36

I POETI ESTINTI

Sono sceso nelle catacombe in cui si nasconde la cultura meridionale, per salvarsi. Non cunicoli sotterranei: luoghi apertissimi, ma da cui non giunge voce, mentre vi arriva e si impone l’ottusità del potere che teme la memoria dei vinti, di un sapere non gregario, antico e autonomo. Ovunque, nel mio imprevisto pellegrinaggio meridionale, ho avuto a che fare con persone di ogni età, ma soprattutto giovani, impegnate nella ricerca e nella valorizzazione di storia e cultura locale; quasi una fatica archeologica per ricostruire, da pochi resti (ma spesso non sono affatto pochi e non sono resti), l’idea e lo splendore del perduto edificio. Ed è sorprendente con quale tenacia si indaga, si elabora. Sono quasi sempre loro, poi, a invitarmi, perché quel pezzetto recuperato in casa, appare ed è, lo sanno (ma non sempre), parte di un tutto di cui era funzione attiva.

È come se tanti, ognuno per conto proprio, avessero scoperto che quel che vale sapere non è quel che ti dicono (la subalternità economica diviene anche culturale), ma quello che pensavi non valesse niente. Se questi ricercatori applicassero lo stesso tempo, lo stesso impegno, la stessa fatica a cose più redditizie, ne trarrebbero vantaggi materiali; invece ci rimettono pure, nella gran parte dei casi. La cosa, in sé, non è nuova; nuovi sono il numero degli addetti, lo spirito, la dimensione, la modernità dell’approccio, dei metodi, degli strumenti; e della ricaduta politica e sociale che tale azione genera. È un ricorso al sapere, per fare, perché chi vuole sapere si prepara a fare.

Da questa rete non programmata (e che persino stenta a divenire una rete) giungono rivelazioni che non risuonano oltre l’uscio di casa, della strada che porta fuori paese. E sono tesori, tesori veri. Ogni volta, torno da questi miei giri, con pile di libri, giornali poveramente fatti ma densi di fatti, che non avrò tempo di leggere tutti davvero, ma ti basta scorrerli, per trarne perle.

Il Sud ha da dire, ma non ha voce: riesce a parlare a pochi, senza raggiungere la massa critica che fa valanga; o non ancora, si direbbe, vista l’abbondanza di palle di neve. Il Sud dà l’idea di un posto fascinoso e inquietante, di cui parlo ne Il trionfo dell’Apparenza: è la “Zona del Silencio”, in Messico, fra gli Stati di Durango, Chihuahua e Coahuila; ha estensione di circa cinquanta chilometri, è un luogo protetto, studiato dalla NASA, per un fenomeno unico al mondo: il suo livello di radioattività naturale e magnetismo è tale che “trattiene” persino le onde radio (e non sono le sole frequenze influenzate da quella strana forza, se pure i serpenti cambiano colore, le rocce diventano azzurre). I suoni hanno percorsi brevi, attratti al suolo da un potere che genera silenzio. Ci vanno i turisti a vivere l’esperienza della propria voce che cade spenta un po’ più avanti dei propri piedi, senza raggiungere chi è lì a un passo: ti vedono parlare, ma la terra ingoia i suoni, s’impadronisce delle tue parole. E ti fa muto. «...Ninco Nanco deve morire perché si campa potesse parlare / e si parlasse potesse dire qualcosa di meridionale» canta Eugenio Bennato.

Questo è il Sud, per il resto del Paese; e persino per se stesso (anche se sempre meno). Molti hanno cose interessanti da dire e le dicono, ma la voce fatica a raggiungere il paese accanto, nella terra del silenzio; che è tale non perché tace, ma perché non si vuol che dica o, se dice, che abbia ascolto. Così, di scarso valore sembra l’argomento, non lo strumento per divulgarlo, proporlo. Se del Sud poco si sa, sarà perché poco merita, no? Eh...

Poeti e matti sono antenne sensibili della comunità, per l’esasperata capacità di cogliere, prima e più degli altri, il nuovo e il diverso. È bene rivolgersi a loro per capire cosa succede o succederà: sono i primi a vedere il fumo dell’accampamento oltre il deserto, la costa all’orizzonte, dopo lunga navigazione, a percepire l’animo della ciurma. E quando i poeti e i matti avvertono il pericolo del potere (o il potere li avverte come pericolo), scendono nel grembo della terra a coltivare la loro libertà di sentire e dire (come avete capito, sto citando le scene de L’attimo fuggente, la Setta dei Poeti Estinti, e se avrete voglia di seguirmi, sarà chiaro il perché).

