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ITALIA UNITA
Il mio Paese è unito, ma tanto unito, che il 17 marzo 2011 ha celebrato i 150 anni di Unità: a partire, il conteggio, dalla promulgazione della legge (approvata tre giorni prima dalla Camera dei deputati a Torino), con cui si dichiaravano (en français, naturellement) re d’Italia Vittorio Emanuele II e ses successeurs (Gian Mario Cazzaniga, docente di filosofia all’Università di Pisa, su «Belfagor», fa notare che si è scelto di celebrare l’incoronazione del re di Sardegna a re d’Italia e non la data della prima riunione del Parlamento italiano, il 18 febbraio). Erano appena state annesse, con referendum patriotticamente taroccati, Toscana, Marche, Umbria, ducati e, a mano armata, perché riluttante, il Regno delle Due Sicilie.
Civitella del Tronto, quindi, non farebbe parte dell’Italia, visto che la fortezza fu espugnata tre giorni dopo; ma essendo chiaro, che, ormai, ne fa parte, Civitella avrebbe dovuto festeggiare i 150 anni di Unità il 20 marzo, in leggero ritardo sul resto del Paese. E che saranno mai tre giorni! (A voler sottilizzare, su quel che successe fra un venerdì pomeriggio e una domenica mattina, qualcuno ha fondato una religione con un miliardo di fedeli...)
Più complicata la faccenda con il Veneto, che diventò italiano solo il 4 novembre del 1866; e, quindi, dovrebbe celebrare i 150 anni di Unità nel 2016 (chissà se ci invitano; ma se quando l’Italia fu dichiarata unita, nel 1861, loro non c’erano, saranno italiani pure loro? E se sì, un po’ meno? Chiedere al presidente del Veneto, Zaia, quello che è italiano quando deve prendere soldi da Roma, e veneto quando li deve mandare).
Sempre che si sia posto rimedio, nel frattempo, alla cancellazione del regio decreto con cui Veneto e ducato di Mantova furono dichiarati «parte integrante dell’Italia». E già, perché, l’atto di annessione è stato abrogato il 16 dicembre 2010, con il famoso decreto ammazza-norme inutili (vi risulta servano a qualcosa veneti e mantovani?). A complicare le cose è stato quel ministro alla Semplificazione (lo so, viene da ridere anche a me, ma non guardatemi così: non l’ho nominato io!), Roberto Calderoli, il quale dichiara l’esistenza di quasi 30.000 leggi inutili (ma pare fossero poco più di 20.000) e ne brucia pubblicamente 375.000, costringendo i vigili del fuoco ad accendere il rogo (ma non dovevano spegnerli?). Forse, l’annessione di veneti e mantovani è stata aggiunta per fare numero... (per sfornare 375.000 leggi, persino approvandone una al giorno, non bastano centocinquant’anni, ce ne vogliono più di mille).
Un errore, certo, si aggiusta. Ma provate a immaginare se io, veneto, mantovano, una volta espulso dall’Italia per decreto, non volessi tornarci: me lo si può imporre per contro-decreto? Nel 1866 lo fecero, ma almeno ci fu la finzione del referendum per l’annessione degl’irredenti alla madre Patria. E ora? Così, come se niente fosse: me pijano, me buttano, me ripijano...
Il sedicente porcataro Calderoli dice che veneti e mantovani restano italiani per usucapione, decreto o non decreto.
Al collega Stefano Lorenzetto, l’imprenditore veneto Fabio Padovan, leghista eretico, racconta di aver inviato questa e-mail all’amministratore della sua azienda: «Adesso si dice che lo Stato italiano può far valere il diritto di usucapione nei confronti dei territori del Veneto. Mi sembra pazzesco che uno Stato usucapisca un altro Stato, ma tant’è. Dopo averci dormito su bene, in assoluta serenità d’animo, ho deciso che voglio dare un piccolo segnale di questo evento, che per me è comunque storico, per altri è una cazzata. Desidero che resti il ricordo del “Giorno de l’Independensa veneta” dalla famelica lupa italica. Quindi, Tonon, nella prossima busta paga inserisca un bonus di 100 euro. Grazie» (almeno, ci hanno guadagnato qualcosa 172 dipendenti).
Vabbe’ che per unire l’Italia s’è fatto di tutto, ma no’ saremo mia drio a esagerar, non staremo esagerando?
Pure il Lazio, nel 2011, ha festeggiato, ma i suoi anni di Unità erano solo 140; per i 150 aspetta il 2020, magari, alla data del referendum dell’annessione, il 2 ottobre (1870). Perché l’Italia era unita, nel 1861, ma il Lazio no. Sarà Italia lo stesso o un po’ meno? E non è curioso che i lumbard ce l’abbiano tanto con un’Italia in cui sono entrati dieci anni prima di Roma?
