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DOPO QUANTI «NO»
HANNO UCCISO ANGELO?
Li ho visti piangere per il mio amico Angelo Vassallo, ucciso con nove colpi di pistola. Erano in tanti. E quei fogli, tutti uguali, sulle saracinesche dei negozi chiusi, persino sui portoncini delle case: «Angelo, il paese muore con te»; lui ci ha rimesso la vita per difenderlo dalla criminalità che con il cemento distrugge la bellezza e con il piombo chi vuole impedirlo.
La torre medievale sul porto di Acciaroli è quasi interamente coperta dalla gigantografia di Angelo in equilibrio sugli scogli, mentre eleva un calice di acqua di mare, pulita da poterla bere: fu fatta per il mio giornale, quella foto, per rappresentare la vittoria di Pollica (vastissimo comune, di cui fanno parte le frazioni di Acciaroli e Pioppi, sulla costa, Galdo, Cannicchio, Celso e San Mauro Cilento, in montagna), nel “Campionato delle vacanze” che mi ero inventato, fra le più celebrate località marinare d’Italia. Angelo, con la sua fantasiosa e oculata amministrazione del Comune, era riuscito a fare del “suo” tratto di riviera cilentana, il numero uno, battendo le celebrate Cervia, Portofino, Capalbio...
In una ventina di anni da sindaco, aveva arricchito tutti, senza distruggere niente del territorio: riteneva che quello fosse il “capitale”, da non intaccare, se si voleva continuare a vivere, e bene, con gl’“interessi”. Non è agevole arrivare ad Acciaroli, la perla costiera di Pollica, con Pioppi; non c’è la ferrovia, la strada è angusta e contorta. Ma lui non volle mai fare niente per facilitare l’arrivo: «Così, ci viene solo chi vuole davvero» mi diceva. Ma una volta lì, eri come in casa di parenti, con Angelo che vigilava sui prezzi (ché fossero onesti), sul cibo (ché fosse buono), sulla cortesia (ospiti paganti, i turisti, ma prima di tutto ospiti); sulla pulizia del mare (induceva comica commozione l’orgoglio con cui ti mostrava il primo e più efficiente depuratore della zona, che vedeva “bello”! Va bene tutto, ma sappiamo di cosa si tratta...); sulla pulizia del paese (poteva vantare il record di raccolta differenziata e se ti vedeva deporre il sacchetto nel modo sbagliato, te lo riportava magari a casa e ti imponeva il rispetto delle regole).
Era fiero del porto in cui Hemingway aveva interrogato i pescatori di tonno per scrivere, poi, Il vecchio e il mare, ambientato, però a Cuba; quel porto che aveva trasformato in un gioiello, senza stravolgerlo, faceva gola a investitori privati, ma lui voleva restasse di proprietà e gestione pubblica, perché era un arricchimento del territorio comunale, reso bello e comodo con i soldi della sua gente. Mi ci portava, quando feci con i miei una breve vacanza ad Acciaroli e, a gesti, mi spiegava il progetto, contava i posti di lavoro. Rise di gusto quando gli dissi che il porto sarebbe stato penalizzato dagli orari di esercizio solo diurni, visto che mio nipote Giorgio, allora due anni e mezzo, aveva scoperto perché, ogni sera, prima di cena, la spiaggia del residence in cui alloggiavamo restava deserta e si metteva la catenella alla staccionatina d’accesso: «Il mare chiude» ad Acciaroli, pure il mare, a una cert’ora...
