Capitolo 11
Praga, ultimi giorni di primavera, ore 12:23
Mi avviai a piedi verso l’albergo e ne approfittai per fare un paio di telefonate. Aver scoperto della lettera recapitata ad Àrtemis mi aveva messo in allarme, non potevo attendere di rientrare a Napoli senza fare nulla. Decisi di chiamare Carlo Sangiacomo, uno dei fratelli massoni a me più cari, con cui condividevo da anni appassionanti studi esoterici.
«Ciao Lorenzo, come va? Ancora a Praga?»
«Sì, Carlo, ma sto per tornare. Ascolta, ho bisogno di un favore».
Gli spiegai rapidamente la cosa e ottenni la sua rassicurante promessa. «Non ti preoccupare, ci penso io».
Richiamai subito dopo Àrtemis e le dissi che cosa doveva fare.
«Va bene, Lorenzo, come vuoi», disse sbuffando per le mie bizzarrie. «Mi organizzo prima di andare all’università. Ho lezione oggi pomeriggio».
Sistemate temporaneamente le cose a Napoli, raggiunsi Riccardo al mio albergo. Si era fatta ora di pranzo e lo trovai al ristorante, seduto a un tavolo con Zuzana. La ragazza indossava il trench nero, così da coprire i suoi abiti “sconvenienti”, e non aveva più tutto quel trucco pesante di poche ore prima.
«Ah, eccoti qui, Lorenzo, adesso convinci questa matta ad andare per la sua strada».
Feci un sospiro mentre mi sedevo e Riccardo riprese. «Continua a ripetere che è spaventata e che dobbiamo aiutarla, ma cosa possiamo fare noi? Abbiamo altro a cui pensare, figuriamoci! Abbiamo una pista da seguire a Napoli, come ci indica la mappa».
«Ma chi se ne frega della mappa, Riccardo!», sbottai. «Lo sai che qualcuno ha infilato nella mia cassetta postale una lettera, indirizzata a me, su cui c’è la sigla trovata sul luogo del delitto di Hašek?».
Riccardo non disse nulla e si limitò a grattarsi sotto al mento assumendo un’espressione seria.
«Non voglio lasciare mia moglie sola sapendo che ci sono dei fanatici assassini che sanno dove abito. La polizia mi ha autorizzato a prendere il primo volo per Napoli purché mi faccia accompagnare da un’agente dell’Interpol. Io prendo il primo volo per Napoli, non tu né tantomeno la nostra amica qui».
Zuzana s’intristì e apparve ancora più preoccupata. «Prego Lorenzo, non mi abbandona, io paura, sola. Roman mi uccide».
«Roman?»
Riccardo sbuffò. «Dice che si trova tra le grinfie di un protettore, tale Roman, ma può darsi che si sia inventata tutto».
«No bugia! Vero!», protestò accalorata Zuzia attirando gli sguardi degli altri avventori.
«D’accordo, stai calma», dissi sorridendo imbarazzato. «Non hai nessuno, i tuoi genitori per esempio?».
«Mi ha detto che il padre è morto e sua madre se ne è andata con un altro uomo», spiegò Riccardo.
«Roman», intervenne Zuzana mostrando un’espressione afflitta.
Restai di sasso. «Vuoi dire che il tuo protettore è il… compagno di tua madre?».
Riccardo scosse la testa, stufo. «Lorenzo, ma come possiamo crederle?».
Riflettei un istante. «Forse dovremmo rivolgerci alla polizia».
Zuzana cominciò ad agitarsi. «No, no polizia, no prego!».
«Deve avere qualche precedente, oltre alla sua professione non proprio legale…», commentò il siciliano.
«Kurňa!»1, esclamò Zuzana interrompendo il discorso di Riccardo e stringendomi forte il braccio mentre guardava terrorizzata l’ingresso del ristorante.
«Che succede?», dissi voltandomi nella stessa direzione.
«Minchia, mi sa che stiamo per conoscere Roman…», sussurrò Riccardo seguendo lo sguardo della ragazza.
Un tizio non troppo alto, con la fronte spaziosa e i capelli mossi avanzava verso di noi. Aveva un volto decisamente poco rassicurante, gli occhi piccoli come quelli di un pitbull e un’espressione di gelido disappunto a deformagli le labbra sottili incorniciate da una barba incolta. Lo accompagnava un altro uomo dal fisico più imponente. Entrambi erano vestiti con T-shirt, jeans e scarpe da ginnastica.
Il cameriere gli si avvicinò ingenuamente, per capire se avevano prenotato, ma fu scostato senza tanti complimenti con una spinta. Un brusio si sparse per il ristorante.
«Qui si mette male», mormorai.
«Našel jsem tě štětko, hejbni zadkem!»2, sibilò “Faccia da pitbull” con voce roca e minacciosa.