Per me, Nusco era solo il paese di Ciriaco De Mita, già potente capo del governo, padrone della Democrazia Cristiana, collettore dei soldi per la ricostruzione, dopo il terremoto dell’Irpinia (che, dati al Sud, tornarono per la maggior parte al Nord, come dimostrò lo studio condotto da ricercatori statunitensi: incluso alla Parmalat, che costruì qui il suo più grande stabilimento, incassò, e sparì). Così, quando mi chiamano e mi dicono che c’è anche il sindaco (De Mita pure lui, ma Giuseppe e “ribelle”), mi incuriosisco e vado.

E a Nusco, catacomba di montagna, mi accolgono Paolo Saggese e Peppino Iuliano, poeta lui stesso, di rara eleganza, fondatori di una specie di Arca di Noè che opera dal 2004 e ha, tra i sostenitori (te li vogliono citare tutti), «intellettuali quali Giuseppe Liuccio, Giuseppe Panella, Francesco D’Episcopo, Franca Molinaro, Salvatore Salvatore, Alessandro Di Napoli, Vincenzo D’Alessio, Alfonso Nannariello, gli chansonnier Pina Cipriani e il compianto Franco Nico del Teatro “Sancarluccio” di Napoli»: è il Centro di Documentazione sulla Poesia del Sud, per salvarla da chi vorrebbe che sparisse e già comincia a farla sparire dalle antologie e dai programmi scolastici, per imporre, pure nell’anima, «l’egemonia del Nord e la subalternità del Sud» dice Saggese.

Esagera? Lui e gli altri avevano notato che, nelle antologie, specie recenti, e nelle storie letterarie del Novecento, solo il dieci per cento dei poeti citati «era nato a Sud di Roma, e che la stragrande maggioranza degli autori erano “padani”, toscani e romani. L’Italia del Sud e l’Italia delle province erano completamente escluse dalla storia della poesia italiana». Soltanto tre i poeti meridionali «inclusi nelle antologie che “contano”»: il premio Nobel Salvatore Quasimodo, siciliano; Alfonso Gatto, salernitano; Rocco Scotellaro, lucano. Degni di menzione, Sinisgalli, Calogero, Bodini, de Libero, Fallacara e pochi altri. Una «“damnatio memoriae” della poesia del Sud» confermata «dagli studi e dalle riflessioni di molti critici letterari, da Vittoriano Esposito ad Alessandro Carandente, da Ugo Piscopo a Gian Battista Nazzaro, da Alessandro di Napoli a Daniele Giancane, a Dante Maffia» (più numerosi quelli che hanno segnalato l’esclusione dei poeti del Sud, che i poeti meridionali inclusi nelle rassegne scolastiche).

Saggese e Iuliano fondano il loro Centro-Salvagente e dal 2003 al 2007 producono, con l’editore Elio Sellino, tre antologie dei Poeti del Sud e il primo libro della Storia della Poesia Irpina – 2009, più la rivista «Poesia meridiana» (con la Delta 3 edizioni, di Silvio Sallicandro). Ma «la situazione» scrive Saggese «sembra persino peggiorata, se si prende visione delle “Indicazioni nazionali per il curricolo” emanate in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica 89/2010, relativo al Regolamento per il riordino dei Licei».

Detta così, sembra una di quelle cose scritte apposta per non essere lette. Ma è nel fumo del burocratese che viene occultata la trappola: si tratta delle “indicazioni” del ministero della Pubblica istruzione, che sono la “traccia” cui devono attenersi i docenti per i programmi d’insegnamento e le case editrici per i testi scolastici.

Ecco cosa dicono per il liceo classico e, dunque, per gli altri cinque indirizzi: «Dentro il ventesimo secolo e fino alle soglie dell’attuale, il percorso della poesia, che esordirà con le esperienze decisive di Ungaretti, Saba e Montale, contemplerà un’adeguata conoscenza di testi scelti tra quelli di autori della lirica coeva e successiva (per esempio, Rebora, Campana, Luzi, Sereni, Caproni, Zanzotto...). Il percorso della narrativa, dalla stagione neorealistica ad oggi, comprenderà letture da autori significativi come Gadda, Fenoglio, Calvino, Primo Levi e potrà essere integrato da altri autori (per esempio Pavese, Pasolini, Morante, Meneghello...)».

