Prologo
Rielaborazione della Chronica Gondemarensis
Manoscritto templare del XII secolo ritrovato a Pontarlier, attuale Franca Contea
Gerusalemme, 1118
«Spostate quelle pietre e puntellate la galleria con attenzione prima che ci crolli tutto addosso!».
La voce del capomastro – un uomo imponente, con una folta barba bianca e il viso segnato dal tempo, dalla polvere e dal sole– tuonò nell’angusto spazio, mentre gli scavatori spostavano gli ultimi ostacoli che impedivano di proseguire con il lavoro.
Scavavano ormai da settimane e non avevano ancora trovato traccia di quello che, in base agli indizi raccolti e ai documenti, doveva essere per forza lì sotto. Avevano recuperato una gran quantità di reperti di epoca romana, ossa e frammenti di vasellame, ma niente che lasciasse supporre che stessero cercando nella direzione giusta.
Il re si era dimostrato entusiasta e aveva accolto con favore l’iniziativa di fondare un nuovo ordine. Aveva consentito loro di occupare una parte del palazzo reale e operare indisturbati nelle fondamenta di quello che una volta era il grande tempio. Ma il re era all’oscuro dei veri intenti di quegli uomini che ai suoi occhi apparivano come dei valorosi e pii monaci guerrieri, decisi a difendere i pellegrini.
«Maestro, forse ci siamo», disse uno dei muratori ormai allo stremo delle forze.
L’ultimo diaframma della parete che stavano picconando sembrava aver ceduto e una corrente d’aria fredda si era riversata nella galleria, facendo tremolare le torce. Il maestro si avvicinò all’apertura con una lampada a olio e illuminò l’interno. Dopo un istante si voltò verso i muratori: sul suo viso era comparsa un’espressione di trionfo.
«Uscite tutti e andate a chiamare mastro Hugues».
I manovali obbedirono. Erano uomini votati alla causa del nascente Ordine, vincolati a un giuramento di segretezza che includeva quegli scavi misteriosi.
Pur avendo fiducia in loro, i nove cavalieri fondatori avevano stabilito che i muratori non dovessero vedere quel che avrebbero trovato.
Il capomastro attese che tutti fossero usciti dalla galleria, quindi spostò egli stesso le restanti macerie che ostruivano il varco ed entrò nella grotta buia.
L’ambiente, fresco e umido, consisteva in un’ampia camera scavata nella roccia il cui soffitto era retto da massicci pilastri intagliati in maniera grezza. Il capomastro accese alcune torce e le infilò in sostegni di metallo che sporgevano qua e là, quindi iniziò a ispezionare quel luogo. Gli saltarono subito agli occhi dei simboli incisi sui pilastri di sostegno della volta, forse segni lasciati dai muratori che avevano creato quell’ambiente scavato nella roccia, tagliapietre vissuti almeno duemila anni prima. C’erano squadre, martelli, ma anche simboli più oscuri, forse lettere di un alfabeto segreto. Allineati lungo le pareti, c’erano otto imponenti sarcofagi di pietra lavorati in maniera grezza. Su ciascuno era scolpito un simbolo. Sul fondo della caverna, infine, era visibile un nono sarcofago. Il capomastro si avvicinò e vide due simboli che rivelavano, con certezza, l’identità di chi vi riposava.
«Finalmente…».
In quell’istante sentì un rumore di passi alle sue spalle e si voltò di scatto: otto uomini con tuniche da lavoro erano appena entrati nella caverna. Alla loro testa un individuo il cui sguardo mostrava una luce particolare, una determinazione che solo chi ha responsabilità di comando ostenta. Eppure, quella determinazione e rigidità sembravano stemperate da accenti di bontà e misericordia.
Il capomastro rimase in silenzio accanto al nono sarcofago, mentre gli altri si avvicinavano con reverente lentezza.
«È lui?», domandò l’uomo alla testa del piccolo gruppo appena entrato.
