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IL TRENO DEI SOGNI
(ANCHE GLI INCUBI LO SONO)
Lo conosco e posso permettermi di rimproverarlo, amichevolmente: sei imprenditore, produci beni di gusto e di lusso che, per la prima volta, in questi ultimi anni hanno visto una espansione del proprio mercato, al Sud, e non li porti alla Fiera del Levante, a Bari?
Mi risponde di averci provato, ma ha dovuto rinunciarvi. Non potendo recarsi in auto da Napoli a Bari (ragioni sue, serie, pur se temporanee), aveva deciso di andarci in treno: «Magari non ce n’è uno superveloce, come fra Milano e Roma, ma uno decente dovrei trovarlo, mi sono detto». Invece, ha scoperto che fra Napoli e Bari, le due maggiori città del Mezzogiorno, non ci sono collegamenti ferroviari diretti: devi prendere un locale per Caserta e aspettare una coincidenza per Bari; oppure per Benevento e aspettarla lì. E pensare che, in agenzia viaggi, gli avevano detto: «Mo’ è tutt’a posto» perché la frana di Montaguto, la più grande d’Italia, dicono (in movimento da decenni, con direzione e velocità note) che aveva invaso la ferrovia Napoli-Bari, era stata rimossa, dopo mesi di proteste e di isolamento della Puglia, alla vigilia della stagione turistica (unica regione a far registrare indici d’afflusso di forestieri in vacanza invariabilmente positivi, negli ultimi anni. Provate a immaginare se una frana annunciata da anni e ad avanzamento lento e prevedibile avesse bloccato i treni fra Milano e Rimini e i presidenti delle Regioni Lombardia ed Emilia Romagna, le Associazioni industriali, i sindaci delle città danneggiate avessero dovuto protestare per mesi, prima di ottenere la rimozione dei detriti e il ripristino della circolazione ferroviaria).
Fattisi i suoi conti, il mio amico imprenditore (anche al Sud il tempo è denaro) ha calcolato che la durata del viaggio, in treno, sarebbe stata eccessiva, tanto da rendergli non conveniente la trasferta: è un artigiano di grande qualità e tradizione ultrasecolare, noto in Italia e all’estero, ma la conduzione della sua azienda è poco più che familiare, come da solida inclinazione nazionale.
«Così,» mi racconta «ho deciso di andarci in aereo, da Napoli a Bari. Be’, la buona notizia è che si può fare; la cattiva è che bisogna fare scalo a Venezia. E non ti dico quante ore ci vogliono. Insomma: meglio il treno. Cioè, per me, meglio niente. Ci ho rinunciato.»
La Fiera del Levante di Bari ha perso uno stand di prestigio; il mio amico un’occasione di porsi in una vetrina adattissima alle sue cose belle, adattissime al tipo di visitatori della Fiera del Levante. «Lo so» mi dice «ma io il mio tempo lo devo far fruttare. A parità di impegno, mi conviene New York o Milano: ci arrivi più facilmente e non rende meno.»
Cosa succederebbe se le due più grandi città del Nord, non avessero collegamenti diretti, o la linea restasse interrotta per mesi, alla vigilia dell’Expo, per una frana così ben conosciuta, che si poteva calcolarne decenni prima l’ora di arrivo sui binari? Le frane sono puntuali; mica le gestiscono le Ferrovie dello Stato!
Se questo avviene fra le due maggiori città del Mezzogiorno, immaginarsi il resto. I meridionali il treno lo pagano come gli altri, ma non lo prendono, perché non c’è; e se c’è, non conviene prenderlo: lo fareste voi, se la stessa azienda offrisse, allo stesso prezzo, medie di 200 chilometri all’ora ad alcuni dei suoi clienti e di 25 chilometri all’ora ad altri? (e anche su “lo stesso prezzo”, ci sarebbe qualcosa da dire: salgo sul Frecciarossa da Roma a Napoli, 44 euro, seconda classe, per poco più di 200 chilometri; qualche giorno dopo, sono sul Frecciarossa Roma-Padova: 66 euro, per più di 500 chilometri: il treno verso Sud costa più di 20 centesimi a chilometro; verso Nord, 13).