Non c’è un meridionale! Nelle ministeriali “indicazioni” non vi è soltanto il «rifiuto della cultura del Sud» commenta Saggese «ma anche la convinzione dell’estraneità di questa poesia dalla storia nazionale». Da cui viene sbattuta fuori, ope legis, per legge! «Persino la “triade” Quasimodo, Gatto, Scotellaro, sembra essere indegna di figurare nella programmazione scolastica attuale.»

Non basta nemmeno il premio Nobel, a un poeta del Sud (chissà con quali imbrogli lo ha avuto...), per rientrare nei criteri “meritocratici” dell’accidentale ministro alla Pubblica istruzione, Gelmini da Brescia. Sulla scorta delle cui “indicazioni”, nei libri di testo, «Quasimodo sarà considerato autore quasi secondario, avrà meno spazio, scomparirà quasi del tutto. Gli autori meridionali, che avevano avuto un loro spazio nei decenni passati, saranno confinati a realtà regionali, mentre la letteratura “vera”, quella che conta, che resterà, sarà quella dell’Italia vincente ed europea. L’Italia meridionale, al limite, potrà essere anche letterariamente una colonia del Nord, ai margini della storia nazionale». Osservazioni che copio da un appunto di Saggese.

Il tono, le azioni, sue, di Iuliano, degli altri, non sono dolenti e rassegnati, anzi! Sono combattivi e fantasiosi, sanno di essere pochi e di piccola voce, ma hanno coscienza del valore di quel che fanno e usano la poesia come arma (mi porgono i libri di versi che hanno curato sul terremoto del 23 novembre del 1981 in Irpinia e del 6 aprile 2008 all’Aquila, La polvere e la luna, Delta 3 edizioni; e in difesa di un anfiteatro naturale irpino che rischia di diventare una discarica, Versi per il Formicoloso). «Miriamo» spiega Iuliano «a una poesia che esca dalla clandestinità e sappia coniugare, oltre la fantasia artistica, l’identità e la militanza; una poesia capace di essere idea, ragione, passione civile e amore sociale; una poesia non maledetta, ma contro la maledizione disposta a rinunciare alla smania del serto, per il cardo e l’ortica» (capito, sì?: «...rinunciare alla smania del serto, per il cardo e l’ortica»: ha ragione la nonsisaperché ministra Gelmini a toglierli di mezzo i poeti meridionali: mo’, le tocca telefonare al suo amico giardiniere di Arcore, per farsi spiegare ’sta cosa del cardo, il serto, l’ortica...). Saggese e Iuliano sanno, pur non lasciandosene intimidire, qual è la sproporzione delle forze.

La sera del mio arrivo a Nusco, distribuiscono un documento di protesta da firmare e inviare al Ministero, in cui leggi: «Paradossalmente, chi meno crede nell’Unità d’Italia ha imposto all’Italia la propria cultura, che dovrebbe essere l’unico strumento possibile di costruzione di un’identità che escluda la cultura del Sud. A questa colonizzazione violenta, a questa mortificazione della cultura del Sud si può rispondere soltanto con una voce forte, da parte del mondo della cultura del Mezzogiorno, da parte delle scuole, dei docenti di Lettere e dei centri di ricerca e delle università del Meridione».

È il gergo dei sindacalisti, non dei poeti; se il ministro stenta a capire il secondo, si prova con il primo: hai visto mai? Tocca adeguare il linguaggio alle situazioni. E persino gli argomenti, se il valore della poesia viene misurato con quello della dieta e delle calorie: Saggese cita, per esempio, un saggio, del 2010, del poeta Valentino Zeichen, in cui si sostiene che il “generoso slancio” dei “poeti impegnati” si sarebbe affievolito «quando nell’Europa del Miracolo Economico del 1955 si sono raggiunte le tremila calorie pro capite» (e non fate quella faccia: non è colpa mia, io lo riferisco soltanto!).

