Capitolo 35
Bethesda, Maryland, USA, 15 luglio, pomeriggio
«Non abbiamo più contatti con il Minotaur da ore ormai», disse il direttore della GENOETHICS scandendo a fatica ogni singola parola. «C’era una videoconferenza in programma un’ora fa, prima che Smith partisse per l’Italia, ma non ha risposto nessuno. Temo sia successo qualcosa».
L’uomo alla sua sinistra – robusto, sulla cinquantina e con capelli tagliati a spazzola – spostò prima lo sguardo verso la grande vetrata, quindi si alzò in piedi, la raggiunse e rimase alcuni istanti ad ammirare il panorama. Indossava una divisa della marina militare degli Stati Uniti con il grado di ammiraglio. Il suo volto, in genere impassibile, era in quel momento attraversato da un’espressione di profonda collera. E quando ciò accadeva, tutti i suoi sottoposti facevano in modo di essere il più lontano possibile.
L’ammiraglio tornò a guardare il direttore e lanciò anche un rapido sguardo al terzo uomo presente, apparentemente più rilassato del capo della GENOETHICS. «Mi faccia capire meglio, direttore, sa non sono così intelligente come lei», disse l’ammiraglio scandendo di nuovo lentamente le parole. «I suoi uomini hanno assaltato quello yacht, di proprietà di un partner occasionale della TEXODRILL per giunta, nelle acque territoriali di un Paese della NATO, nella fattispecie la Grecia, e noi non abbiamo più contatti con loro? Le faccio un’ipotesi tra le peggiori: le autorità elleniche hanno scoperto i vostri uomini, li hanno arrestati e adesso li stanno mettendo sotto torchio. Mi aspetto che da un momento all’altro il primo ministro greco chiami il nostro presidente e chieda cosa diavolo stessero facendo quegli uomini in mezzo all’Egeo. Perché anche se abbiamo dei mercenari, ci può scommettere che risaliranno a noi. Ora, sei lei fosse il primo ministro greco non la farebbe quella telefonata?».
Il direttore si limitò ad annuire.
«Bene», proseguì l’ammiraglio passeggiando davanti alla scrivania del direttore. «Ora, invece, facciamo un’ipotesi più ottimistica. I suoi uomini sono stati tutti uccisi. Magari a bordo c’erano delle guardie del corpo ben addestrate rimaste nascoste; o magari, ancora le efficienti autorità elleniche hanno mangiato la foglia e hanno contro-assaltato il Minotaur massacrando i nostri. Ora, perché questa è l’ipotesi più ottimistica? Perché quasi certamente non dobbiamo affrontare l’imbarazzo di spiegare più di tanto, i morti non parlano e dai loro documenti emerge poco».
«Giusto, ammiraglio», si limitò a esclamare il direttore.
«Il problema, sia con la prima che con la seconda ipotesi», proseguì sempre più nervoso il militare, «è che noi non abbiamo la macchina, né una parte né l’altra, e lei ci aveva fatto intendere che i suoi esperti la ritenessero fondamentale per recuperare lo scheletro. Quindi, niente macchina, niente scheletro. Possiamo considerare questa missione un fallimento totale?»
«Non sappiamo ancora precisamente cosa è avvenuto, dobbiamo aspettare…», cercò di giustificarsi il direttore, il volto terreo.
«Aspettare», ripeté l’ammiraglio. «L’Élite, di cui in questo momento sono il modesto portavoce, è stanca di aspettare. I vostri esperimenti non stanno dando i risultati sperati e si confidava in questa ricerca dello scheletro perduto, perché sembrava che potesse aiutarvi a velocizzare i processi. E invece…».
Il direttore cercò di difendersi. «In realtà gli esperimenti stanno dando grandi riscontri, lo sa anche lei, ammiraglio Bolt. Abbiamo già venduto i brevetti di quelli che ormai sono dei successi acquisiti. E parliamo di centinaia di milioni di dollari».
«Sì, ma quelli servono solo a stuzzicare l’appetito. I nostri clienti, i clienti dell’Élite, puntano al pezzo forte sul quale hanno già depositato cauzioni che superano il miliardo di dollari. In caso di nostra inadempienza dovremo restituire tutto, con nostro enorme dispiacere», disse l’ammiraglio sempre lentamente e poi, come se una bomba gli scoppiasse nel petto, urlò con tutta la forza che aveva, facendo sobbalzare entrambi i presenti. «Lo capisce!?».
Il volto, divenuto di colpo paonazzo, riacquistò la calma in un secondo e un sorriso tirato comparve sulle sue labbra sottili. «L’Élite, tuttavia, nella sua magnanimità, le dà un’ultima possibilità, ma ha deciso di affiancarle un professionista che sarà al comando della missione in Europa».
