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Arma letale
Ricostruzione effettuata sulla base della testimonianza di Anna Nikitovna Glyz
Roma, gennaio 2013
Anna era rannicchiata sul letto, nella stanza in cui era reclusa. Sembrava che stesse dormendo. In realtà, stava ripensando alle poche parole che aveva recepito del messaggio trovato nel mitreo.
Se tu, o sconosciuto, sei giunto fin qui…
Era convinta che dietro ci fosse un’altra traccia per raggiungere il Baphomet, un’altra traccia da decifrare con una griglia di Cardano, così come accaduto a Kiev. In preda all’ira, Woland, non l’aveva capito e l’aveva gettato via. Se solo Camille non l’avesse notata mentre cercava di nasconderlo in tasca. Era inutile continuare a torturarsi. La cosa migliore, a quel punto, era riuscire a trovare un modo per fuggire. Sentiva ancora sulla pelle il disgustoso contatto con le mani di Bastian e ne aveva ormai abbastanza di tutto quello schifo.
Represse la nausea provocata dal ricordo ancora vivo di quella violenza e si alzò dal letto. Si guardò intorno di nuovo. A prima vista non sembrava ci fossero telecamere in quella piccola stanza, ma con gente come quella c’era sempre da temere il peggio. Non aveva comunque scelta: decise che era arrivato il momento di agire, di togliere la maschera della vittima, di indossare finalmente quella del cacciatore e affrontare i suoi avversari a viso aperto. Chiuse gli occhi per un istante e si concentrò. Sapeva che la sua unica arma per affrontare anche dieci uomini armati da sola e a mani nude era la profonda conoscenza delle arti marziali. L’incognita di non sapere mai con precisione chi aveva di fronte, tuttavia, non doveva essere sottovalutata.
Riaprì gli occhi e le sue pupille brillarono di determinazione. Andò verso la porta e bussò forte per attirare l’attenzione. «Ehi, devo pisciare! Aprite!».
Dopo qualche secondo sentì la chiave girare nella serratura, e allora si spostò rapida appiattendosi al muro. Una debole luce proveniente dalla porta aperta si distese sul pavimento della stanza e una pistola comparve, accompagnata da poche parole che non ebbero modo di diventare una frase.
«Datti una calmat…».
Un calcio dal basso verso l’alto fece volare in aria l’arma, mentre uno strattone tirò dentro la stanza la mano che aveva stretto la pistola fino a qualche istante prima. Un colpo di taglio sulla gola mise quindi al tappeto l’uomo cui quella mano apparteneva. Anna raccolse in fretta la pistola, pronta a ricevere altre visite e si sporse di pochi centimetri fuori nel corridoio. Nella penombra, vide avvicinarsi un’altra figura e provò un brivido di piacere nel pregustare il suo attacco: era Bastian.
Il gigante si avvicinò lentamente, con un leggero sorriso scolpito sulla sua faccia di pietra. Era sicuro di sé, al punto da non avere armi.
“Va bene, caro Golia”, pensò Anna, “il tuo Davide ti affronterà senza fionda”.
Uscì dalla stanza, mostrò la pistola a Bastian e l’appoggiò a terra a circa un metro da lei. «Vuoi divertirti un altro po’, bestione? Questa volta però il gioco lo conduco io».
Bastian non disse nulla e si avventò su di lei con tutto il suo peso.
“Troppo facile”.
Con un’agile mossa di aikido, Anna si scostò di lato e con una leggera spinta sfruttò l’inerzia e il peso del suo avversario per farlo caracollare a terra. Bastian si rialzò con inaspettata velocità e in un attimo fu pronto di nuovo. Ma sembrava meno sicuro di sé.
«Devi solo legarmi per bene e puntarmi una pistola alla tempia per sperare d’immobilizzarmi, amico, come hai fatto fino a poche ore fa. Ma ti assicuro che non succederà più».
Anna sentì dei passi rapidi lungo le scale che conducevano al piano superiore.
«Ma che sta succedendo?», disse uno degli uomini di Woland facendo la sua comparsa con una pistola in pugno.
Bastian sollevò un braccio enorme. «Lasciala a me», grugnì il gigante, quindi si avventò di nuovo sulla ragazza.
