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L’uomo mascherato

 

Ricostruzione effettuata dalla polizia in base al racconto di Anna Nikitovna Glyz

 

Roma, gennaio 2013

 

La stanza era buia, umida e fredda, come una specie di cantina abbandonata. L’unico suono, il rumore di gocce che cadevano, a intervalli regolari, sulle pietre del pavimento. L’odore era quello intenso della muffa.

Si spostò su un fianco, facendo un grande sforzo, e si accorse di avere le mani legate. La testa le girava come se avesse bevuto un litro di vodka e la sensazione che provava era simile a quella di chi si trovi su una barca in mezzo al mare in tempesta. Lentamente riuscì a mettersi seduta e cercò di schiarirsi la mente per capire cosa fosse successo. D’un tratto ricordò gli istanti che avevano preceduto il suo risveglio in quel posto inospitale. Sospirò affranta.

“Mi sono fatta fregare come una principiante”.

Rivide la mano dell’uomo puntarle la pistola narcotizzante e premere il grilletto un attimo prima che il buio l’avvolgesse. Una cosa era certa: non l’avevano uccisa e il motivo poteva essere solo uno.

Gli serviva ancora.

Mentre scavava nella memoria per recuperare frammenti di ricordi, udì un nuovo rumore, come di una chiave in una serratura. Fu solo allora che si accorse della presenza di una porta su un lato della stanza. Un triangolo di luce si disegnò sul pavimento, costringendola a socchiudere gli occhi da troppo tempo immersi nel buio. La sagoma di un uomo comparve sulla soglia, ma la luce che aveva alle spalle non le consentì di vederne il volto.

«Vedo che ti sei svegliata», esordì l’uomo. Parlava italiano e aveva una voce profonda e al tempo stesso graffiante. «Spero non sia troppo scomodo questo alloggio temporaneo».

«Vai a farti fottere», rispose lei sempre in italiano, senza pensarci su due volte.

L’uomo avanzò verso l’interno della stanza e così la ragazza poté vedere che il suo volto era coperto da una maschera nera che lasciava scoperta solo la bocca. «A quanto pare sei una dura, ma ti assicuro che ho metodi efficaci per far passare la voglia di fare gli eroi a chiunque».

Questa volta la ragazza restò in silenzio, sostenendo lo sguardo dell’uomo.

Restando sempre nel triangolo di luce disegnato dalla porta aperta, tirò a sé una sedia e sedette con studiata lentezza, quindi infilò una mano nella giacca ed estrasse quattro oggetti: un libro, una lamina di legno, un pupazzetto di plastica e una chiave. Li appoggiò sul tavolo che, insieme alla sedia e alla branda sulla quale giaceva lei, faceva parte dell’essenziale mobilio della stanza.

“Figlio di puttana!”.

L’uomo sembrò indovinare i pensieri della ragazza. «Eh già, ho tutto io. Sapevo bene che il tuo caro nonnino doveva avere nascosto la sua chiave da qualche parte a Kiev. Una scelta davvero poco oculata la sua. Lui e i suoi compari sono sempre stati dei romantici, con una propensione per stucchevoli azioni scenografiche».

«Che ne sai tu di mio nonno?», chiese lei sfidandolo ancora una volta.

«Oh, una vecchia storia. Ma parliamo di questi, vuoi?», disse lui con una voce melliflua indicando gli oggetti che aveva appoggiato sul tavolo. «Il signor Aragona ha detto che non c’era niente al monastero di Lavra, ma avervi trovato addosso questo piccolo bottino mi suggerisce che deve esserci dell’altro».

«Che cosa avete fatto a Lorenzo?», chiese la ragazza, con una punta d’angoscia nella voce.

«Sta bene adesso. Non devi più preoccuparti per il signor Aragona, è in buone mani. Parliamo di questi, per ora. Per esempio, cosa sai dirmi di questo strano pupazzetto che aveva in tasca? Quando è stato nostro ospite per alcune settimane, ci siamo accorti che questo giocattolo aveva un significato particolare per lui. Devi dirmi quale. E poi voglio sapere cosa avete scoperto nel libro di tuo nonno, questo Codice Baphomet, della cui esistenza eravamo al corrente e se tra i vari messaggi disseminati dal vecchio c’è un altro indizio per proseguire la ricerca. Un altro… messaggio criptato».

La ragazza non disse nulla e si limitò a fissarlo col fuoco negli occhi.

L’uomo scosse la testa facendo anche un gesto abbastanza eloquente con l’indice della mano destra. «No, no, no cara Anna, non va bene così». Fece schioccare le dita e un energumeno con indosso soltanto pantaloni neri militari e anfibi si materializzò sul-l’uscio. Capelli cortissimi, volto squadrato, occhi come due fessure di ghiaccio, il gigante si piazzò accanto all’uomo col volto celato e incrociò le braccia sul petto poderoso. «Ti presento Bastian, un caro amico. Bastian, vuoi far divertire un po’ la signorina?».

Il gigante non disse una parola e, facendo risuonare i suoi anfibi nella stanza buia, si avviò verso la ragazza.

«Oh, merda…».

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