Capitolo 38
Napoli, 19 giugno, ore 09:30
Due giorni al solstizio d’estate
Incontrai Carlo il giorno dopo davanti all’ingresso del Duomo, all’interno del quale c’è la Cappella del Tesoro di San Gennaro. Con me c’erano anche Alex e Andrea. Sembrava stessero diventando piuttosto affiatati e considerando che, dopo la partenza dei miei suoceri, avevo offerto all’ispettrice dell’Interpol di lasciare il bed & breakfast e stare da noi, quel diavolaccio di Alex ce l’aveva ormai costantemente a portata di mano. Almeno fino a che lui non fosse tornato in Toscana per i suoi affari.
La giornata era tersa e calda, l’ideale per rinfrescarsi per qualche minuto dentro la cattedrale. Carlo salutò calorosamente mio fratello e fece la conoscenza di Andrea.
«L’ispettrice Kominkova sta seguendo l’indagine per conto dell’Interpol e della polizia ceca», dissi presentandogliela.
Carlo le strinse la mano cordialmente, quindi ci fece strada verso il portale ornato dalle sculture di Tino da Camaino. Prima di entrare, posai lo sguardo su tutta la facciata progettata da Enrico Alvino alla fine dell’Ottocento. Un sorriso malinconico si disegnò per un istante sulle mie labbra. Mi tornò in mente il mio amico e socio Bruno von Alten che, snob convinto, usava voltarsi dall’altro lato quando era costretto a passare per via Duomo.
«La vista di quell’obbrobrio neogotico mi disturba fin nel profondo delle viscere», diceva.
Sospirai e sorrisi ripensando a lui. Mi mancava molto la sua compagnia.
Entrammo nel Duomo, la cattedrale voluta da Carlo II d’Angiò e terminata tra il 1313 e il 1314, quando aveva alle spalle già una lunga, lunghissima storia che l’aveva plasmata nel corso di quasi mille anni.
Carlo si diresse senza esitazione verso la navata destra, dove si apriva la ricchissima Cappella del Tesoro di San Gennaro.
«Quando ho capito che il “sacello” poteva essere questa cappella, ho iniziato a scavare tra i ricordi dei miei studi universitari, per cercare di afferrare il seguito della poesia», disse fermandosi davanti al massiccio cancello progettato da Cosimo Fanzago.
«Prima che tu continui», lo interruppi mentre ammiravo il busto contenente il cranio di san Gennaro alla sinistra dell’altare maggiore, «vorrei farti notare un dettaglio non da poco che abbiamo dato per scontato».
«E sarebbe?»
«La pietra di rubedo che muta in ruscello per opera della nostra arte. Hai capito le implicazioni di questo verso?»
«Certamente e sarebbe il caso che dedicassimo uno studio approfondito alla cosa, quando tutto sarà finito».
«Perché non fate capire anche a noi comuni mortali?» s’intromise Alex.
«Il principe di Sansevero insinua che la pietra di rubedo, ovvero il sangue coagulato di san Gennaro, si tramuti in ruscello, cioè si sciolga, per opera della “nostra arte”, vale a dire l’alchimia. Sta praticamente dicendo che quello non è sangue, ma un qualche composto alchemico. Il principe aveva effettivamente riprodotto una sostanza che imitava il comportamento del sangue di san Gennaro, indurendosi e liquefacendosi in modo molto simile. Non la presero molto bene all’epoca e il Sansevero fu addirittura espulso dalla Deputazione della Cappella del Tesoro per aver messo in dubbio, nella Lettera Apologetica, il prodigio stesso. La poesia che abbiamo tra le mani conferma la sua convinzione che non si trattasse di vero sangue».
«Esatto», disse Carlo annuendo, «ma il riferimento al sangue di san Gennaro serviva soltanto a portarci qui, davanti alla cappella, al cospetto del cancello per la precisione».
Sfiorai il massiccio cancello in bronzo e rimasi a fissare il mio amico.
«Il “ser di Clauso” è Cosimo Fanzago», riprese Carlo. «Nacque nel 1591 a Clusone, cittadina in provincia di Bergamo chiamata Clausus in epoca romana. La “clausura” di cui parla la poesia non riguarda il fatto che Fanzago si sia chiuso in convento, ma si riferisce al cancello, la “chiusura”, della Cappella del Tesoro di San Gennaro, che fu progettata appunto dal Fanzago. Quando ho capito questo riferimento, ho messo insieme gli altri elementi e tutto si è incastrato alla perfezione. Alla morte del padre, Cosimo Fanzago si trasferisce a Napoli e studia scultura. Qui realizza moltissime opere, tra cui questo cancello. Dal progetto alla completa realizzazione passarono quarant’anni».
Annuii ripetendo a memoria la poesia. «“Il Divo attese quaranta primavere…”».
«Certo, il Divo in questione è san Gennaro», disse Carlo indicando il busto del santo in cima al cancello. «Resta però la parte più oscura, l’ultima: “Tocare le sue canne è tuo dovere, / Tal quale l’instrumento per le messe”. È curioso il fatto che “toccare” sia scritto con una sola “C”».
«Anche io ho cercato una spiegazione, ma non ne ho trovate».
Carlo sorrise e puntò un dito al mio petto. «Perché tu, Lorenzo, non hai avuto un arguto professore di architettura barocca come me, il professor Renato Esposito, che Dio l’abbia in gloria. Guarda qui».
Carlo si avvicinò al cancello e percuotendone le colonnine verticali con le nocche delle dita produsse una serie di suoni.
«Porca miseria…», sussurrò incredulo Alex, «è come uno strumento musicale… Sembra un carillon!».