Zi’ Achille, unico testimone ancora in vita, era stufo di giornalisti (i primi furono i giapponesi) che gli chiedevano di raccontare del soggiorno di Hemingway ad Acciaroli, e dei colloqui che lo scrittore ebbe con lui e, poi, con l’altro pescatore, Antonio U Viecchiu. Angelo lo convinse a prendere un caffè con me. E Zi’ Achille (Di Matteo) mi raggiunse al bar sul porto. Mi descrisse un Hemingway ubriaco, invadente e tirchio. La pesca, per loro, era fatica, non letteratura. Ma quando tornavano da mare, lo scrittore entrava in acqua, sino alla coscia, armato di penna e blocchetto, e cominciava a fare domande sul metodo di pesca, la distanza dalla costa, le correnti, l’esca... Zi’ Achille, forte dello scarso inglese ereditato dalla guerra, gli rispondeva. Anche se in quello straniero c’era qualcosa che gli piaceva poco: era arrivato con una cassa di Amarone, non faceva niente tutto il giorno, era sempre ubriaco, tanto che l’allora proprietario della Scogliera, il ristorantealbergo dove alloggiava, lo cacciò, salvo pentirsi quando gli dissero chi era. Zi’ Achille, pratico, spiccio, uomo da lavoro, non da chiacchiera, a un certo punto si scocciò e smise di perdere tempo con l’americano. Che dirottò su U Viecchiu, Antonio Masarone, più paziente e disponibile, il quale guadagnò, così, in concorrenza con il pescatore cubano Gregorio Fuentes, l’onore postumo di aver ispirato Il vecchio e il mare, che spalancò a Hemingway la strada per il Nobel.
«Che ti è sembrato di Zi’ Achille?» mi chiese Angelo, la sera, a cena. «Un vero marinaio» risposi «per il parlare essenziale; a bordo, chi naviga per lavoro, apre bocca solo per dire cosa c’è da fare. Però, prima di salutarci, mi ha chiesto: “Senti, ma ’st’americano, era uno che..., insomma: i soldi li teneva?”. “Non se la passava male” gli ho detto. E lui ha fatto partire un sacramento: “M’avesse mai offerto ’na sigaretta! Nu cafè!”». Angelo assentiva e rideva: evidentemente, la cosa quadrava con quel che sapeva di Zi’ Achille.
Lui di mare ne capiva: era la sua passione, la sua vita ed era stato il suo lavoro. Lo chiamavano il sindaco-pescatore; era l’uno e l’altro e gli piaceva talmente la definizione, che la usava lui stesso. Avrei voluto uscire in barca con lui, ma non riuscimmo mai a combinare, per colpa mia; nemmeno per l’inaugurazione del porto.
Se un cruccio aveva, era che il benessere diffusosi, grazie a lui, nel comune, aveva dissuaso gli abitanti dal continuare la faticosa tradizione della pesca delle alici. «Abbiamo insegnato a mezzo mondo come si fa; e ora nessuno di noi la fa» diceva. «Perché il turismo basta e avanza.» In un Paese che punta al raccolto rapido e tanto dal turismo di luglio e agosto, lui aveva investito nella stagione lunga, che ad Acciaroli dura da marzo a novembre.
Bel posto, bella gente, pulizia, prezzi giusti, criminalità zero, perché, all’occorrenza, Angelo faceva pure lo sceriffo. E questa, alla fine, l’ha pagata. Aveva individuato degli spacciatori, li aveva segnalati. Temeva che capitali sospetti tentassero di trovare varchi d’investimento (e aprire la strada a cos’altro?) ad Acciaroli. E si era posto subito di traverso, perché era ruvido, Angelo; persino duro, se serviva. Ma duro vero, non concepiva le scorciatoie, solo le regole. Sapeva essere convincente, ma anche svelto di mannaia, per dire che era di decisioni veloci e drastiche. E se doveva farsi dei nemici, il problema lo avevano i nemici.
A qualcuno deve aver dato fastidio. Un “no” di troppo. E gli hanno sparato. Era il 5 settembre 2010. Soltanto da cinque mesi era stato eletto sindaco per la quarta volta, con il 100 per cento dei voti: era l’unico candidato. Non aveva concorrenti, nel cuore di Pollica.
