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L’ABC DEL RAZZISMO
Il razzista non si aspetta reciprocità; è così convinto della sua presunta superiorità e, grazie a quella, del proprio diritto alla denigrazione di quanti non gli sono pari, che l’essere trattato come lui fa con “quegli altri”, prima che offenderlo, lo disorienta, lo sorprende. Prendete Renzo Bossi e il suo “gioco” lanciato sulla pagina Facebook della Lega, con il quale sommavi tanti più punti, quanti più clandestini respingevi: solo virtualmente, sia chiaro; da non prendere come allenamento... Ma parole e simulazioni hanno sempre preceduto i fatti, perché svelano un’intenzione.
Cosa direbbero i führer della Milizia Padana, se qualcuno mettesse in rete il gioco “Abbatti il leghista”? Tanti più punti, quante più camicie verdi stendi. Virtualmente, chiaro. E se centri Umberto Bossi, fai strike! Game over!
Be’, che c’è, non ti diverti più?
Così, all’Università Insubria, a Como («quella della Lega»), ho usato le frasi razziste di Calderoli e Borghezio per mostrarne, sulla pelle di chi le aveva pronunciate, il contenuto discriminatorio. E a Torino, al Salone del libro, ho cominciato il mio intervento alla presentazione di Terroni, dicendo: «Torino è una fogna, da derattizzare, perché anche i topi votano». E l’ho fatto ad Asti, a Milano, in Veneto... Mentre un fremito percorreva gli ascoltatori, giustamente offesi, avvertivo che nella frase originale, di Calderoli, la città-fogna è Napoli. Ma quando il noto “porcataro” (per autodefinizione, quando si è improvvisato legislatore) la pronunciò, quei fremiti indignati mancarono. Sia a Nord, sia a Sud (solo un napoletano, residente a Vicenza, fece causa; e la perse). «Ecco,» spiegavo «quella mancanza di indignazione misura il pregiudizio condiviso, da chi lo nutre e da chi lo subisce.» Altri esempi? Bossi dice di adoperare la bandiera italiana come carta igienica? «Io uso quella della Lega,» dissi a Torino, per evidenziare, respinto al mittente, il peso dell’insulto «ma, siccome mi fa schifo, la tengo per il mio cane.»
Be’, che fai, non ridi?
Spostare da umana ad animale la natura dell’interlocutore che si vuole denigrare è il primo passo del razzismo. Chi ricorre a questo metodo vuole ridurre la responsabilità morale del suo gesto e il valore biologico di chi lo patisce (un conto è far danno a un uomo, un conto a un topo di fogna).
Ma capisco che qualcuno possa trovare complicato l’assunto: bisogna pur tener conto di chi riesce a superare gli esami di media superiore, in solo quattro tentativi, con o senza sostegno morale del ministro alla Pubblica istruzione (con rispetto parlando). All’Università dell’Insubria (e non solo), stimolato da un uditorio giovane e ironico, son ricorso ai disegnini: l’indecenza a fumetti.
Figura A: un umano stilizzato (cerchietto-testolina, lineetta torso, due lineette-braccia, due lineette-gambe) e scrivo sotto: «Homo sapiens sapiens – napoletano».
Figura B: una sorta di pera coricata, quattro zampette, codino lungo dalla parte rigonfia e due, tre baffetti dalla parte più a punta; e scrivo sotto: «Topo, o pantegana, o zoccola».
Figura C: replico il primo disegno, e scrivo sotto: «Homo sapiens sapiens – parente di leghista».
Ora, essendo innegabile l’identità A = C, appare evidente, per la disparità dei disegni e degli esseri viventi rappresentati, che A non può essere uguale a B, come sostiene Calderoli. Altrimenti, ne deriverebbe che se A = B (napoletano = topo, o pantegana, o zoccola), avremmo anche C = B (parente di leghista = topo, o pantegana, o zoccola).
E non è pensabile che Calderoli voglia insinuare qualcosa di offensivo nei riguardi dei suoi familiari (o di quelli di suoi colleghi di partito) che potrebbero essere anche strettissimi... Lui stesso non ne uscirebbe indenne. Pertanto, non volendo dubitare che, anche per i leghisti, C è sempre diverso da B, allora, pure A è sempre diverso da B. Quindi, i napoletani non sono topi da derattizzare. E nemmeno Calderoli e le persone a lui care.
Con lo stesso schema, si può indagare il contenuto fognario (ma com’è che ’sti leghisti li trovi sempre da quelle parti?) dell’affermazione di Borghezio sui meridionali “merdacce”. Sia A un essere umano, ma meridionale (è ancora un essere umano?), B una merda, e C, un essere umano, ma leghista (è ancora un essere umano?): se A = B, anche C = B. Se il terrone è una merda, pure il leghista...
E via di seguito. Capisco che i razzisti si arrabbino: questo metodo fu inventato dai meridionali, qualche anno prima che Borghezio cominciasse a dire sciocchezze. Ad Atene.