È una faccenda che mi spiegava il professor Domenico Cersosimo, economista dell’università calabrese di Arcavacata: il problema degl’imprenditori meridionali non è riuscire a raggiungere i mercati internazionali, ma quelli vicini a casa. Il Sud non riesce a essere cliente di se stesso, per l’impossibilità o la non convenienza del trasporto delle sue merci. Provateci voi a far arrivare a Reggio Calabria un vestito fatto a Foggia, o ad Avellino: treni niente (ce n’è qualcuno, ma finto, messo apposta per far scrivere lettere di protesta degli utenti, nelle apposite rubriche dei quotidiani, grazie a un accordo fra giornali e Ferrovie, per far godere Bossi); superstrada jonica in costruzione da oltre mezzo secolo (attraversa i paesi costieri: è per il turismo di meditazione, non per i trasporti); e la Salerno-Reggio Calabria, la cui percorrenza fra un po’ sarà imposta, causa sovraffollamento delle carceri, come pena sostitutiva del 41bis (ma solo per reati molto, molto gravi, perché la tortura è vietata dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo. Si potrà farlo lo stesso, soltanto perché, e questo non è uno scherzo, il nostro è l’unico Paese europeo a non prevedere il reato di tortura; del che approfittano le Ferrovie dello Stato, al Sud).
E però, io ho tempo e da Bari a Napoli (c’è un dibattito su Terroni al Technologybiz, grande fiera sulle innovazioni tecnologiche) decido di andare lo stesso in treno: così, invece di guidare, posso lavorare in viaggio. «Capisco tutto, ma forse ti fai condizionare troppo dall’orologio» dico al mio amico imprenditore. «E se anche devo fare scalo a Caserta (cioè andare più a Nord di Napoli e poi prendere una coincidenza per tornare indietro), non fa niente».
In quella mezz’oretta scarsa di attesa in stazione, magari mangio qualcosa (sui treni veloci a Sud non trovi i ristoranti, i bar, che rendono più confortevoli i viaggi ad altre latitudini nazionali). Tanto, ho già il “titolo di viaggio”, come dicono loro (ma non si chiamava biglietto?).
Sì, ma a Caserta il treno non c’è: «È stato soppresso» dice il bigliettaio. Come soppresso? E io, mo’ come vado a Napoli? «E mica non ce ne stanno più! Il primo che parte...» Già, peccato che non abbia tanta fretta di farlo, e che sia un locale che ferma anche dinanzi ai chioschi delle limonate; e che io rischio di arrivare tardi al Technologybiz, pur essendomi mosso la mattina. Sono nei guai: bella figura, per uno che pensava di potersela prendere comoda! Mi telefona il mio amico imprenditore: «Sei già qui?». Gli spiego la faccenda. E la mia fortuna è che il suo impedimento automobilistico, nel frattempo, sia stato superato: viene a prendermi e riesce a farmi approdare nella sala dove mi aspettano, giusto in tempo. Mi secca dargli ragione, ma non foss’altro che per gratitudine...
Con Rino Lettieri (nessuna parentela con il candidato sindaco battuto da Luigi De Magistris), Bruno Uccello è l’ideatore e organizzatore del Technologybiz: «Ho vissuto sei anni a Bari e dovevo tornare spesso a Napoli. Della latitanza ferroviaria fra le due città so tutto». E te la spiega. Dice (ma davvero?) che il problema sono i locomotori capaci di superare l’Appennino: non ce ne stanno. Cioè: ci stanno, ma non a Sud. E, non portandoci i locomotori, non si fa neanche la linea diretta e tocca adattarsi a un lungo giro. I cinesi sono stati più fortunati: non hanno avuto la strada sbarrata dall’Appennino, gli è capitata solo la catena montuosa più alta della Terra, che fora il cielo con l’Himalaya. E grazie a questo vantaggio geografico, hanno potuto costruire una linea ferroviaria che corre sui ghiacciai eterni e sale a 5.072 metri, sino a Tanggulla, la stazione ferroviaria più alta del mondo. Troppo facile, così. Ci provassero con l’Appennino fra Napoli e Bari, i cinesi; e con un tal Moretti a capo delle Ferrovie...
