16
Cercami, Lorenzo, cercami!
Eventi ricostruiti da Lorenzo Aragona
Zurigo, gennaio 2013
Quando tornai all’ospedale, Arti riposava. A farle compagnia c’era solo Mitzos, che mi salutò con uno stanco cenno del capo. Gli dissi di andare, sarei rimasto io con la figlia.
Mia moglie dormiva e così, una volta rimasto solo, ripresi a pensare allo strano tipo le cui parole mi risuonavano ancora nelle orecchie. Non potevo credere che fosse un caso. Quell’uomo, col suo volto identico a quello della visione, era a Zurigo, in quel momento così drammatico per me. Alla luce dell’incontro con lui, mi pentii di aver lasciato il pupazzetto ad Anna. Il vecchio aveva detto che avevo ancora tempo. Ma per cosa? Che cosa avrei potuto fare io che alcuni tra i migliori medici al mondo non avevano ancora fatto?
Lasciai Arti a dormire e mi diressi verso il distributore di bevande. Passando davanti a un ascensore, mentre le porte stavano per chiudersi, gettai distrattamente un’occhiata all’interno e i miei occhi si posarono su un volto ormai noto.
«Ma porca…».
Sotto lo sguardo stupito di alcune infermiere, mi lanciai giù per le scale, per arrivare prima dell’ascensore. Giunto al piano terra mi piazzai davanti alle porte e quando si aprirono, riuscii a trattenermi a stento dal saltarle addosso. «Vieni fuori, devo parlarti!».
Anna mi guardò senza dire nulla, con l’aria di chi sa di aver disobbedito a una precisa richiesta, ma anche con la consapevolezza di non aver fatto nulla di male. La presi per un braccio e a passo svelto la costrinsi a seguirmi fuori dall’istituto.
«Mi fai davvero impazzire: da un lato vorrei che tu e i tuoi fiori spariste, poi però incontro un vecchio che sembra incredibilmente coinvolto in tutta la faccenda e mi ritrovo a sperare che tu ti materializzi per riavere quel maledetto pupazzetto ed ecco che ricompari davvero», le dissi tutto d’un fiato.
Mentre Anna si preparava a rispondermi, vidi sopraggiungere Christa, uscita forse a prendere un po’ d’aria. Anche Anna la notò e approfittando della mia distrazione sgusciò via dirigendosi verso il parcheggio.
«Aspetta!».
Feci per inseguirla, ma Christa mi aveva ormai raggiunto. «Tutto bene, Lorenzo?»
«Sì, io… Sì, tutto bene. Prendo un po’ d’aria. Vai pure, arrivo fra poco».
Rimasto da solo, continuai a fissare il parcheggio dove Anna si era dileguata un istante prima. Perché diavolo era scappata? Mi venne in mente per la prima volta, da quando l’avevo conosciuta, che sembrava voler evitare di avere contatti con chiunque, tranne che con me. Sospirai e misi le mani nelle tasche della giacca per riscaldarle. Fu così che trovai una sorpresa in quella destra: la mia mano, infatti, tastò qualcosa di strano, un oggetto che non avevo con me fino a pochi minuti prima. Era il pupazzetto di Spider-Man, che Anna doveva aver infilato nella tasca nell’istante in cui mi ero distratto.
Fissai il pupazzetto. «Avanti, vecchio mio, mostrami di nuovo quelle immagini».
Continuai a insistere per qualche secondo, poi lo rimisi in tasca e ritornai dentro. Giunto al piano dove c’era la stanza di Arti notai una strana agitazione. Infermieri seguiti da medici correvano verso la stanza di mia moglie discorrendo frettolosamente tra di loro, mentre Christa era nel corridoio, con le mani davanti alla bocca.
«Che sta succedendo?».
Christa, gli occhi lucidi, non rispose. Mi fiondai allora nella stanza, ma fui subito bloccato da due infermieri che mi dissero di farmi da parte. Arti era stata messa su una barella e, maschera per l’ossigeno sulla bocca, stava per essere trasportata fuori.
«Oddio, che accidenti succede?», urlai mentre uno degli infermieri mi teneva fermo.
«Insufficienza respiratoria, si faccia da parte», sussurrò il dottor Ganz mentre la portavano via.
Rimasi impietrito, smettendo di lottare e fissando quella processione precipitarsi verso la sala operatoria. Mi voltai verso Christa e non potei fare altro che abbracciarla.
Dopo un’ora il dottore venne da noi. «Per ora la situazione è stabile, i valori si sono normalizzati. Ma non è ancora completamente fuori pericolo».
«Possiamo vederla?», chiese Christa con un filo di voce.
«No, signora, mi dispiace. È in rianimazione. Vi chiedo di avere un po’ di pazienza. Stiamo facendo tutto quello che è in nostro potere».
Mi allontanai senza dire niente. Uscii dalla clinica e a passo veloce superai il parcheggio, quindi mi fermai nel mezzo di uno spiazzo deserto, sferzato da un vento gelido. Tirai fuori il pupazzetto di Spider-Man e senza neanche pensare a quel che stavo facendo, lo misi davanti agli occhi.
Ed eccola finalmente. La visione. Immagini confuse galleggiavano nell’aria, come in un sogno. Edifici e oggetti sconosciuti roteavano come in un vortice lento. Poi, da quella marea disordinata, emersero forme più definite. Vidi uomini con indosso abiti di un altro tempo: sacerdoti, riuniti attorno a un oggetto luminoso lasciarono il posto a cavalieri crociati e poi a uomini in divise militari della seconda guerra mondiale. Infine, un volto in particolare divenne più chiaro, lo stesso che avevo visto nelle prime visioni, che mi era parso familiare ma al quale non ero riuscito a dare un nome… fino a quel momento. Navarro.
Il vecchio, con indosso una divisa militare, avanzò verso di me e, quando era ormai a un paio di metri dal mio naso, si trasformò e assunse le sembianze di mio nonno.
Il vecchio Lorenzo Aragona senior sollevò la mano destra col palmo rivolto verso l’alto, sul quale brillava una chiave con sopra inciso il simbolo solare della croce cerchiata.
«Cercami, Lorenzo, cercami», mormorò il nonno nella visione.
Lentamente le altre figure in divisa militare si strinsero intorno a lui. Tra di loro, alcuni avevano volti giovani, altri – forse tre o quattro – sembianze di vecchi. Li contai e fu l’ultima cosa che vidi: erano nove.