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REGIONI DI MAFIA
«Da ora in poi, per brevità: regioni di mafia» avverte Luca Ricolfi, nel suo Il sacco del Nord, per indicare che in Sicilia, Calabria e Campania, la presenza del crimine organizzato costituisce un freno allo sviluppo economico, una forma di tassazione ulteriore, a danno dell’impresa. E, per tutto il libro, una dozzina abbondante di milioni di meridionali viene marchiata così. Mentre Lombardia, Veneto e paradisi convicini se tanto mi dà tanto, dobbiamo intenderle, sempre “per brevità” (si capisce) e in base a dati incontestabili, “regioni virtuose”.
Che c’è di sbagliato? Tutto, ma non si vede. La mafia fa la faccia feroce al Sud, ma si presenta con le scarpe lucide al Nord; al Sud versa il sangue, al Nord il bottino frutto di quel sangue. Il professor Enzo Ciconte, docente di Storia della criminalità organizzata all’Università di Roma Tre e autore di ’Ndrangheta padana spiega in una intervista che «se si fosse impedito agli imprenditori del Nord di fare affari con i mafiosi del Sud, forse il Meridione si sarebbe sviluppato diversamente. È un fatto storico». Per esempio: escludere dagli appalti per la Salerno-Reggio Calabria le aziende meridionali in odore di mafia non è solo giusto, ma doveroso. Se, però, quegli stessi appalti sono dati ad aziende del Nord che pagano il pizzo alle cosche e subappaltano gli stessi lavori alle imprese in odore di mafia, si lascia intatto il vantaggio per i criminali e le aziende settentrionali e si danneggiano solo il Paese e le comunità e le aziende oneste del Meridione.
«È ovvio che le mafie sono un prodotto del Sud Italia,» dice Ciconte «ma hanno trovato un’ottima accoglienza al Nord.»
Milano è la quarta città italiana per sequestri di beni mafiosi, la capitale del traffico di cocaina, la principale base operativa per ’ndrangheta e mafia siciliana, la città in cui troppi agevolano, compiacenti e interessati, la trasformazione del potere criminale in potere economico, finanziario, politico. Può essere “comprensibile” che, avendo da ripulire un po’ meno di 140 miliardi di euro all’anno, le mafie scelgano la capitale finanziaria d’Italia, per i servizi che generosamente offre, ma “scoprire” che il crimine organizzato gestisce 5.000 alloggi popolari a Milano e li assegna secondo una propria graduatoria parallela non è un po’ troppo (almeno quanto a... distrazione delle autorità)? Gran parte del Nord è lottizzato fra le varie mafie; e molti sono pronti a proteggere, nascondere i boss, spartire con loro; comuni del Settentrione vengono sciolti per mafia, ma si continua a considerarli (per fortuna, sempre meno) fastidiosi e ininfluenti episodi; mentre sempre più l’economia del Nord diviene mafiosa, sedotta da capitali facili e tanti.
L’ho già detto: nel cimitero degli eroi antimafia, uccisi per averla combattuta, tolti alcuni (Carlo Alberto Dalla Chiesa e Giorgio Ambrosoli), ci sono solo meridionali: siciliani, la più parte, come Rocco Chinnici, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Libero Grassi, Pippo Fava, Rosario Livatino, Ninni Cassarà, Beppe Montana, Peppino Impastato, Pio La Torre e tantissimi altri; calabresi, come Antonino Scopelliti; o campani, come il giovane eroe di giornalismo Giancarlo Siani; o pugliesi, come il capitano dei carabinieri Emanuele Basile. Sono centinaia i martiri civili, dal sindacalista Placido Rizzotto a oggi. E tanti rifiutano di pagare il pizzo, denunciano, si trasformano in reclusi a vita, nei programmi di protezione per testimoniare in tribunale; molti, persino, riescono in queste impossibili condizioni a fare impresa, e pure d’eccellenza.
Queste (dove sia la mafia che la lotta alla mafia sono fenomeni sociali diffusi) sono “regioni di mafia”, per Ricolfi (e non gli si può dare torto, ma, come si è visto, manco tutta la ragione); mentre quelle in cui i mafiosi sono accolti nei salotti buoni della finanza e dell’alta imprenditoria, perché gonfi di soldi (lordi di sangue? Nessuno è perfetto), no. Anche se Ilda Boccassini, magistrato di irritante serietà e coraggio, è costretta a denunciare pubblicamente che nemmeno un imprenditore lombardo ammette di pagare il pizzo; e non si parla di quelli che lo versano per i lavori sulla Salerno-Reggio Calabria, ma di quelli che vengono taglieggiati a Milano e dintorni. Mentre, a Palermo, l’associazione Addio Pizzo fa proseliti e gl’industriali che non denunciano di essere vittima di estorsione vengono espulsi dalla Confindustria siciliana.
Come credete prendano le sintesi di Ricolfi, i meridionali che sul “no” al crimine organizzato rischiano, e spesso perdono, beni, incolumità propria e dei familiari, la vita? Si applicasse all’incontrario il criterio ricolfiano, dovremmo definire “regioni dell’antimafia”, quelle del Sud; e “regioni del riciclaggio”, le altre. Ma ogni generalizzazione è un’ingiustizia e sarebbe ugualmente sbagliato e offensivo, perché è vero che l’antimafia è prevalentemente meridionale, ma pure la mafia lo è; né meritano di essere assimilati al Nord colluso i tanti settentrionali che combattono la mafia, le associazioni che come quelle di don Ciotti, ma non solo, scendono nella Locride, per sfilare con i ragazzi anti ’ndrangheta di “E ora ammazzateci tutti”, o, con loro, si impegnano per il recupero, a fin di economia vera e onesta, dei beni sottratti alla mafia.
In più, nell’omertà meneghina lamentata dalla dottoressa Boccassini, si può riconoscere quella dominante al Sud, prima che una più diffusa consapevolezza del dovere civile e persino della convenienza del coraggio, inducessero un numero sempre maggiore di meridionali a dire no, e a unirsi per farlo.
E allora, perché ho parlato delle sintesi ricolfiane (ma non solo sue)? Perché, quando è servito un espediente narrativo, per rappresentare il Sud e il Nord con un solo tratto distintivo, il Sud è stato ridotto al suo male, ignorandone il bene; e il Nord al suo bene, ignorandone il male.
Il che fa apparire l’uno irredimibile, l’altro indenne. Così, senza neppure necessariamente volerlo (e, giuro, non penso lo voglia il professor Ricolfi, che pure critico), il pregiudizio si alimenta, accresce la distanza, facendola apparire e poi diventare, maggiore di quella che è. Magari, incolmabile.