Quanto al Trentino, alla Venezia Giulia, alla parte allora irredenta del Friuli... be’, un po’ di pazienza, ché prima di loro, diventa italiana la Libia, 1911; poi l’Italia mette piede nel Corno d’Africa, nelle isole greche (pure Rodi diventerà italiana prima di quei ridotti alpini), sulla costa anatolica, persino in Cina, con una piccola concessione a Tientsin. E finalmente, nel 1919, finita la Prima guerra mondiale, con il trattato che risistema l’Europa e non solo, le ultime regioni ancora escluse diventano italiane. Quindi, i 150 anni, Trieste, un pezzo di Friuli e il Trentino-Alto Adige, dovrebbero festeggiarli nel 2069. Un po’ ci vuole: potrebbero consolarsi festeggiandone 100, otto anni dopo che il resto del Paese ha celebrato i 150 anni. Quanto italiani sono gl’italiani diventati italiani 59 anni dopo gli altri italiani? Oddio, a voler essere pignoli, la legge che dichiara annesso il Trentino è del 26 settembre 1920, quindi ci sarebbe da aver pazienza sino al 2020 per i 100 anni (magari accordandosi con i laziali, che lo stesso anno ne festeggiano 150) e il 2070 per i 150. Tutto sommato, il presidente della Provincia di Bolzano aveva delle ragioni, nel rifiutarsi di celebrare i 150 anni; poteva celebrarne lo stesso 91, ma la riduzione avrebbe potuto estendersi al suo stipendio (più alto di quello del presidente degli Stati Uniti) e certi rischi è meglio non correrli, ricordandosi di essere di lingua-madre tedesca, come Schwarzenegger, già governatore della California (e pure lui, però, guadagnava meno del signor Durnwalder).
Se Civitella del Tronto, il Lazio, il Veneto, il Trentino, mezzo Friuli, Trieste sono fuori data, a spegnere le candeline per i 150 anni del Paese avrebbe dovuto essere quel che resta del Centronord più l’ex Regno delle Due Sicilie, costrettovi da una guerra subita. Succede; è capitato ad altri Paesi.
L’importante è essere uniti, anche se come una famiglia nata da uno stupro, per amore dei figli. L’Italia doveva esserci; ora c’è. E si riconosce nelle proprie istituzioni. Nell’Arma dei carabinieri, per dire, che, mentre l’Italia raggiungeva 150 anni (almeno quella parte d’Italia che era già Italia), celebrava il suo 169° compleanno, fa notare Federico Pirro in Uniti per forza. Eh, sì, l’Arma è più vecchia dell’Italia. Ma di poco. Vuoi mettere la Guardia di finanza, che di anni, nel 150°, ne compiva 235 (85 anni più anziana dell’Italia)? A voler giocare con le età, i Carabinieri hanno quella della mamma dell’Italia (19 anni, giovane, irruenta, corona turrita e tetta in fuori. Guarda tu: abbigliamento simile e, mese più, mese meno, l’età che aveva la contessa di Castiglione, quando sacrificò il meglio di sé, per amor di Patria, nel letto di Napoleone III; per fortuna era allenata a quel genere di sofferenza... Però, questo, non lo scrivo, sennò qualcuno se ne viene fuori, riferendola al mio Paese, con la famosa battuta, Hollywood sia maledetto: «Hai vent’anni, figliuolo, è ora che tu sappia chi era tua madre»).
La Finanza ha l’età della nonna o bisnonna, rispetto all’Italia: 85 anni in più. Per questo è così occhiuta, pulciara, spaccacentesimi, e ti chiede sempre quanto guadagni.
Tutte queste incongruenze cronologiche si spiegano, ovvio, con il fatto che quella che si continua a chiamare unificazione dell’Italia, non fu che il progressivo ampliamento del Piemonte, con l’estensione ai possedimenti via via inglobati, delle sue leggi, strutture, tasse e burocrazia (poi detta borbonica, per scaricarne corruzione e inefficienza sui vinti, ma era savoiarda e dal Piemonte, specie Torino, si spedirono in tutte le nuove province funzionari, dirigenti e impiegati, norme e procedure). Mentre «non una sola istituzione militare di altri Stati, men che mai del Regno partenopeo, è stata fatta assurgere a dignità nazionale» scrive Pirro.
Ai vinti viene concesso di festeggiare i vincitori, non di partecipare.