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IL TEMPO DEGLI ULIVI
E QUELLO DEGLI UOMINI

Leone Salvatore Viola, attraverso un’intuizione e una lunga ricerca, arrivò a comprendere quello che (non poteva immaginarlo!) era già noto, ma dimenticato: gli ulivi camminano. E fu questo il titolo che dette al suo libro. Io stesso, che del patriarca vegetale del Mediterraneo mi vanto di saperne molto (tutti quelli che si occupano di ulivi o fanno anche un solo litro di olio credono di avere qualche conoscenza esclusiva sull’argomento), rimasi incantato quando lessi il lavoro del professor Viola, tanto da farne, in Terroni, metafora dell’emigrazione indotta dall’invasione e dal saccheggio del Regno delle Due Sicilie. Un abbandono di dimensioni tali, da svuotare intere aree che si erano mantenute in equilibrio per millenni (quasi la metà degli abitanti di alcuni regioni del Sud, come l’Abruzzo, andò via).

Viola osservò che il tronco degli ulivi cresce, nei secoli, sino a svuotarsi e poi si divide in due, tre, quattro parti che diventano autonome e si allontanano, dal centro originario, ognuna nella direzione da cui prende il sole. Era giunto a tale conclusione, indagando sulla illogica disposizione di un antichissimo uliveto nella valle del fiume Garga, sulle pendici joniche del Pollino (il poderoso massiccio che fa da cerniera fra Calabria, Lucania e Campania), per cui, mentre più piante erano a pochi metri l’una dall’altra, inspiegabilmente molto maggiore era la distanza fra i diversi gruppi di alberi.

Le piante derivate da un unico tronco avevano continuato a marcire nel lato opposto al sole e a rigenerarsi (radici e legno) dalla parte illuminata; per secoli. E per secoli gli uomini avevano rimosso il legno morto (sennò le piante sarebbero perite. Questa simbiosi fra ulivi e contadini meridionali è così forte, da legare le loro vite in un solo futuro. «Tanto che,» scrisse il meridionalista Manlio Rossi Doria «si potrebbe dire che alberi e filosofia hanno le stesse radici» al Sud). Valutando sulla scorta della stimabile velocità di allontanamento delle piante derivate l’una dall’altra e dell’età certa di antichi uliveti nella stessa valle, Viola calcolò che quegli alberi dovevano avere circa tremila anni; forse piantati dagli esuli troiani che, secondo la leggenda riportata dai classici, si erano stabiliti lì, in fuga dalla loro città in fiamme.

Una storia bellissima, vero? Ne ho parlato con esperti botanici e con lo specialista del Consiglio Nazionale delle Ricerche che studia l’età degli ulivi. Insomma, non ero il solo a subirne il fascino! E potevo rendermene conto dal numero di lettori che mi interrogavano sull’argomento. Finché, in Irpinia, a Sant’Angelo dei Lombardi (uno dei paesi-simbolo del terremoto del 1981), incontro Antonio Pesce, che si definisce “cacciatore di storie perdute”; storie piccole, ma dense: le spigola nella vita, nel lavoro dei contadini delle sue montagne.

«Finalmente,» mi dice «grazie a quello che hai raccontato di Leone Salvatore Viola, ho capito cosa intendevano davvero i vecchi olivicoltori, quando mi dicevano: “Noi siamo antichi, come gli ulivi che camminano verso il sole”. Io credevo che fosse una frase poetica, non un fatto!»

Viola non sapeva che la sua scoperta era una riscoperta. Pesce sapeva, ma non si rendeva conto di saperlo. Io ignoravo quello che aveva scoperto Viola e quello che sapeva Pesce; e solo perché ne sapevo meno di tutti, ho potuto, senza nemmeno volerlo, cucire i due brandelli perduti di una sola storia. E chissà se finisce qui...

Aprile Pino - 2011 - Giù Al Sud
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