Capitolo 16
Napoli, ultimi giorni di primavera, ore 15:35
Ritornai verso il centro antico e mi diressi a piazza San Domenico Maggiore. Girai attorno alla guglia barocca e m’inoltrai nel vicoletto San Domenico Maggiore, passando accanto a Palazzo Sansevero e alla cappella omonima. Erano più o meno le quattro del pomeriggio, il caldo era intenso e non c’erano molti turisti in giro, così Michele de Sangro spiccava in mezzo alla strada deserta.
«Vuoi fare un giro nella cappella?», mi domandò non appena l’ebbi raggiunto.
«No, grazie, potrei anche svenire davanti al Cristo Velato».
«Perché? L’avrai visto migliaia di volte, sei ancora vittima della Sindrome di Stendhal?»
«Macché, è colpa di mio suocero».
«Perché, che ti ha fatto?»
«Lui niente, ma la quantità di cibo che mi ha costretto a ingerire metterebbe a dura prova chiunque».
Michele scoppiò a ridere e s’incamminò verso casa sua. Abitava nell’edificio accanto alla cappella di famiglia, dove aveva sede il Real Monte Manso di Scala, un collegio per l’educazione di giovani nobili fondato nel XVII secolo da Giovan Battista Manso, marchese di Villa, patrizio di Amalfi. Michele mi aveva spiegato che, in base alle sue ricerche, prima che la famiglia Manso prendesse in affitto l’edificio negli anni ’50 del XVII secolo, per ospitarvi il Collegio dei Nobili, una delle ali del palazzo apparteneva alla famiglia de Sangro. Del resto, la cappella del Collegio si trova proprio sopra la Cappella Sansevero, sempre secondo Michele esattamente nell’ala appartenuta ai de Sangro, dove si sarebbe consumato il famoso ed efferato delitto degli amanti Fabrizio Carafa e Maria d’Avalos, uccisi per mano del marito di lei, il madrigalista Carlo Gesualdo da Venosa.
«Non capisco perché ti ostini a restare qui, in mezzo ai fantasmi, quando hai un appartamento dentro Palazzo Sansevero», gli dissi varcando il portone insieme a lui.
«Anche lì ci sono fantasmi, ma soprattutto ci sono troppi massoni», rispose strizzando un occhio.
Sorrisi e scossi la testa.
Entrammo nel suo lussuoso appartamento e ricevemmo subito il benvenuto del piccolo Raimondo, suo figlio. Corse incontro al padre e gli saltò al collo.
«Eccolo qui l’erede!», esclamò Michele ricambiando l’affetto del piccolo. «Cinque anni e parla già due lingue perfettamente, è proprio un fenomeno questo bambino. Where’s your mom, Ray?».
Il bimbo scattò verso l’interno della casa trascinando il padre per una mano. «Come, daddy, come! She’s getting ready for a walk!».
«No, aspetta, Ray, ho da fare con questo mio amico, di’ a mamma che sarò nella mia biblioteca privata, ok?»
«Ok! Ciao amico di papà», disse Raimondo schizzando via.
«Fa comodo avere una moglie inglese», commentai seguendo Michele attraverso stanze e stanze piene di mobili d’epoca – alcuni anche acquistati all’Églantine – e oggetti d’inestimabile valore.
«Soprattutto quando viaggi», disse Michele, «con lei posso andare più o meno dappertutto e non devo sforzarmi più di tanto. Tu invece puoi andare solo in Grecia».
«Spiritoso, ti faccio notare che io parlo inglese».
«Vuoi mettere avere un madrelingua a disposizione?». Entrammo nella biblioteca che avevo visto tante altre volte e diedi sfogo alla mia curiosità con una domanda che mi stava ronzando nella testa ormai da qualche ora. «Come mai non mi hai mai detto di avere i libri del principe di Sansevero, addirittura quelli contenuti nell’Appartamento della Fenice?»
«Perché non me l’hai mai chiesto», fu la sua risposta ironica, alla quale aggiunse, dopo aver visto l’espressione poco divertita sul mio viso, «e perché se sono giunti in segreto fino a me, ci sarà un motivo».
