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Woland
Ricostruzione effettuata sulla base degli
interrogatori del dottor Brad Höffnunger
Terminal voli privati, Aeroporto di Ciampino
Roma, gennaio 2013
Il Gulfstream G 550 ottenne l’autorizzazione ad atterrare e il comandante invitò i pochi a bordo ad allacciare le cinture. Nonostante il comfort di quel jet privato, il passeggero più importante si sentiva a pezzi. Ormai i voli intercontinentali lo stremavano e si metteva in viaggio solo per necessità. E la notizia che aveva avuto meritava senz’altro la sua presenza.
«La ragazza ha parlato», aveva esordito la voce al telefono dodici ore prima e poi aveva continuato, «ci apprestiamo a recuperarlo».
«No!», aveva replicato bruscamente lui. «Voglio vederlo io per primo! Aspettate tutti il mio arrivo».
«Ma come fai? Ragiona!».
«Mi metto subito in viaggio, si farà così e basta».
L’altro aveva sospirato. «Come vuoi tu».
Non appena l’aereo si fermò, una grossa limousine nera con i vetri oscurati si avvicinò, seguita da due Mercedes. Il passeggero scese lentamente, come se contasse i pochi scalini che lo separavano dal suolo. A nessuno tuttavia venne in mente di aiutarlo. Sollevò la testa, il cui cuoio capelluto senza neanche un capello sembrava una pergamena vecchia di secoli, e lanciò uno sguardo di ghiaccio in direzione della limousine attraverso i pince-nez scuri.
Nonostante l’età avanzata mostrava un’indomita fierezza e un portamento vigoroso che incutevano soggezione, se non vero e proprio timore. Subito dietro di lui comparve sulla scaletta dell’aereo un uomo ben vestito sulla cinquantina, capelli brizzolati pettinati all’indietro e un bel viso, perfettamente rasato.
«Dottore, subito alla villa», gli disse il vecchio prima di salire sulla limousine.
«La precedo con l’altra macchina, dottor Woland. Al suo arrivo troverà tutto pronto», rispose l’altro.
Una delle due Mercedes, con a bordo il dottore, si allontanò in fretta, mentre le altre due auto la seguirono con un’andatura meno sostenuta.
«Sono atterrato», disse Woland al cellulare mentre la sua limousine procedeva lungo il Grande Raccordo Anulare. Con lui, oltre all’autista e una guardia del corpo che sedevano davanti, c’era una giovane donna, giunta all’aeroporto per accoglierlo. Occhi scuri e penetranti, come due perle nere incastonate in un viso dalla pelle bianca come porcellana, capelli castani, lunghi e mossi e fisico snello.
Woland annuiva mentre il suo interlocutore lo aggiornava sulle novità delle ultime dodici ore. «Molto bene, sarò lì tra quarantacinque minuti al massimo», disse prima di chiudere la comunicazione, poi sollevò lo sguardo sulla donna che sedeva di fronte a lui. «Finalmente ci siamo», mormorò. Un rantolo che metteva i brividi. «Ho atteso per così tanto tempo, svegliandomi ogni giorno con la speranza che non fosse l’ultimo».
«La sua forza di volontà l’ha tenuta in vita, dottor Woland», disse la donna in inglese con un accento che tradiva la sua origine francese, «e le sue ricerche, naturalmente. Non avrebbe potuto fallire». La sua voce era suadente e determinata, tipica di chi sa esattamente cosa vuole e non ha scrupoli per ottenerla con qualunque mezzo.
Woland annuì impercettibilmente. «Non dimenticare Caesar, mia cara. Senza di lui nulla sarebbe stato possibile. Fin dall’inizio. Naturalmente devo anche a te il successo di questi ultimi mesi e l’accelerazione che abbiamo potuto dare al progetto», disse il vecchio tenendo lo sguardo inchiodato sulla donna. «Ti sei meritata la tua ricompensa».