La verità poliziesca, processuale, sulla sua morte, ancora stenta. Ma il giudizio della gente era lì, ai funerali: pezzi di marcantonio piegati in due dai singhiozzi; le autorità venute da lontano, dal ministro al sottosegretario, al segretario del partito, ai sindaci degli altri paesi, con i gonfaloni, un centinaio, forse più; le rappresentanze diplomatiche dei Paesi che aveva coinvolto nel suo progetto sulla dieta mediterranea (il cui scopritore, lo statunitense Ancel Keys, si trasferì qui, in Cilento): su proposta di Vassallo, e per onorarne la memoria, tre mesi dopo la sua morte, il 16 novembre 2010, l’ONU dichiarò la dieta mediterranea “Patrimonio immateriale dell’umanità”; una giornalista, lì per scrivere la cronaca, appoggia le braccia al palco, vi nasconde il volto e piange: vestita di nero, con un velo nero sui capelli: è una giovane, moderna donna, ma ha i colori e il silenzio dei dolori antichi; un cineoperatore ti urta, per farsi spazio, si gira, ti chiede scusa: ha gli occhi gonfi e rossi; il vicesindaco, Stefano Pisani, fa l’orazione funebre fra le lacrime, la voce è rotta, ma continua, tenace, rabbioso; minaccia: non servirà quel che hanno fatto ad Angelo, «perché lui ci ha insegnato come dobbiamo comportarci».
Le nostre vite ci consentivano pochi incontri e molte telefonate, ma Angelo era mio amico, ammiravo il suo coraggio, la sua fantasia, ma soprattutto la sua capacità di trasformare le idee in fatti. Forse, mi avrebbe preso in giro, se mi avesse visto piangere. Pioveva, ai suoi funerali.
Per essere un buon sindaco, al Nord, basta mantenere le strade pulite. Al Sud devi mettere in gioco la vita e ti guardano con sospetto. E sai che la morte di un gigante morale, come Angelo Vassallo, getta discredito sui sopravvissuti. Cos’hanno fatto per meritarlo? Se il crimine abbatte i sindaci che ne contrastano gli affari, chi resta in piedi è connivente?
La sera prima dei funerali di Angelo, presento Terroni a Oliveto Citra, assieme a Eugenio Bennato, che ha appena pubblicato Brigante se more, dal titolo della sua canzone divenuta l’inno del Sud risvegliato, tanto da generare la leggenda che quella ballata, in realtà, sia antica; Eugenio e Carlo D’Angiò l’avrebbero plagiata. Non è vero; me lo conferma Raffaele Nigro, autore di Giustiziateli sul campo. Letteratura e banditismo da Robin Hood ai giorni nostri, che ha condotto uno studio esaustivo sulla musica brigantesca: «E quella non c’era, al tempo» assicura. In più, hanno cambiato le parole di un paio di versi, mutando l’universalità del testo originario («Nun ce ne fotte d’o re Burbone») in una dichiarazione monarchica («Nui combattimme p’o re Burbone»). E quella falsificazione, paradossalmente, rende vera la presunta antichità dell’inno.
La sera, c’è il concerto di Eugenio (è sorprendente come le sue dita paiano far finta di scorrere sulle corde della chitarra e di altri strumenti musicali di tradizione e diano l’idea di non toccarle, come se il suono non venisse prodotto da lui, ma dallo strumento, in autonomia, restandogli solo di rappresentarne i gesti, a uso di chi guarda. La levità è la cifra di Eugenio).
In sala, càpito accanto a un sindaco del Vallo di Diano (che fa parco unico con il Cilento). Nella pausa per la risistemazione del palco, mi parla di Angelo (erano colleghi, anche di partito, e amici), di come sia arduo fare il sindaco, da queste parti. «Quella violenza che giudica ciò che fai, solo in funzione dei propri interessi, ti sembra di poterla toccare, intorno a te» spiega. Mi chiede di Angelo, di cosa mi diceva, se e quando mi fosse parso inquieto, nervoso. Quando mi parlò l’ultima volta del porto, gli dico; ma inquieto alla sua maniera: irriducibile; tanto che polemizzammo pubblicamente, sul «Corriere del Mezzogiorno». «Per due volte» mormora il mio interlocutore, «ho avuto la certezza di essere andato vicino a una reazione che... Ma cosa fai? Hai paura, mantieni il punto e speri che, per “loro”, non sia ancora quello di rottura. Ho vissuto male, molto male, ma è passata.»