Altrettanto palese il contenuto razzista di note espressioni di altri (incredibilmente) ministri. Mariastella Gelmini (Pubblica istruzione), sostenne la necessità di riqualificare gl’insegnanti meridionali; mentre Giulio Tremonti (Economia), definì «cialtroni» gli amministratori del Sud. Poniamo che la signora ministro abbia ragione: che tutti, ma proprio tutti gl’insegnanti meridionali siano pessimi; e che, per converso, tutti quelli settentrionali siano ottimi, tant’è che nessun corso di riqualificazione è stato ritenuto necessario, per loro.
Abbiamo la certezza che la perfezione, nel bene e nel male, non è possibile in questo universo (dimostrato dal professor Max Planck, approfittando dell’assenza della Gelmini). Quindi, bisogna ammettere che, almeno in questo universo, possono e addirittura devono esistere insegnanti meridionali bravi a sufficienza, da non aver bisogno di riqualificazione; e, per la stessa ragione, si deve dolorosamente ammettere che devono esistere insegnanti settentrionali bravi, ma non tanto da poter fare a meno di un corso di riqualificazione (mo’, chi glielo dice a Mariastella?).
Il ministro, però, i corsi li voleva per i soli insegnanti meridionali. Ma non avendone tutti quelli del Sud necessità ed essendocene almeno qualcuno del Nord che ne ha bisogno, l’impreparazione dei docenti non può essere il vero motivo della stupefacente proposta ministeriale, perché non tutti i meridionali sono impreparati; non tutti i settentrionali sono preparati. L’unica qualità che include tutti e soltanto i docenti meridionali è l’essere meridionali.
La proposta è razzista.
Così, quando Tremonti, chiama «cialtroni» i soli amministratori meridionali, esclude la possibilità che almeno uno non lo sia (sempre per quel Planck che spacca il capello in quattro). E dimentica, mentre lo dice, che la Milano della sua Lombardia ha offerto al mondo il desolante spettacolo di una città che vince, con l’appoggio di tutto il Paese, la gara per ospitare l’Expo, e poi vede i suoi pubblici amministratori dilaniarsi per quasi tre anni, bruciando tempo, milioni di euro e “grandi manager ”, non per posare la prima pietra, ma per riuscire a decidere dove! Mentre a Parma, per l’ennesimo scandalo, la popolazione assedia il sindaco e la sua giunta; l’assessore regionale leghista Alessandro Cè denuncia «il sistema criminogeno» delle cliniche lombarde e vede finire la sua carriera politica; l’assessore regionale lombardo Pier Gianni Prosperini, ex pure lui, finisce in carcere...
L’offesa di Tremonti è offesa razzista. Come quella di Renato Brunetta, ministro alla Pubblica amministrazione, che definisce «cancro» gli abitanti dell’asse Napoli-Caserta. E smetto di riproporre la lista ormai nota.
Tremonti e Brunetta, si sono scusati (vedete che manco «tutti» quelli che ragionano, o sembrano ragionare così sono uguali?). La Gelmini ha smentito; lo ha fatto in una intervista a Claudio Sabelli Fioretti, che sotto la smentita ha riportato la frase incriminata. Ops... Personalmente, preferisco chi si scusa a chi smentisce. Ma tutti, incluso quelli di “topi” e “porci”, sono rimasti al loro posto.
Nel 2010, in Germania, per affermazioni discriminatorie nei confronti di islamici ed ebrei, il potentissimo Thilo Sarrazin, al vertice della Bundesbank, la Banca nazionale tedesca, ha dovuto dimettersi, e di corsa. In Germania sanno apprendere dalla loro storia. Perché «dagli errori si impara». Se si pagano.
E suggerirei di stare attenti anche alle parole, che trasportano più significati di quanti vorremmo a volte. Ne cito solo un paio, quasi per fatto personale:
MUGUGNO. Il rimprovero arriva dalle colonne di un giornale molto diffuso: con Terroni, fomenterei il mugugno del Sud. Le parole sono infide: ci mettono a nudo. Nel vocabolario ce ne sono tante altre (rivendicazione, protesta, risentimento...), ma il signore con il ditino alzato ha scelto “mugugno”. E cos’è il mugugno? È la protesta dei servi, cui non si riconosce coraggio e diritto di obiettare, a viso aperto, ai padroni. Lo facciano, ma non visti, in cucina; donde ci si adoperi acciocché non giunga, fastidiosa al sire, la sgradevole eco de lo servil mugugnamento... E chi sarebbe il padrone?
MERIDIONALE. «Sei meridionale, ma sei bravo!», come dire che, nonostante sia meridionale, non solo hai recuperato il ritardo, ma hai conquistato un’eccellenza. Quindi “meridionale” è un’aggiunta che toglie qualcosa, un moltiplicatore inferiore a 1, per cui, qualunque cosa si accosti al valore “meridionale” vede diminuito il proprio. Insomma, “meridionale” è un handicap.
Quindi, a chi mi faceva quell’ambiguo complimento, risposi che bisognava adeguare il linguaggio alle idee, per essere corretti. E se “meridionale” è un handicap, il termine andava sostituito con: “diversamente settentrionale”.
Fa ridere? Allora abituatevi a pensare che la latitudine non è un handicap; e se mai lo fosse, lo sarebbe per chi pensa che lo sia...