«In segreto?».
Michele non rispose e si avvicinò a una delle sue enormi librerie. «Vieni, questa cosa ti piacerà».
Sfiorò con le dita alcuni dei volumi allineati in una delle mensole fino a fermare la mano sulla costa di un piccolo tomo giallo. Poi si voltò a guardarmi e sorrise. «Mi è sempre stato antipatico Kremmerz, ma mi piace il titolo di questo libro scritto da un suo discepolo, ecco perché ho deciso di usarlo come chiave».
Lessi il titolo, Il mistero degli Arcana Arcanorum, ma non capii. Michele scosse la testa. «Stai perdendo colpi, Lorenzo Aragona».
Tirò verso di sé la parte superiore del libro e una porzione di libreria ruotò su se stessa verso l’interno, come una porta. Michele sorrise divertito, leggendo lo stupore sul mio viso, ed entrò per primo. Quando fummo entrambi all’interno del passaggio segreto, riposizionò la libreria e accese la luce.
Davanti ai miei occhi si materializzò uno spettacolo assolutamente fuori del comune. La stanza rettangolare nella quale mi ritrovai sembrava una Wunderkammer, uno di quegli ambienti che collezionisti e intellettuali del XVI e XVII secolo amavano creare nelle loro ricche residenze e dove raccoglievano ogni sorta di oggetto bizzarro. Gli antenati dei musei. Michele mi fece strada attraverso quel suo personale “museo del curioso”, passando accanto a macchine anatomiche in tutto simili a quelle presenti nella Cappella Sansevero, animali esotici impagliati, statuette di divinità pagane dalle fattezze mostruose, antichi codici, strumenti alchemici e altri manufatti degni dell’antro di uno stregone. Mi soffermai in particolare a guardare un inquietante teschio coronato, provvisto di ali vere, con tanto di piume e appoggiato su un cuscino di velluto.
Michele mi raggiunse. «Ti ricorda niente?»
«Ma certo, i due teschi ai lati dell’ingresso laterale della Cappella Sansevero».
«Lo ha fatto lui».
«Il principe?»
«Proprio lui. Per divertimento, direi». Michele allargò un braccio come a voler presentare la sua collezione e aggiunse: «Benvenuto nell’Appartamento della Fenice».
Il mio sguardo spaziava da un oggetto all’altro e sembrava quasi che quei manufatti curiosi si moltiplicassero all’infinito davanti ai miei occhi. Poi finalmente individuai la zona più interessante della sala. La biblioteca.
«Quando don Raimondo morì, nel 1771, i suoi parenti avevano già in mente di disfarsi della sua scandalosa collezione», disse Michele dirigendosi verso la biblioteca. «Per fortuna il principe era stato previdente. Secondo quanto riferisce l’Origlia, suo biografo, in una lettera che è in mio possesso, per alcune notti, prima che Raimondo morisse, ci fu un viavai di gente che trasportava casse da Palazzo Sansevero verso una destinazione ignota. Quelle persone erano amici e confratelli di Raimondo, ai quali lui aveva chiesto di svuotare l’Appartamento della Fenice per mettere temporaneamente al sicuro i preziosi libri e i manufatti che conteneva».
Sorrisi. «Lo vedi? I massoni sono stati utili all’epoca, non dovresti essere così duro con loro».
Michele alzò un sopracciglio. «Purtroppo i massoni moderni non sono che l’ombra di quelli di allora».
«Eh, come darti torto», sospirai, «comunque ce ne sono ancora di buoni».
«È per questo che tu sei qui. Pochissime persone conoscono questo luogo, ma quello che mi hai mostrato merita un approfondimento e mi sembra giusto concederti il diritto di essere ammesso. Anche perché conosco la tua serietà».
«Onorato. Ti prometto che se dovessi riuscire a rientrare in possesso della corrispondenza tra il de Sangro e il Saint-Germain, te ne farò dono. L’Appartamento della Fenice è il luogo giusto per custodirla».
«Mi faresti un regalo fantastico, ti ringrazio già solo per il pensiero. Ma ora mettiamoci al lavoro».
