Capitolo 23

 

Mater Dei Hospital, Malta, 13 luglio

 

«Mio padre si chiamava Paul Spiteri», iniziò a raccontare Sante, una volta che il poliziotto e Gustavo furono usciti dalla stanza. «Biologo marino, archeologo dilettante, ufficiale della Royal Navy durante la seconda guerra mondiale. Fu tra coloro che presero parte all’operazione Avalanche, lo sbarco a Salerno, e alla successiva liberazione di Napoli».

«Sì, questa storia me l’hai raccontata mille volte», l’interruppi, «è così che siamo diventati amici, ti ricordi? Parlando di Napoli e di tuo padre».

«Ma non abbiamo mai parlato del fatto che mio padre avesse partecipato a un curioso scavo archeologico proprio nella tua città».

Lo guardai stupito, in attesa che continuasse, e come me anche Àrtemis e Anna, che Sante aveva conosciuto quando Babikov era stato a Malta.

«Esatto, in quel filmato c’è mio padre. Ecco perché voglio andare fino in fondo. Morì nel 1952, quando vivevamo a Granada. Una rara malattia genetica se lo portò via insieme ai suoi segreti».

«Una malattia genetica?»

«Che strano, vero? Proprio quello di cui si occupa la GENOETHICS».

«Stai insinuando che siano stati loro a far ammalare tuo padre?»

«Ci puoi scommettere».

«Per quale motivo?»

«Nella cassetta di latta che ho trovato all’interno di un’intercapedine di un muro in soffitta, c’erano il meccanismo, la pellicola e una lettera scritta da mio padre di suo pugno e indirizzata a me», rispose Sante. «Vi si accennava al fatto di aver rimesso a posto quella scoperta pericolosa nel luogo dove nel 1944 la piccola équipe archeologica l’aveva trovata. Questo perché – sono parole sue – “qualcuno aveva iniziato a interessarsi alla vicenda e tutti i presenti erano misteriosamente morti”. Anche lui temeva per la sua vita».

«Mario Napoli morì di morte naturale nel 1976», intervenne Àrtemis, «quindi non tutti sono stati “fatti fuori”».

«L’avranno risparmiato perché forse gli serviva», ipotizzò Sante.

«E ora dov’è il resto della macchina?», domandò Anna, rimasta in silenzio fino a quel momento. «L’accordo con Viktor è ancora in piedi, anche se non abbiamo più il filmato originale. Forse dovremmo modificare leggermente i termini e il compenso, ma per il resto lui è ancora interessato all’acquisto».

Sante attese qualche istante, riflettendo, prima di rispondere. Avrei scommesso che stava cercando una soluzione per salvare capra e cavoli: monetizzare con la vendita della macchina e capire che cosa c’entrava il padre in quella storia. Alla fine tornò a guardare Anna e annuì. «Vorrei parlarci, sono sicuro che troveremo un accordo».

Lei tirò fuori lo smartphone e compose un numero, quindi lo porse a Sante.

«In privato, per favore», disse lui prima d’iniziare la conversazione.

Dopo un paio di minuti ci richiamò nella stanza.

«Io e Babikov abbiamo trovato un accordo. Mi concede di proseguire con le ricerche e solo alla fine gli darò la macchina ed eventualmente quello che troverò». Provò quindi a mettersi seduto ma ebbe un capogiro e crollò di nuovo.

«Che fai? Sei ancora debole!», lo rimproverai.

Il monitor che teneva sotto controllo i suoi parametri iniziò a emettere suoni e subito entrarono un dottore e un’infermiera. «Tutti fuori, prego», disse il medico con fare autoritario.

Sfilammo silenziosi davanti al letto di Sante che mostrava nel volto il dolore che ancora provava e uscimmo.

Dopo poco il dottore venne da noi. «È molto debole, non è ancora fuori pericolo. Dovremo tenerlo qui ancora per alcuni giorni».

«Possiamo vederlo?», domandai preoccupato.

«Solo per un paio di minuti».

Sante si era ripreso e ora ci guardava con occhi sofferenti.

«Allora, starai calmo adesso?».

Annuì e poi mi fece segno di avvicinarmi. «Io non ce la faccio», mi disse con un filo di voce. «Continua tu, ti prego. Cercala per me, prometti! Cercala, Lorenzo, cercala».

Quelle parole. Risvegliarono in me il ricordo ancora fresco della visione avuta mentre stavo annegando due giorni prima, davanti agli scogli di Filfla. Le parole pronunciate da quell’essere mitologico sbucato dalle oscurità degli abissi.

Cercami, Lorenzo, cercami.

Guardai il mio amico, la sua espressione sofferente eppure decisa. Mi stava affidando quella ricerca così importante per lui. Guardai Àrtemis e lei, con le lacrime agli occhi, annuì. A quel punto non esitai più. «D’accordo, vecchio mio, te lo prometto. Però… cosa vuoi che cerchi precisamente?».

Sante mi fissò per qualche istante ancora e, con un sorriso forzato, disse: «La sirena, è ovvio».

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