Capitolo 59

 

Napoli, 20 luglio, ore 10:35

 

Elena Morgano morì la notte stessa in cui era stata ferita. Per il funerale si doveva aspettare l’autopsia e il via libera del PM che stava seguendo il caso. Non sarebbe passata meno di una settimana.

L’indagine si dimostrò molto complicata fin dai primi giorni. C’era di mezzo una multinazionale potente e, nonostante il coinvolgimento di una barca di sua proprietà, riuscire a dimostrarne la responsabilità nel rapimento di Poppy e in tutto quel che ne era conseguito non sarebbe stato facile. La loro versione ufficiale – il sequestro del Genome da parte di terroristi – veniva presa seriamente in considerazione dagli ufficiali coinvolti nell’indagine. Le autorità italiane si trovarono davanti a un muro difficile da scalfire. Anche la nostra testimonianza servì a poco e sarebbe stato proprio Oscar, a un certo punto, a suggerirci di tenerci sul vago. Ci saremmo solo messi nei guai.

Durante la settimana che intercorse tra la morte della Morgano e il funerale, Àrtemis e io cercammo di stare vicino a Poppy. Pur avendo la ragazza dei parenti, quello che avevamo vissuto insieme in pochi giorni ci aveva messo nella condizione di poter comprendere meglio di altri il suo stato d’animo.

Ma soprattutto fu il segreto che condividevamo e di cui non facemmo parola neanche con Oscar che ci fece guadagnare la sua fiducia. Una cosa che non mi sarei mai aspettato. Il suo atteggiamento aggressivo e strafottente sembrava andasse ammorbidendosi ora dopo ora, complice anche il dolore per la perdita della nonna.

Una mattina, appena un paio di giorni dopo la morte della Morgano, me la ritrovai addirittura in negozio. Aveva in mano una valigetta metallica.

«Ciao antiquario», esordì con un sorriso imbarazzato, inusuale per lei. «Come te la passi?».

Il mio aiutante stava per aprire bocca in maniera inopportuna, come al solito, ma lo stroncai subito: «Bart, perché non vai a prendere cornetti e cappuccini per tutti?»

«Ma Lorenzo possiamo farceli mandare, lo sai, il bar è sempre disponibile, non c’è bisogno di…».

Lo guardai senza dire niente, ma lasciando trapelare dal mio sguardo più di quanto le mie parole potessero dirgli. E le conseguenze di quell’occhiata furono assolutamente inaspettate. Me ne sarei accorto in seguito, ma in quel preciso momento Bart Pacifico guarì dalla sua logorrea. Il ragazzo divenne serio, inspirò e annuì. «Vado subito, Lorenzo, pochi minuti e sono di ritorno».

Rimasi basito e fu la risatina di Poppy a scuotermi dalla mia sorpresa. «Simpatico, magari un po’ troppo impacciato per i miei gusti».

«È un ragazzo in gamba, ormai non posso più farne a meno», dissi, poi feci una pausa. Chiederle come stava sarebbe stato perfettamente inutile e così optai per un: «Cosa posso fare per te?».

Poppy mi porse la valigetta. «Mia nonna avrebbe fatto lo stesso e ti avrebbe chiesto scusa».

L’aprii. La macchina di Aurìchalkos era al suo posto, ben protetta dall’imbottitura. Richiusi la valigetta e le rivolsi un sorriso. «Grazie».

Poppy sedette e rimase a guardarmi.

«Be’? Cosa pensi di fare adesso?».

Lei sospirò posando lo sguardo su alcuni dei pezzi esposti all’Églantine. «Mia nonna mi ha lasciato tutto. Mio padre era il suo unico figlio e io sono la sua unica nipote. Non aveva sorelle né fratelli e degli altri parenti se ne fregava. Insomma, se metto la testa a posto, non avrò problemi di soldi per il resto della vita. Ma questo non basta. Voglio… sì, voglio proseguire la sua opera».

Sollevai un sopracciglio e lei capì al volo.

«No, non ti preoccupare, non intendevo quell’opera. Senza le sue conoscenze in materia, non me la sento di continuare con gli esperimenti che hanno portato alla creazione di Cola e Partenope».

«Mi sembra una decisione saggia. E cosa hai pensato di fare con loro? Che fine hanno fatto, ora che la Platamon onlus è sotto sequestro?».

Bart rientrò in quel momento con un sacchetto di carta e una bottiglia di vetro in cui c’era l’equivalente di tre cappuccini. Versò la bevanda in altrettanti bicchieri e fece per andarsene, senza dire neanche una parola.

«Ehi Bart, non resti con noi?», domandò con gentilezza la ragazza porgendogli la mano. «Mi chiamo Partenope, per gli amici Poppy».

«Io… sì, grazie, Poppy. Bartolomeo Pacifico. Per gli amici Bart».

Mangiammo in silenzio e alla fine Poppy si alzò e ringraziò. «Per rispondere alla tua domanda… Mi accompagneresti in un posto stasera?»

«Guarda che sono un uomo sposato».

Lei sorrise. «Porta anche Àrtemis».

 

Borgo Marinari, Napoli, ore 21:00

Poppy ci aspettava sul molo davanti ai ristorantini del borgo, ai piedi del Castel dell’Ovo, in compagnia di Corrado. Il ragazzo era ancora scosso, ma fu felice di vederci. Salimmo su un piccolo gommone e ci lasciammo condurre incuriositi.

Passammo sotto al ponte di collegamento tra la terraferma e l’isolotto tufaceo di Megaride e raggiungemmo la parete rocciosa a destra. Nonostante le luci del lungomare, la visibilità era scarsa. Sperai che il giovane sapesse esattamente dove andare, altrimenti avremmo potuto finire sugli scogli.

In realtà, il tragitto fu breve e dopo poco ci fermammo a tre o quattro metri dalla base della fortezza. Corrado gettò l’àncora e Poppy immerse qualcosa in acqua. Capii che si trattava del sentinel appartenuto a sua nonna quando, un istante dopo, avvertimmo l’inconfondibile suono salire dal fondo del mare.

Al richiamo fecero seguito altri due suoni simili e, uno alla volta, Cola e Partenope emersero accanto alla barca. Poppy li accarezzò e le due creature sembrarono molto felici di rivederla.

«Mi raccomando, ragazzi, non uscite mai di giorno e mai a pelo d’acqua», sussurrò Poppy.

«Ti capiscono?», domandò stupita Àrtemis.

La ragazza sorrise continuando ad accarezzare le due creature. «Oh sì, certo che mi capiscono. Altrimenti come avrei fatto a dire loro di nascondersi qui?».

«Cosa c’è qui sotto?», domandai io.

«Una grotta in parte sommersa», disse Corrado. «L’abbiamo utilizzata molte volte per esperimenti fuori del Santuario. Finché la Platamon è sotto sequestro, loro saranno al sicuro qui. È un posto che conoscono bene. Da sempre».

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