Avevamo raggiunto la grande libreria che occupava l’intera parete di fondo dell’Appartamento della Fenice, opposta alla porta segreta attraverso la quale eravamo entrati.
«Tutto quello che era stato portato via dall’Appartamento della Fenice era stato nascosto in una cisterna greca tra la Cappella Sansevero e il campanile della Pietrasanta. Una cisterna murata e abilmente occultata».
«E tu come l’hai trovata?»
«Non io, ma un membro della mia famiglia, nel 1943. Cercava un riparo sotterraneo dai bombardamenti per la gente del quartiere e individuò la cisterna segreta. Non ne fece parola con nessuno e finita la guerra recuperò tutto. Ma la sistemazione dei libri è opera mia. Don Raimondo consegnò una copia dello schedario della biblioteca al segretario della sua loggia massonica, la De Sangro, grazie alla quale si poteva risalire facilmente alla collocazione dei volumi. L’uomo fu previdente e ne fece altre due copie, una conservata all’Archivio di Stato e l’altra custodita per più di duecento anni nel Banco di Napoli. Sono venuto in possesso dello schedario e ho individuato i libri contenuti nell’Appartamento della Fenice tutti contrassegnati dalla sigla PH., identica a quella che hai trovato tu. In questo modo sono riuscito a ricreare l’esatta collocazione dei volumi così come l’aveva ideata il principe».
Mi avvicinai a quei testi con rispetto quasi sacro. C’erano libri di esegesi biblica, ma anche di cabbala e di alchimia, scritti considerati pericolosi o scomodi all’epoca in cui visse il principe. Autori come Pierre Bayle, Anthony Collins, John Toland. C’era persino una versione del Telliamed di Benoit de Maillet, epurata dalle aggiunte che l’abate Jean Baptiste de Mascrier aveva inserito per far conciliare quel testo scientifico “blasfemo” con il dogma cristiano. Tutti quei testi risalivano alla metà del XVIII, erano edizioni originali dell’epoca ed erano appartenuti a Raimondo de Sangro. Un valore inestimabile.
«Incredibile», commentai rapito.
«Già», si limitò a dire Michele. «Ma andiamo al punto. In base alla collocazione che hai trovato su quel carteggio, il libro indicato da III, II, 3 è… questo!».
Michele tirò fuori dalla seconda mensola del terzo scaffale il terzo libro da sinistra. Un volumetto intitolato Peregrino Neapolitano.
«Mai sentito nominare», dissi scuotendo la testa.
Michele sorrise. «Per forza, non è mai stato pubblicato. Guarda un po’ chi l’ha scritto».
Lessi il nome dell’autore. «Esercitato… il nome che Raimondo de Sangro si diede quando fu ammesso all’Accademia della Crusca».
«Ci sono moltissimi testi in questa biblioteca che non sono mai stati divulgati. Raimondo li stampava per sé o per pochi intimi nelle sue officine grafiche. C’è più di un libro qui dentro che avrebbe fatto la felicità di ogni inquisitore».
Il libro sembrava una guida turistica di Napoli, a uso di intellettuali in visita nella nostra città. Si citava anche il famoso Notizie del bello dell’antico e del curioso della città di Napoli di Carlo Celano, opera secentesca in cui si descrivevano luoghi e monumenti di Napoli.
«Immagino che il de Sangro debba avere donato al Saint-Germain lo stesso volumetto se è citato nella loro corrispondenza», osservò Michele.
«Il libro non è citato esplicitamente e la sua collocazione non era in bella mostra nel carteggio, ma celata nel modo che ti ho fatto vedere», gli feci notare. «Concordo con te, però. Il SaintGermain doveva sapere a cosa si stesse riferendo il principe. Se io sono riuscito a scoprire il trucchetto per leggere la collocazione, per lui deve essere stato un gioco da ragazzi. Ammesso che il messaggio fosse per lui e non per un eventuale, futuro ricercatore».
Michele rifletté per un istante. «Quindi il principe fa riferimento a questo libro nella corrispondenza, ma senza poterla consultare brancolerai nel buio. Hai una serratura, ma non hai la chiave».
«Allora ho bisogno di uno scassinatore».