L’ammiraglio Bolt compose un numero sul suo cellulare. «Entri».
Dopo un istante la porta dell’ufficio del direttore si aprì e fece la sua comparsa un uomo elegante, ben rasato e con i capelli scuri pettinati di lato.
«Le presento l’agente speciale Seth Anderson, gentilmente messo a disposizione dai nostri servizi segreti. È un esperto in operazioni sotto copertura, talmente abile da non lasciare alcuna traccia del suo passaggio. Nell’ambiente lo chiamano “il Fantasma”, vero signor Anderson?».
Questi annuì con un sorriso. «Non la deluderò, ammiraglio».
«Ok, ora che abbiamo presentato il signor Anderson, perché non ci rilassiamo un po’, eh? Andiamo a dare un’occhiata ai laboratori», disse il quarto uomo presente, parlando per la prima volta. Era un osservatore della TEXODRILL, un texano dai modi piuttosto sbrigativi. «Animo, direttore! Adesso ha un valido alleato. Su, ci porti a vedere i suoi giocattoli!».
Il piccolo gruppo si spostò nei laboratori segreti che si trovavano nei sotterranei. Lì si svolgevano gli esperimenti genetici più avanzati e riservati della GENOETHICS. Di alcuni, non era a conoscenza neanche il presidente degli Stati Uniti. E, a discapito del nome dell’azienda, avevano ben poco di etico.
Il gruppo passò in rassegna le stanze in cui i tecnici erano impegnati a estrarre e combinare il DNA di vari esseri viventi, per creare nuove forme di vita; incubatori dove chimere, ibridi o chimbridi così creati si sviluppavano e crescevano, sotto lo sguardo attento e distaccato degli scienziati.
In quei laboratori si andava oltre la clonazione: si creavano letteralmente esseri viventi artificiali.
Superata la zona dei laboratori, il gruppo raggiunse l’area “habitat”, così ribattezzata perché consisteva in una sorta di zoo in cui si era cercato di riprodurre l’ambiente dove vivevano le specie utilizzate per gli esperimenti.
«I prototipi che vedete qui sono quelli perfettamente stabili», disse il direttore cercando di riguadagnarsi l’attenzione dell’ammiraglio Bolt. «Ce ne sono un paio molto interessanti. Un esemplare è stato venduto per dieci milioni di dollari a un emiro per il suo zoo privato, mentre la sequenza determinante per creare quello, vedete? Quello in fondo a destra… è stata venduta a un istituto di ricerca coreano per venticinque milioni».
Davanti a loro, protetto da un vetro spesso dieci centimetri, c’era uno scorcio di fitta vegetazione. Al suo interno s’intravedevano varie creature, che si tenevano al coperto tra arbusti e rami. Di tanto in tanto facevano capolino zampe di capra sormontate da busti vagamente antropomorfi; oppure ombre furtive a quattro zampe che mettevano timidamente fuori da un cespuglio un muso umanoide.
Il direttore era in quel momento compiaciuto di quanto stavano guardando e sperò che fosse lo stesso per l’ammiraglio. Il suo personale museo degli orrori aveva un valore difficilmente calcolabile, forse inestimabile. Istituti come la GENOETHICS nascondevano dietro facciate rispettabili aberranti esperimenti, lavorando sotto copertura per raggiungere, tra gli altri, l’obiettivo più ambito, quello che, dal punto di vista etico, tutti i governi avevano ufficialmente condannato, ma ufficiosamente inserito nelle loro ricerche. La completa clonazione umana.
Ma la GENOETHICS stava anche sviluppando un altro progetto che aveva destato l’interesse dei partner della TEXODRILL. Quello che, in attesa dello sviluppo della clonazione umana, appunto, avrebbe portato montagne di denaro nelle casse dell’istituto: il progetto Partenope.
«Mi porti alla vasca», disse l’ammiraglio, disgustato alla vista di quelle creature.
Passarono davanti ad altri habitat ricreati minuziosamente – foreste pluviali, steppe asiatiche o angoli di savana, tutti abitati da esseri chimerici – e raggiunsero la grande vasca oceanica nella quale nuotavano serpenti di mare, calamari giganti e incroci tra vari tipi di cetacei. In un angolo lontano, in solitudine, si vedeva un’ombra fluttuare stancamente sul fondale. La coda come quella di un delfino, la testa e il busto di forma vagamente umanoide, un’aria molto sofferente.
L’espressione del direttore s’incupì di nuovo. «Sarà abbattuta domani. Secondo i tecnici non c’è possibilità di miglioramento».
L’ammiraglio sospirò, guardò prima il direttore e poi Seth Anderson. «Recuperate quello scheletro. L’Élite vuole la sua sirena il prima possibile».