Carlo annuì e sorrise trionfante. «Tocare non è un errore del principe, non vuol dire “toccare”, ma “suonare” in spagnolo. Il Fanzago ideò il cancello in modo tale che le colonnine potessero riprodurre dei suoni, come per ricordare che questa cappella era stata progettata anche per la musica. In base alla poesia, il tuo dovere è suonare le canne del cancello. Per farne cosa, però, non saprei proprio».
Gli appoggiai una mano sulla spalla. «Sei stato grande! Hai trovato lo strumento che riprodurrà la sequenza numerica trovata nella Cappella Sansevero».
Carlo sollevò un sopracciglio. «Credi si tratti di questo?»
«Non ci sono dubbi. I numeri corrispondono alle colonnine verticali e la lettera “S” indica il senso da cui iniziare, cioè da sinistra».
Tirai fuori il foglietto su cui avevo scritto la sequenza e iniziai a percuotere delicatamente le colonnine. Doveva essere qualcosa che facevano ogni tanto i turisti che erano a conoscenza di quella particolarità del cancello, perché la tizia che era all’interno della cappella, addetta alla sorveglianza, mi guardò un po’ infastidita.
«Dunque: tre, due… quattro… tre…».
Riprodussi un paio di volte la melodia, via via con sempre più scioltezza, ma non successe nulla.
«Che strano…», mormorai.
«Che ti aspettavi, che comparisse san Gennaro e ti rivelasse il segreto che vai cercando?», domandò Alex sarcastico come al solito.
Andrea rise alla sua battuta, poi, sempre con il sorriso sulle labbra, disse: «Forse devi imparare questa melodia e usarla in seguito, nel proseguimento della ricerca».
«Mah, forse hai ragione».
«E poi… a me sembra familiare questa sequenza di note», riprese Andrea e cominciò a canticchiare a labbra strette. Dopo qualche secondo annuì convinta. «Ma sì, è proprio come pensavo. La conosco! È l’inizio di una sonata di Mozart».
I nostri occhi ora erano puntati sull’ispettrice dell’Interpol che stava rivelando doti nascoste. Lei ci guardò stupita e arrossì. «Be’, che c’è di strano? A Praga Mozart è una specie di divinità, fin da quando il Don Giovanni ha debuttato lì, nel Teatro degli Stati, nel 1787. Ci sono rappresentazioni di opere mozartiane ogni giorno. È anche uno dei miei musicisti preferiti, lo ascolto fin da piccola».
Quella informazione sui gusti musicali di Andrea aggiunse una crocetta sul cuore di Alex, che sembrava decisamente cotto per la giovane poliziotta.
Andrea chiuse gli occhi e riprese a mormorare la melodia. Poi dopo qualche istante li riaprì e sollevò un dito. «Ci sono! Sonata numero 1 in do maggiore K 279. Ci metto tutte e due le mani sul fuoco».
Rimasi a guardarla ammirato, quindi chinai la testa verso il busto di san Gennaro per ringraziarlo rispettosamente, tirai fuori lo smartphone e dissi. «Andiamo fuori ad ascoltarla, presto!».
Uscimmo dalla cattedrale e ci fermammo sul sagrato. Andrea, Carlo e Alex fecero capannello attorno a me, mentre io cercavo su YouTube la sonata in questione. Ne trovai una bella versione eseguita da Glenn Gould.
Dopo le prime battute del primo tempo, l’Allegro, interruppi la riproduzione e guardai gli altri.
«Che vi dicevo? È questa», confermò Andrea.
Ma sul mio volto comparve l’ombra del dubbio.
«Che c’è Lorenzo, non sei convinto?», domandò Alex.
Lessi le informazioni contenute in un altro sito. «Qui dice che la sonata fu composta nel 1774».
«E allora?», domandò ancora Alex senza capire.
«Il principe di Sansevero è morto nel 1771».
Ci guardammo, delusi, pensando di aver preso una cantonata. Andrea si grattò la fronte. «Ma come è possibile che la conoscesse, se Mozart l’ha scritta tre anni dopo la sua morte?».
Mentre i miei tre amici si arrovellavano per cercare di capirci qualcosa, io scorsi freneticamente vari siti per trovare più informazioni.
«Ascoltate qua: “La sonata per pianoforte K 279 fu scritta da Mozart nel 1774. La composizione è formata da tre tempi, Allegro, Andante, Allegro, il primo dei quali sembra però essere il rifacimento di un lavoro precedente del compositore austriaco”».
«Quindi secondo te il principe di Sansevero ha avuto la possibilità di ascoltare la precedente versione dell’Allegro prima della sua morte?», domandò Carlo.
«Ti dirò di più, ora che ci penso, Mozart soggiornò a Napoli per un mese e mezzo nel 1770, proprio pochi mesi prima che Raimondo de Sandro morisse».
«Potrebbero essersi incontrati», ipotizzò Andrea.
«Perché no?», dissi allargando le braccia.
Carlo rifletté per qualche istante. «Per me ha senso e in comunque non ci sono dubbi, la melodia che si riproduce percuotendo il cancello di Cosimo Fanzago è proprio quella».
Raimondo de Sangro, il conte di Saint-Germain e adesso Mozart. Tre personaggi di grande spessore del loro tempo, ciascuno, nel proprio ambito, un genio. E soprattutto tre massoni. Tre iniziati. Stavo accumulando tanto materiale da dare ad Asar, ma a quel punto fui sfiorato dal dubbio che quel segreto volessi ormai scoprirlo per soddisfare il mio personale desiderio di conoscenza. E per realizzare l’ultima, grande opera di Matteo Rinaldi. Quella che lui aveva lasciato incompiuta. E per la quale forse era morto.