«Direi che non ci sono dubbi, fratello Hugues».
Hugues si avvicinò al sarcofago e percorse con le dita i due simboli, uno dei quali, un ramo d’acacia, rappresentava il mitico Architetto del Tempio di Salomone. Quindi si voltò a osservare le altre otto sepolture di fattura simile. Alla fine il suo sguardo si posò sulla parete dietro al sarcofago principale, dove una nicchia scavata nella roccia era chiusa da due ante di bronzo.
«Apriamola, fratelli!».
Due dei presenti si avvicinarono alla nicchia e provarono a forzarne le ante con una leva di ferro. Dopo qualche istante le giunture vecchie di millenni si aprirono, lasciando comparire uno scrigno cubico che inondò di bagliori dorati tutta la grotta. Accanto vi era appoggiata una tavoletta di pietra su cui era inciso qualcosa. I due uomini la presero con cautela e la portarono a fratello Hugues. I suoi occhi la analizzarono prima di consegnarla al frate accanto a lui. «È scritta nell’antica lingua dei giudei, fratello Alain. Prova a decifrarla».
Alain, tra i più anziani del gruppo, era un grande linguista, competente nelle più disparate lingue antiche. Con i suoi grandi occhi castani scorse veloce l’iscrizione sulla tavoletta, quindi, dopo un istante di concentrazione, provò a tradurre. «“Nove chiavi per nove simboli per nove custodi, affinché gli occhi del guardiano siano sigillati per sempre”. Non c’è altro».
Tutti si scambiarono uno sguardo che rivelava i timori sollevati da quell’iscrizione. Tutti tranne Hugues, i cui occhi si spostavano invece da un sarcofago all’altro. «Nove chiavi per nove custodi… presto, apriamo i sarcofagi!».
Tutti si misero all’opera e una dopo l’altra scoperchiarono le nove sepolture. L’ultima fu quella dell’Architetto del tempio. Insieme ai resti dei mitici custodi e costruttori, alle preziose vesti e suppellettili che con essi erano state sepolte, ogni tomba conservava una piccola chiave d’oro dalla forma curiosa, che non terminava con la tipica dentellatura, ma con un simbolo, una sorta di sigillo. Nel sarcofago dell’Architetto rinvennero anche un triangolo d’oro, sul quale era incisa una lunga formula.
Mastro Hugues lo prese delicatamente e ancora una volta lo porse a fratello Alain, che lo esaminò rapidamente e con un’espressione tra il preoccupato e l’eccitato disse: «È il rituale, spiega tutto».
Il volto di mastro Hugues si fece determinato, quindi, rivolto agli altri, disse: «Fratelli, nessuno dovrà mai avere accesso a questo scritto, alle chiavi e soprattutto allo scrigno. Nessuno, neanche il pontefice o l’uomo più pio o colui che viva nella completa grazia di Dio. Poiché nessuno avrà mai la capacità di resistere alla sua forza immensa. Nessuno, tranne noi».
Gli altri si guardarono, stupiti e spaventati.
«Perché non lo distruggiamo per sempre, mastro Hugues?», propose uno di loro.
Hugues rimase pensieroso per qualche istante, lo sguardo fisso sullo scrigno. «Sì, probabilmente sarebbe la cosa migliore, ma non ci perdoneremmo mai di averlo fatto, se esso contenesse ciò che può darci la vittoria sugli infedeli».
Gli altri annuirono, ma sui loro volti si dipinse un’espressione grave.
Dopo un istante Hugues riprese la parola. «In quanto Gran Maestro, io mi assumo la responsabilità di preservare questa scoperta e di studiarla. Ciascuno di noi conserverà una chiave e un simbolo; noi che siamo i nove fondatori del nostro Ordine, come nove erano coloro che accompagnarono l’Architetto nel suo ultimo viaggio, custodendone anche il segreto più tremendo. Prendiamo tutto e richiudiamo per sempre questa grotta».