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E MO’, MI DICI CHE FARE!
«Io non capivo perché ai meridionali tocca stare sempre, come dire?, un passo indietro; mi dava fastidio, ma mi ero abituato, campavo tranquillo. Poi ho letto il tuo libro e ora ho una rabbia... Non sapevo nemmeno che avessero fucilato tanta gente al mio paese. E mo’, però, me lo dici!»
«Dipende... cosa?», chiedo all’uomo che mi blocca, mentre sto per andar via, dopo due ore e mezzo di Terroni e domande. Non è solo: c’è un gruppetto di persone, con lui, tutti maschi, non giovanissimi, con l’aria dei creditori (non è una battuta, è proprio quel che sembravano). Era tanto tempo che non tornavo a Taranto; è sera, siamo appena usciti dal palazzo del Comune, nella piazza del Castello Aragonese, con il ponte girevole davanti, la rada chiusa dalle isole Cheradi a destra, le due colonne residue del tempio greco a sinistra. La sera è fresca, avrei voluto far due passi: subito dopo il ponte girevole c’è la redazione de «La Gazzetta del Mezzogiorno», dove cominciai a fare il giornalista, 41 anni fa.
E, invece, il tizio mi blocca: «Mo’ mi dici che fare».
Non servirebbe a niente dirgli: «Non sono un guru, ma un giornalista, uno scrittore, ho qualche idea, e potrebbe essere sbagliata». Cerco di capire sino a che punto è disposto a tradurre quella veemenza in azione. Non ha tempo, lavora (e non basta) ogni minuto che può, i suoi amici assentono; sono nelle stesse condizioni: «Di ’sti tempi...». E da me che vuoi!
Ma la voglia di fare sembra vera, potente. E strozzata. In quei momenti ti accorgi che non puoi sottrarti alla responsabilità del libro scritto; per loro, hai preso un impegno, gli devi una risposta. Che è una bella pretesa, se qualcosa vuoi fare, ma non ne hai il tempo. Non solo dovrei dirti che fare (e già questo...), ma trovarti pure il tempo!
«Le ferie ce l’hai?» chiedo. «Poche.» «Un giorno all’anno lo puoi bruciare?» «Non esageriamo, pure qualcuno in più.» «Allora immagina che ogni giorno, 365 giorni all’anno, un bel numero di meridionali aspettino l’amministratore delegato delle Ferrovie sotto casa o davanti al suo ufficio, con cartelli, striscioni, slogan, per ricordargli che pure il Sud è Italia e vorrebbe prendere il treno e pure dal Sud lui acchiappa i soldi che spende solo al Centro-Nord; o davanti al ministero delle Finanze, ad aspettare Tremonti (o chi uguale a lui, dopo di lui), con tabelloni che fanno i conti dei miliardi di euro di fondi per le aree sottoutilizzate destinati al Sud e spesi al Nord; 365 giorni all’anno: “Restituisci il maltolto!”; o davanti a palazzo Chigi, a Montecitorio, con tabelle sulla destinazione degli investimenti pubblici, le disparità di infrastrutture fra le diverse aree del Paese: 365 giorni all’anno.»
«Cioè non lavoriamo più?».
«I Comuni meridionali sono circa 2.500; se tutti si impegnano a protestare così un giorno solo, a turno, a ognuno toccherà farlo una volta ogni sette anni circa; ma per sette anni, 365 giorni dell’anno, ci saranno manifestazioni di meridionali contro le discriminazioni a danno del Sud. Se solo metà dei Comuni aderisse, toccherebbe una volta ogni tre anni e rotti. Ma anche se si impegnassero soltanto gli abitanti del 15 per cento delle cittadine del Mezzogiorno, si tratterebbe di sacrificare un giorno di ferie all’anno. Hai detto che un giorno lo puoi bruciare, no?»
«Con internet, Facebook non dovrebbe essere difficile costruire ’sta cosa», dice uno di loro. E si allontanano.
«Che gli hai detto... Ora si scateneranno» commenta il libraio che mi accompagna. Mi guarda, capisce: «No?». «No.» Lo farebbero se avessero un capo. Nessuno di loro lo era; nessuno voleva esserlo.
«Come fai a dirlo?»
«Se avessero voluto fare, l’avrebbero fatto; senza chiederlo a me.»