Questa volta la mossa di Anna fu più articolata: corse incontro a Bastian e, un istante prima dell’impatto, scivolò tra le sue gambe. Prima di passargli alle spalle gli sferrò un pugno poderoso nelle parti basse e Bastian lanciò un urlo di dolore, si portò le mani all’inguine, strinse le gambe e cadde in ginocchio. Anna era già dietro di lui e con un calcio alle spalle lo mandò al tappeto, lo calpestò e si avventò sull’altro uomo che intanto aveva sollevato la pistola per colpirla. La ragazza si scostò nell’istante in cui l’uomo premeva il grilletto e, mentre il proiettile si conficcava nel petto di Bastian che si stava rimettendo in piedi, Anna afferrò il braccio dell’uomo e glielo spezzò come un fuscello, quindi con un colpo alla gola lo stese definitivamente.
Bastian era carponi, con una mano al petto e rivoli di sangue ai lati della bocca. Anna gli si avvicinò e in un sussurro gli disse: «Avrei voluto far ingoiare al tuo capo quello schifo che hai tra le gambe, pezzo di merda, ma le mie priorità sono cambiate».
Gli diede un calcio in faccia e Bastian perse i sensi. Per sempre.
Anna non attese che altri sgherri l’assalissero. Prese entrambe le pistole lasciate dai suoi avversari e lasciò il seminterrato avviandosi al piano terra. Due uomini armati si stavano precipitando contro di lei. I due ebbero appena il tempo di sollevare le pistole di qualche centimetro prima che Anna li freddasse in un istante, colpendoli con precisione chirurgica. Ne aveva già fatti fuori quattro, quanti altri potevano essercene in casa?
Non perse tempo a cercare una risposta: sebbene le pistole fossero tutte dotate di silenziatore, gli spari producevano comunque un rumore sordo, come una martellata. Di certo dovevano aver attirato l’attenzione degli altri ospiti. L’unica cosa che poteva fare era affrontarli tutti. Raggiunse il salone principale e questa volta gli uomini di Woland non si fecero cogliere di sorpresa e spararono per primi. Anna ebbe il tempo di tuffarsi dietro a un divano, ma non attese che i suoi avversari prendessero coraggio. Sollevò una mano oltre lo schienale e sparò alla cieca. Udì un lamento strozzato, quindi fece capolino oltre il bordo del divano e piazzò un proiettile nella gamba di uno degli assalitori. Mentre i due si contorcevano sul pavimento per il dolore, ne spuntò un altro che sparò in direzione del divano senza pensarci due volte. Il suono prodotto dalla detonazione, però, fu alquanto strano e quando Anna alzò lo sguardo sulla parete dietro di lei, vide decine di piccoli aghi, come punte di freccia, conficcate nell’intonaco. Le punte produssero prima scintille e piccoli scoppiettii, quindi iniziarono a corrodere la parete, come se fosse attaccata da un potentissimo acido.
“Una specie di maledetto taser ad alto voltaggio o qualcosa del genere”.
Il taser sparava in genere due dardi che provocavano una scarica elettrica ad alta tensione e bassa intensità di corrente. Quello sembrava un modello decisamente più pericoloso.
Anna non indugiò oltre per cercare di capire che diavolo fosse quell’arma. Un istante dopo aver visto i dardi conficcarsi nel muro aveva già fatto fuoco sul suo assalitore, che si ritrovò un buco nella spalla che gli fece volare via la pistola. Un altro uomo, subito dietro, si apprestava a sparare con la stessa arma, ma Anna non gliene diede il tempo. Lo freddò con la Beretta che aveva preso dagli altri uomini abbattuti qualche istante prima.
Corse via dal salotto, entrò in un’altra stanza e chiuse la porta in fretta. Con sollievo, si accorse di essere nell’ingresso della villa. Stava per avviarsi verso la porta quando da un’altra stanza uscirono altri due uomini dietro i quali fecero capolino Woland e Camille.
«Prendete quella puttana!», urlò il presidente della Nanotech.
Anna si tuffò in direzione della porta d’ingresso e sparò di nuovo a due mani con le pistole che ancora aveva con sé, centrando in pieno i due uomini i cui proiettili andarono invece a vuoto.
Il conto si fermò a nove.
Un istante prima di uscire dalla villa gli sguardi di Anna e Camille s’incrociarono. La francese rimase pietrificata e allo stesso tempo affascinata. Anna avvertì la sua ammirazione e le sorrise a mo’ di sfida.
«Ma chi diavolo è quella?», mormorò Camille senza riuscire a muovere un muscolo.