. L’uso di pistole lanciarazzi era diffuso praticamente ovunque. Un razzo diretto a Walter Novellino, attaccante del Perugia, finì per colpire il giocatore laziale Lionello Manfredonia. Grinta ricorda di quando spararono una decina di razzi ai loro rivali della Fiorentina.
La soluzione al terrorismo politico adottata dalla Lazio era l’opposto di quella della Roma. Mentre Bongi cercava di mantenere un clima apolitico, i laziali – dopo un acceso dibattito – si schierarono. L’organizzazione principale, la gaba (gruppi associati bianco azzurri), subì una trasformazione. Il 1 ottobre 1978 gli Eagles Supporter si presentarono con uno striscione il cui logo aveva al centro l’aquila della Wehrmacht. Da quel momento in poi, la maggior parte (se non tutti) gli ultrà della Lazio – gemellati con gli ultrà di estrema destra del Verona – avrebbero sempre esposto uno striscione che suggeriva una certa nostalgia dell’epoca fascista.
Molti ultrà della Lazio militavano anche nel Fronte della Gioventù, la fazione giovanile del msi. (Negli anni Settanta il partito sembrava più forte che mai, arrivando all’8,7 per cento dei consensi nei ballottaggi – 2,7 milioni di voti – nel 1972). Il filosofo esoterico fascista, Julius Evola, ebbe un’enorme influenza su quella generazione di ultrà della Lazio. Nel suo libro, Gli uomini e le rovine, Evola rincuorava coloro che all’improvviso si erano trovati dal lato sbagliato della Storia. Fu il creatore di una pseudo-spiritualità in cui il credente fascista, come gli apostoli cristiani, era in attesa del ritorno del salvatore (in realtà molti di loro si facevano chiamare figli del sole, e credevano che la stella nascente avrebbe prima o poi sconfitto la notte oscura).
Nel 1977 sembrava quasi che l’alba della nuova era fosse arrivata. Il primo Campo Hobbit fu organizzato nell’estate di quell’anno a Benevento. Doveva diventare un festival annuale per coloro che desideravano immergersi nella cultura del fascismo. (Tolkien è sempre stato una fonte d’ispirazione per i neofascisti italiani che amavano citare la frase di Bilbo Baggins «le radici profonde non congelano»). Gli esponenti di sinistra di solito insultavano i fascisti, dicendogli che dovevano tornare nelle fogne e venne lanciata la rivista «La voce della fogna». La croce celtica presa in prestito dalle oas (l’organizzazione terrorista dei militaires francesi che si batterono contro l’indipendenza dell’Algeria e tentarono di assassinare Charles De Gaulle) divenne il classico simbolo della rinascita fascista. Venne adottato come emblema ufficiale del fuan (l’organizzazione studentesca del msi) e suggeriva che l’estrema destra – subendo anche l’influenza delle teorie vaghe del paganesimo di Evola – abbracciasse il fondamentalismo cattolico.
All’interno di quell’universo si discuteva se mantenere il dibattito sul piano dialettico o se passare all’azione (la A di fuan stava per “azione”). Sui poster che pubblicizzavano il primo Campo Hobbit era raffigurato un braccio teso che puntava il dito e che imitava, di proposito, il gesto di impugnare una pistola. Evola, oltre a esortare a un mite quietismo, aveva elaborato una teoria che affermava l’esistenza di una élite razziale e guerriera nel libro La dottrina ariana di lotta e vittoria, che rispecchiava la tensione tra l’attesa e l’azione immediata nel fascismo postbellico, tra il prendere parte al processo democratico ed essere implacabilmente contrario a esso, anche ricorrendo a mezzi militari.
Pino Rauti e Stefano Delle Chiaie, i cofondatori di Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale, erano due personaggi che preferivano l’azione. Entrambi abbandonarono il msi, scoraggiati dal trasformismo della politica parlamentare. Le loro erano delle organizzazioni paramilitari. L’Ordine Nuovo di Rauti (benché formalmente riconosciuto come un “centro studi”) venne sospettato più volte di essere coinvolto in atroci attacchi terroristici, dalla strage di piazza Fontana nel 1969 all’assassinio di magistrati quali Vittorio Occorsio. Ciò nonostante, dal 1972 al 1992 Rauti fu eletto membro della Camera dei Deputati, diventando in seguito persino leader del msi. Nel frattempo, Delle Chiaie – emigrato dalla Spagna al Cile – divenne un confidente dei fuggitivi nazifascisti nel mondo ispanico.
Le connessioni tra gli ambienti semi-criminali dei simpatizzanti dell’estrema destra e i tifosi laziali erano piuttosto evidenti. Pierluigi Concutelli faceva parte di Ordine Nuovo e si reputava un «lazifascista». Durante il suo periodo di detenzione a causa dell’omicidio di Vittorio Occorsio – giudice istruttore a cui attribuiva la colpa dei procedimenti penali ai danni di terroristi di estrema destra – Concutelli commise altri due omicidi, strangolando due terroristi della stessa schiera politica che stavano per diventare dei collaboratori di giustizia. Quando dopo trentaquattro anni uscì di prigione, gli fu regalata la maglietta di Pavel Nedved, centrocampista della Lazio dell’epoca.
