Hotel Centrale, Cosenza, oggi
Ha la forma di una barca, con la prua che tocca quasi la strada a due corsie. La facciata è di marmo bianco lucido e un mosaico di piccole maioliche brillano alla luce del neon che rischiara il buio della sera. In alto, un’insegna appariscente ne annuncia il nome: Hotel Centrale.
Degli uomini che indossano felpe con il cappuccio stanno sistemando una scala dal lato esterno di uno spazio finestrato che avrebbe dovuto diventare una spa. È notte ma tutte le luci sono spente perché la costruzione dell’hotel non è mai stata portata a termine: venne confiscato dalla magistratura che indagava su dei crimini finanziari legati alla costruzione dell’edificio. Le accuse erano: associazione di stampo mafioso e bancarotta fraudolenta. Si pensa che l’incaricato della costruzione dell’albergo si fosse appropriato indebitamente di una cospicua somma di denaro dalla Fondazione Field.
I ragazzi rompono una finestra e si intrufolano nella spa incompleta, che ha l’aspetto di una serra. Rimangono sbigottiti dallo sfarzo. Le vasche, i termosifoni, le piastrelle – sembra tutto molto raffinato e costoso. Il nome della suite della spa, Thala Tepee, era stato inciso su una porta di quercia. Si allontanano dalla finestra e tirano su la scala, affinché nessuno da fuori veda cosa succede all’interno. Fanno parte di un’organizzazione indipendente chiamata PrendoCasa. Non hanno scelto questa data a caso per entrare in azione. È il 30 dicembre, un periodo dell’anno in cui la polizia ha altre priorità. Il rappresentante del movimento è un avvocato di nome Ferdinando. È un uomo alto e imperturbabile. «Siamo un movimento popolare che difende chi ha bisogno di una casa», dice. «Ogni anno a Cosenza ci sono migliaia di sfratti, tenendo conto solo dei contratti regolari e registrati».
PrendoCasa e gli ultrà del Cosenza sono così strettamente collegati che è difficile stabilire dove inizi uno e finisca l’altro. Entrambi occupano spazi in disuso e li difendono, condividendoli con chi ne ha bisogno. E si scambiano anche il personale. Tutti e due i gruppi, dicono loro, lottano per i diritti. Il simbolo mondiale degli occupanti (una freccia a zig-zag racchiusa in un cerchio) si vede spesso nella curva del Cosenza, e fuori dalla Casa degli ultrà qualcuno ha dipinto – in inglese con lettere dai colori sgargianti – “squat the world” (“occupiamo il mondo”).
«C’è sempre un’anima ultrà in mezzo a noi», dice Ferdinando. «I primi ad accorrere sono sempre le persone che stanno in curva. Ormai gli edifici occupati sono diventati gli uffici dei vari gruppi ultrà. Non sentiamo molto la necessità di un dibattito politico», dice. «Per noi è normale che se sei cresciuto in questo tipo di ambiente, hai una certa mentalità. Non è per la politica in sé, ma perché siamo abituati ad affrontare dei dibattiti su come creare una città diversa».
«Veniamo dagli insegnamenti dei Nuclei Sconvolti». Dice Vindov. «Per noi è automatico fare politica dal basso». Vindov è membro sia degli ultrà che di PrendoCasa. Dice che Cosenza è una «città accogliente e solidale che ha mantenuto lo spirito selvaggio e ribelle dei Bruzi. Le occupazioni abitative sono un patrimonio per la nostra città, può nascere una vera innovazione sociale. Un’innovazione che nasce dalla marginalità sociale».
I ragazzi si sparpagliano e vanno di piano in piano, aprendo le stanze che mostrano finiture ancora più lussuose. Ci sono otto stanze in ognuno dei sei piani. L’intero albergo sembra uno spreco di soldi. «Succede sempre», dice uno dei ragazzi, sconsolato. «La nostra città subisce una cementificazione selvaggia. Dare il via a nuove costruzioni e progetti inutili riempie le tasche dei politici. Loro si beccano grosse somme di denaro, e anche gli appaltatori fanno una fortuna scomparendo prima di finire il lavoro, e a noi ci lasciano con questo», continua, indicando con il braccio un bagno senza luce, finito per metà e con dei portasciugamani d’acciaio lucente.
Spesso ci si domanda se la piaga della corruzione affligga ogni ente parastatale incaricato di migliorare le condizioni abitative dei calabresi, come se ogni avido colletto bianco non riuscisse a resistere alla tentazione di accaparrarsi una fetta di quella torta da milioni di euro. La Gescal (acronimo per Gestione Case dei Lavoratori) aveva fatto sparire una cospicua somma di denaro. Altri soldi che erano stati stanziati per le case popolari finirono su un fondo che finanziava la costruzione di un ponte bianco sul fiume, per contrastare quello di legno lasciato ormai a marcire a un centinaio di metri di distanza.
A causa della corruzione diffusa all’interno del municipio, gli abusivi di PrendoCasa non si considerano dei delinquenti, bensì degli attivisti dai sani principi morali, e scegliere in maniera accurata gli edifici da occupare significa mandare un messaggio ben preciso. Nel novembre del 2016, si trasferirono in un palazzo vuoto che un tempo apparteneva alla Aterp, l’ente regionale che si occupa dell’assegnazione delle case popolari, che aveva creato un buco di cento milioni. Adesso, in quelli che erano gli uffici, vivono cinquantacinque persone, compresi tredici bambini.
Come sempre, dopo aver occupato l’hotel, il progetto consiste nel riaprirlo per chi ne ha bisogno. Ferdinando sa che ci vorranno mesi, se non anni, prima che l’Hotel Centrale venga messo all’asta dai creditori. Fino a quel momento, le autorità preferiscono che se ne occupi il suo gruppo – che lo restauri e che aggiusti i riscaldamenti – piuttosto che lasciarlo vuoto e in mano ai vandali. Nel giro di pochi giorni cominciano a circolare manifesti che invitano le persone a partecipare al giorno di “pittura e semina”.
Già dal mattino seguente, avevano messo del personale di sicurezza alla porta. Avevano appeso uno striscione a coprire l’insegna dell’hotel. “Decoriamo il Centrale per sconfiggere la corruzione”, c’era scritto. Appena la gente apprende la notizia, accorre in massa, nella speranza di ottenere un posto letto. Molti sono immigrati, spesso con bambini.
Nel giro di qualche giorno hanno già riparato dei lavabi. Non spiegano come sono riusciti a ottenere l’elettricità, ma confessano che non è stato attraverso metodi legali. «L’occupazione è illegale», dice Vindov, «ma è l’unico modo per dare una casa a queste persone».