Ma se davvero la poesia sgorga da un deficit calorico, sottratta allo sforzo della digestione, allora bisogna ricordare che «molte aree del Sud» replica Saggese «hanno raggiunto le “tremila calorie pro capite” almeno un trentennio dopo», perché negli anni Cinquanta della svolta alimentare, «gli irpini e i meridionali in generale erano carne da macello delle miniere del Belgio! Perciò, il “generoso slancio” della poesia impegnata al Sud si è affievolito molto dopo gli anni Sessanta ed è ancora oggi, almeno in parte, vivo»; e «si caratterizza per il suo atteggiamento “civile”, contro la mala politica, il clientelismo, la delinquenza organizzata, il malaffare» che «hanno generato una situazione di difficoltà economica, di povertà e sudditanza ancora molto diffusa. Ma questa diversità condanna la poesia del Sud, accusata di essere vetero e passatista. Noi siamo convinti, invece, che la grandezza della poesia italiana risieda nelle tante anime che sa esprimere. E non vogliamo che la nostra anima sia mortificata».

Sarebbe facile prendersela con la signora che hanno messo alla Pubblica istruzione, tale Gelmini che (non ricordo se l’ho già detto) si laureò con tre anni di ritardo, voto modesto, tesi definita “sciatta” dal suo relatore, prese l’abilitazione in un esamificio a promozione garantita.

Lei fa quello che deve fare; o non sarebbe lì. Quando il Sud fu annesso al resto del Paese, le scuole vennero chiuse (gli istituti superiori a Napoli, d’imperio, dai nuovi arrivati; altrove, per lo stato di guerra); e quando l’Italia unita le costruì, ne fece poche al Sud e tante al Nord, dove spese anche duecento volte di più, sino a generare un divario mai più colmato.

Diviso il Paese nell’edilizia scolastica, e le autostrade, le ferrovie, gli aeroporti, l’assistenza, le banche, i redditi e tutto il resto, lo si spacca persino nell’insegnamento, nella cultura, la poesia, con la sciocca presunzione di cancellare l’anima meridionale, facendone sparire gli aedi dai libri di scuola, come non esistessero, non avessero nulla da cantare, incapaci di sentire. Facendo così intendere agli studenti del Nord che il Sud non produce letteratura di cui valga la pena sapere; e a quelli del Sud che la loro letteratura non merita di essere divulgata, appresa. Ci consola sapere degli 800.000 euro erogati dal ministero del Tesoro alla scuola “Bosina” (una sola “s”) di Varese, fondata dalla signora Manuela Marrone in Bossi, per educare i piccoli alle tradizioni e all’identità territoriali.

Ovunque un poeta sia messo a tacere, l’umanità intera s’impoverisce; è una cosa nota, detta da grandi uomini, da tanto tempo. Che tocchi a me doverlo ricordare dà la misura della sconcezza in cui s’infanga la scuola italiana, e quella dei pisquani che a tanto la riducono.

Ma i poeti non si estinguono per volontà del potere. Sembra facile avere ragione di questi delicati cultori di cose inutili (non è tale la poesia?). Il guaio è che sono inoffensivi, ma tenaci; immersi in un mondo di cui si può fare a meno (non è tale la poesia?), ma capaci di difenderlo con la vita. Qualcuno può illudersi di deciderne sorti e indirizzo, come nei regimi oppressivi (dall’Unione Sovietica al Cile di Pinochet) o semplicemente stupidi, o stupidi e oppressivi. Ma quella sparsa dinastia di solitari, secondo la bella immagine di Jorge Luis Borges, è imbattibile, perché possiede l’anima del mondo.

Josif Brodskji, il più giovane premio Nobel per la letteratura, sbattuto nelle carceri sovietiche, vi entrò poetando; ne uscì anni dopo: poetando, rovinato nel fisico, intatto nell’anima. Della detenzione, non una parola (salvo «Troppo tempo in troppo poco spazio», se ricordo correttamente): non meritava occuparsene.

Gli estensori di “indicazioni” che confondono la cultura con la latitudine, nella stupida presunzione di esaltare poeti e narratori del Nord a danno di quelli del Sud, ottengono l’offensivo risultato di denigrare i primi e innalzare i secondi: come se i Saba, gli Ungaretti, i Montale, i Calvino, i Pasolini, i Primo Levi, i Gadda e altri numi avessero bisogno di una Mariastella Gelmini (o chi per lei) che tolga loro di torno i “concorrenti meridionali”, per renderli più grandi. Solo da morti li possono umiliare così: fossero vivi, sarebbero i primi a scagliarsi contro la tizia disgraziatamente ministerializzata; e lo farebbero per tutelare se stessi, prima che la decenza.