Molti simpatizzanti della Lazio, che ne amavano semplicemente i colori biancoazzurri, non erano al corrente di quanto fosse politicizzata la curva. Dopo tutto, l’aquila è sempre stato il simbolo della squadra dal 1900, anno della sua fondazione. Durante ogni partita un’aquila ammaestrata volava dagli spalti fino al campo da gioco, e l’inno della squadra era Vola, Lazio, vola. Così, gran parte dei tifosi non si rese mai conto che esistessero delle associazioni di stampo nazista all’interno del nuovo gruppo ultrà, mentre altri preferivano chiudere un occhio.
Il nuovo striscione degli Eagles, come quello della Roma, pareva essere stato benedetto dal risultato del match contro la Juventus, giocatosi il 1 ottobre del 1978, con due gol sensazionali di Bruno Giordano. Nel primo tempo, l’attaccante era al limite dell’area quando gli arrivò la palla. Stava quasi per inciampare: si appoggiò all’indietro con il piede destro e colpì al volo di sinistro, con un tiro talmente forte che Dino Zoff, il portiere della Juve, non riuscì neanche a vedere il pallone. Ma fu il secondo gol, il terzo segnato dalla Lazio, che rimase impresso nella mente degli spettatori. Quasi dalla stessa posizione, Giordano ricevette un cross dalla fascia sinistra e di prima, di interno destro, fece un pallonetto al difensore juventino. Alzò lo sguardo, vide Zoff avvicinarsi a lui, e con calma mise la palla nell’angolo opposto mentre due Juventini si affrettavano invano a tornare in area di rigore. L’azione durò in tutto due secondi.
Il 1978 fu violento come l’anno precedente, segnato da omicidi a scopo di vendetta. Entrambe le fazioni ebbero i propri martiri. Il 7 gennaio due militanti di estrema destra furono raggiunti da dei colpi di pistola fuori dagli uffici del msi ad Acca Larentia, a Roma. Quella sera, un giornalista venne accusato di aver mancato di rispetto alle vittime per aver gettato una sigaretta in una pozza di sangue, e scoppiò una rivolta in cui venne uccisa una terza persona da un agente di polizia. Ma le morti non finirono qui. Il padre di una delle giovani vittime si suicidò. Poi, in occasione del primo anniversario di Acca Larentia, venne ucciso dalla polizia un altro militante di nome Alberto Giaquinto.
Il massacro dei tre camerati rappresentò un punto di rottura decisivo per l’estrema destra. I giovani militanti non confidavano più nella protezione del msi né in quella della polizia. Alcuni abbandonarono le proprie tendenze estremiste, altri divennero ancora più radicali. Vennero fondati i nar (acronimo di Nuclei Armati Rivoluzionari), organizzazione terrorista di estrema destra, che fu coinvolta in varie esecuzioni e nella strage di Bologna del 1980, in cui persero la vita ottantacinque persone. Uno dei capi dei nar era il laziale Alessandro Alibrandi, conosciuto come Alì Babà. Un altro movimento neofascista emergente, chiamato Terza Posizione, tentò di creare un fascismo alternativo attraverso una “ginnastica” ideologica, ovvero decidendo di non schierarsi né con il capitalismo né con il comunismo.
L’ondata di omicidi non si arrestò. Due esponenti della sinistra radicale, Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci, vennero uccisi in un centro sociale di Milano. Valerio Verbano, attivista di Autonomia Operaia, gruppo di estrema sinistra, venne ucciso in casa sua, a Roma, probabilmente perché stava compilando una lista di attivisti di estrema destra. Angelo Mancia – conosciuto tra i suoi compagni della Lazio come Manciokan – venne assassinato per rappresaglia.
Le ragioni di quegli omicidi erano di natura politica, ma gli esecutori e le vittime frequentavano assiduamente le curve. Gli omicidi di Tinelli e Iannucci erano collegati a un personaggio dalla stazza imponente e dai capelli ricci che faceva parte dei Boys della Roma. Verbano invece era un membro dei Fedayn. Si pensava che la morte di Verbano, come la morte dei due ragazzi a Milano, fosse opera dei nar.
Una parte degli ultrà coltivava ancora la speranza che il loro movimento giovanile potesse resistere alla follia omicida. Geppo era il poeta della curva della Roma. Aveva i capelli lunghi e scriveva canzoni dal forte impatto emotivo, come la versione modificata della Marsigliese: «Quando l’inno si alzerà, tutto il mondo tremerà, canteremo fino alla morte, innalzando i nostri color…». Era il primo a invadere il campo per abbracciare i giocatori che avevano segnato un gol.
Nel 1978, il «Guerin Sportivo» pubblicò una lettera di Geppo. «Vorrei informarla che il tifo giallorosso si sta civilizzando», scrisse.
Cioè, messa da parte la violenza, si pensa solo a rendere più bello e folkloristico il tifo. […] Ora, noi abbiamo deciso di eliminare la violenza […] cerchiamo di insegnare ai ragazzi che in trasferta non si va come zingari, che rubare all’autogrill vuol dire disonorare il nome di Roma […] la politica, i partiti, le ideologie… sono tutte cose che non fanno che creare divisioni in curva e allo stadio… ma che cacchio c’entra con la Magica? Allo stadio si va per cantare, cantare e ancora cantare per la Roma… il resto che c’entra?