Corre un brutto silenzio, prima che aggiunga (ecco dove voleva arrivare): «Quante volte è successo ad Angelo, prima che lo uccidessero?». Non lo so, sindaco. Non rispondo. Non saprei nemmeno dire se è davvero a me che lo chiede, o a se stesso.
Eugenio comincia a suonare. Il sindaco si volta verso il palco. Forse non si aspettava davvero una risposta, ma un indizio, qualcosa... Quante volte, prima che “loro” dicano basta? Se Angelo avesse saputo valutare la distanza da questo limite, forse non sarebbe morto, si sarebbe difeso. Come fai a dire a uno che teme di esserci già vicino: lo sai soltanto quando l’hai superato?
Stride tanto la grandezza musicale del Sud, da Eugenio riscoperta e riproposta (anima larga e antica che si dispiega), nel confronto con la brutalità dell’argomento. La breve conversazione ha lasciato un velo di imbarazzo sul volto del sindaco; a nessuno piace mostrare la propria paura. Lui lo sa che gli altri si chiedono: perché Angelo sì e tu no? Sa che pensano: cos’hai fatto per “loro”? Mentre lui si domanda: quanto posso ancora fare, prima di consumare la distanza che porta alla fine di Angelo? E serve farlo (il Pd nemmeno rispose alla richiesta popolare di candidatura di Vassallo al Parlamento)?
Una indicazione è stata data dai cittadini di Pollica: a succedere ad Angelo hanno eletto il suo vice e braccio destro, Stefano Pisani, giovane e attivo ecologista. Le sue prime parole sono state per il suo maestro; il suo primo gesto pubblico, andare a pregare sulla tomba del predecessore. La sua prima dichiarazione: «In questi mesi, ci siamo impegnati nel solco lasciato da lui. E anche in queste settimane abbiamo continuato a lavorare, senza farci distrarre dalle elezioni. È quanto avrebbe fatto Angelo».
Una serie di iniziative sono state avviate, con il coinvolgimento di registi, magistrati, giornalisti, persone di ogni parte d’Italia, per affiancare i cittadini e l’amministrazione di Pollica. È nata la Fondazione Angelo Vassallo, a iniziativa dei suoi familiari ed estimatori. Una sorta di cittadinanza virtuale è stata estesa a chiunque voglia, con SiamotuttidiPollica («Se credi nel rispetto della persona, nell’amore per il tuo territorio, nel contrasto a ogni forma di illegalità e vuoi essere al fianco dei cittadini che hanno sostenuto le idee di Angelo Vassallo»). Così, il Comune ha aggiunto duemila “abitanti”, in un anno, ai suoi duemilacinquecento effettivi. Un premio è stato istituito, a nome di Angelo, per i sindaci che riescono a sviluppare le loro comunità, tutelandone il territorio.
Chi pensava di uccidere Angelo, lo ha moltiplicato, per l’esempio fecondato dal sangue. Quelli che chiamano cialtroni gli amministratori del Sud, trascurano che per essere un buon sindaco in Brianza, basta, ripeto, raggiungere la giusta percentuale di raccolta differenziata. Al Sud, per fare altrettanto, può succederti di dover morire. E lo sai.
E c’è chi lo fa lo stesso. E si sente chiamare “cialtrone”. Alla memoria, magari, e senza che l’insulto si ritorca contro chi lo scaglia.
A proposito: sono anch’io cittadino virtuale di Pollica.