Non so se, come il mio amico napoletano che ha disertato la Fiera del Levante dissuaso dalle Ferrovie, c’è stato qualche imprenditore barese che ha disertato il Technologybiz per lo stesso motivo. Di certo, questi ostacoli diventano mentali, ti abitui a considerare “lontano” quello che non è, ma lo diventa. Con una metafora bella, Giorgio Ruffolo ha titolato il suo libro sull’Italia Un paese troppo lungo, che diventerebbe più corto se ci fossero strade, ferrovie e aeroporti decenti ovunque: la lunghezza non si misura in chilometri, ma in tempo. A Sud tutto è lontano da tutto, tranne il Nord.
Il Technologybiz, mi informa Uccello, si tiene nell’area delle antiche Vetrerie Borboniche, poi diventato uno stabilimento della Federconsorzi, per produrre fertilizzanti, e ora Città-Museo della Scienza. Tutto intorno, il silenzio di quello che fu lo stabilimento siderurgico dell’Italsider. Chiuso pure quello. Dinanzi, il mare; un villaggio di un paio di centinaia di pescatori; il resto, dove fervevano l’industria e la cultura industriale di Napoli, vuoto. Ci vuole coraggio per fare una fiera dell’informatica e delle tecnologie più avanzate qui! «Ci vuole coraggio pure per farla avendo soltanto sponsor privati» dice Uccello. «Lo Smau di Milano è finanziato dalla Regione Lombardia; noi dobbiamo fare tutto da soli, senza un euro di soldi pubblici; siamo appena nati, nel 2009, ma valiamo già un quinto della fiera milanese.» Uccello e Lettieri erano nel campo da oltre venti anni, hanno chiesto di essere sostenuti al buio a Ibm, Microsoft: «Le garanzie? La faccia, il nome e l’esperienza». Gli hanno detto sì; e, con quelle, altre 33 aziende il primo anno, 45 il secondo.
Qualche settimana dopo, i deputati del Pd organizzano una presentazione di Terroni; al tavolo, fra i relatori, c’è Sergio D’Antoni, l’ex sindacalista. Quando il discorso finisce sull’insulto antimeridionale delle Ferrovie (del Centro-Nord, abusivamente dette) dello Stato, lui spiega come stanno le cose, con una storiella (a me sembra stufo di battaglie perse e questa delle Ferrovie pagate da tutti, ma dimentiche e persino nemiche del Sud, deve ormai apparirgli come la più inutile): «Un tale prende il Frecciarossa da Milano a Roma: nella toilette trova carte per terra e arriva a destinazione con 15 minuti di ritardo. Blocca il capotreno e protesta, per la sporcizia e il tempo perso. Un altro sul Frecciarossa Bologna-Napoli, organizza una raccolta di firme contro le Ferrovie, perché la toilette nella loro carrozza era guasta (le altre no) e il ritardo è di oltre mezz’ora! Il treno da Torino a Palermo viaggia con la gente in piedi, seduta per terra nei corridoi, tutte le toilette fuori uso e senz’acqua, e quando giunge a destinazione, con ore di ritardo, un signore, imbestialito, cerca il capotreno per aggredirlo a male parole, chiedere risarcimenti... “Muuutu!!”, zitto, lo implorano alcuni compagni di viaggio, “sennò ci tolgono pure questo treno!”».
Abbiamo riso tutti, amaro. A volte, le barzellette dicono più di un’inchiesta. Altre volte, la anticipano: poche settimane dopo, in estate, il viaggio della barzelletta Torino-Palermo era su tutti i giornali, vero. Non ha riso nessuno: una indagine di «Altroconsumo» ha rivelato che tutti i treni da Torino a Palermo arrivano in ritardo: 100 su 100; e sul «Fatto», Ferruccio Sansa racconta le 21 ore di viaggio sul Torino-Reggio Calabria, 1.600 chilometri, 44 fermate, senza «uno straccio di bar, di carrello per il cibo» e i bagni «lerci, senz’acqua e sapone, i water turati». Solo l’attitudine alla sudditanza (sud/distanza?) impedisce agli utenti meridionali delle Ferrovie dello Stato Nemico, di tirare giù dalla sua scrivania l’amministratore delegato dell’azienda e condannarlo a viaggiare sui “suoi” treni nel Mezzogiorno.