La setta di Nusco e gli sparsi cultori di cose inutili che spesso persino non sanno gli uni degli altri, e che incontro in paesini dove l’isolamento diviene occasione di profondità, sono custodi di un tesoro. Tengono in vita i poeti che la stupidità vorrebbe zittire, confinandoli nel ghetto di una inedita minorità culturale del Sud, indegna di sporcare i libri di testo degli studenti italiani con gli Sciascia, i Gatto, i Bodini, i Marotta, i Quasimodo che rubano il Nobel agli autori del Nord, gli Ortese, i Bufalino, i Silone, i Tomasi di Lampedusa, i Corrado Alvaro... (La Gelmini, però, richiami all’ordine i suoi tagliatori di teste meridionali: Pirandello è rimasto, ma fra quelli dell’Ottocento: o gli è scappato, o del secolo precedente si occupa un altro censore, o l’hanno scambiato per una maschera popolare veneta.)

Gli ignoranti del Sud sono ignoranti e basta; mentre ad alcuni di quelli del Nord, dà terribilmente fastidio che ci siano ’sti meridionali che sanno un sacco di cose antiche di cui a loro non importa nulla. Nuialter sem roba pratica, terun, minga filosofia!

La cultura era l’unico campo in cui si era ancora disposti a riconoscere ai meridionali una qualche eccellenza, magari solo per accidente storico (i Greci e altre anticaglie...). E anche questo, tutto sommato, per una sorta di pregiudizio, seppur positivo: “quelli”, non avendo nulla da fare, studiano. Tutto, pur di non lavorare...

Ora le cose sono state messe in ordine: la minorità del Sud, imposta e accettata nei comportamenti, nei servizi, nella sanità, negl’interventi dello Stato, è finalmente sancita, per ministerial divisamento e imposizione, pure nella poesia, nella letteratura.

Aprile Pino - 2011 - Giù Al Sud
titlepage.xhtml
OEBPS_Text_cover.xml
OEBPS_Text_frontmatter1.html
OEBPS_Text_frontmatter2.html
OEBPS_Text_title.html
OEBPS_Text_copyright.html
OEBPS_Text_frontmatter3.html
OEBPS_Text_frontmatter4.html
OEBPS_Text_chapter1.html
OEBPS_Text_chapter2.html
OEBPS_Text_chapter3.html
OEBPS_Text_chapter4.html
OEBPS_Text_chapter5.html
OEBPS_Text_chapter6.html
OEBPS_Text_chapter7.html
OEBPS_Text_chapter8.html
OEBPS_Text_chapter9.html
OEBPS_Text_chapter10.html
OEBPS_Text_chapter11.html
OEBPS_Text_chapter12.html
OEBPS_Text_chapter13.html
OEBPS_Text_chapter14.html
OEBPS_Text_chapter15.html
OEBPS_Text_chapter16.html
OEBPS_Text_chapter17.html
OEBPS_Text_chapter18.html
OEBPS_Text_chapter19.html
OEBPS_Text_chapter20.html
OEBPS_Text_chapter21.html
OEBPS_Text_chapter22.html
OEBPS_Text_chapter23.html
OEBPS_Text_chapter24.html
OEBPS_Text_chapter25.html
OEBPS_Text_chapter26.html
OEBPS_Text_chapter27.html
OEBPS_Text_chapter28.html
OEBPS_Text_chapter29.html
OEBPS_Text_chapter30.html
OEBPS_Text_chapter31.html
OEBPS_Text_chapter32.html
OEBPS_Text_chapter33.html
OEBPS_Text_chapter34.html
OEBPS_Text_chapter35.html
OEBPS_Text_chapter36.html
OEBPS_Text_chapter37.html
OEBPS_Text_chapter38.html
OEBPS_Text_chapter39.html
OEBPS_Text_chapter40.html
OEBPS_Text_chapter41.html
OEBPS_Text_chapter42.html
OEBPS_Text_chapter43.html
OEBPS_Text_chapter44.html
OEBPS_Text_chapter45.html
OEBPS_Text_chapter46.html
OEBPS_Text_chapter47.html
OEBPS_Text_chapter48.html
OEBPS_Text_chapter49.html
OEBPS_Text_chapter50.html
OEBPS_Text_chapter51.html
OEBPS_Text_chapter52.html