«Běž do prdele Romane, nech mě bejt!»3, fu la risposta di Zuzana ugualmente violenta.
«Senta, perché non ne parliamo con calma, signor… Roman, giusto?», m’intromisi sperando che quel gentiluomo capisse l’inglese.
«Hleď si svýho a nic se ti nestane!»4, disse Roman senza tanti complimenti, quindi allungò una mano e strinse il braccio di Zuzana.
«Ne!», urlò la ragazza cercando di divincolarsi.
Il cameriere intanto si era avvicinato insieme a un collega cercando di allontanare i due. Il compagno di Roman si voltò e, senza pensarci due volte, con un’altra spinta poderosa li mandò gambe all’aria sul tavolo accanto al nostro. Si scatenò un putiferio. I clienti iniziarono a urlare spaventati e qualcuno cercò di intromettersi. Volarono i primi pugni, il compagno di Roman era un vero picchiatore. Zuzana sfruttò l’attimo di confusione e si liberò della presa del protettore. Riuscì a strisciare sul pavimento tra i due compari e sfrecciò attraverso la sala come una gazzella guadagnando l’uscita.
«Zasraný!5 Pavel!», esclamò Roman attirando l’attenzione del compagno. Pavel, che stava strapazzando uno dei clienti, mollò la presa e seguì il compagno fuori dal ristorante.
«Presto, Riccardo, seguiamoli!».
«Ma Lorenzo, che vuoi fare?».
Senza fermarmi a riflettere, ero già scattato e, giunto all’ingresso, mi voltai verso il siciliano. «Muoviti, non possiamo abbandonarla!».
Riccardo scosse la testa e mi seguì.
«Picciotta mallitta!», mugugnò disperato dietro di me.
Appena fuori scorgemmo i due balordi che inseguivano Zuzana lungo via Obecního domu. La ragazza stava dirigendosi verso Náměstí Republiky, la centralissima piazza della Repubblica. Feci appena in tempo a vederla precipitarsi nel sottopassaggio per raggiungere l’omonima fermata della metro. I due uomini la seguirono senza indugi.
“Pessima idea, è una trappola”, pensai.
Riccardo e io non potemmo fare altro che correre dietro ai tre e dopo pochi scalini ci ritrovammo sotto le luci al neon della stazione della metro.
«Da che parte?», domandai trafelato guardando a destra e a sinistra.
«Eccoli!», esclamò il siciliano puntando il dito oltre le porte a vetro che ci separavano dalle scale mobili. Roman e il suo compare procedevano a passo veloce ma senza correre, evidentemente per non attirare troppo l’attenzione. Incuranti del fatto di potere essere seguiti, non si voltarono.
Acquistammo al volo due biglietti e ci precipitammo di sotto. Scorgemmo i due alla fine delle scale mobili, mentre si dirigevano verso il binario che portava in direzione Zličin. Ci tenemmo a distanza, confondendoci tra la folla.
«Non vedo la ragazza», dissi con apprensione.
«Neanche io», mi fece eco Riccardo.
Intanto stava arrivando il treno. Roman e il compagno non sapevano che fare, si guardavano intorno per cercare di individuare Zuzana. Le porte si aprirono e iniziò il ricambio di passeggeri. Scesero parecchie persone, era l’ora di punta, ma altrettante ne salirono. I due ceffi s’infilarono in una carrozza.
«Forse l’hanno vista, andiamo anche noi!», dissi dirigendomi verso la stessa carrozza.
«Riccardo!».
Ci voltammo di scatto. Zuzana era nascosta dietro uno dei pilastri che dividevano le due banchine. La ragazza si era abilmente mescolata alla folla ed era riuscita a ingannare i suoi inseguitori. Ci allontanammo dal treno, le porte si chiusero e vedemmo attraverso i finestrini Roman e Pavel aggirarsi tra i passeggeri cercando Zuzana. Quando ci videro era troppo tardi. Schiumarono di rabbia mentre la ragazza mostrava loro il dito medio.
Ritornammo sulla piazza e rifiatammo per alcuni istanti. Zuzana tremava come una foglia, nonostante il tepore di fine primavera. La guardai scuotendo la testa, volevo rimproverarla, ma in fondo che colpa aveva? Era solo una ragazza sfortunata che come tante era caduta nelle mani di gente senza scrupoli. Il mio sguardo si addolcì e le sorrisi. Non c’era una via d’uscita facile, ma decisi che avrei fatto del mio meglio per aiutarla.
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1 Espressione volgare di disappunto: merda, cazzo.
2 Ti ho trovato, puttanella, muovi il culo, forza!
3 Vaffanculo, Roman, lasciami in pace!
4 Fatti i cazzi tuoi tu e non ti succederà niente!
5 Dannazione!