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La villa delle Chimere

 

Ricostruzione effettuata sulla base degli interrogatori del dottor Brad Höffnunger e dell’avv. Francesco Ratti

 

Roma, gennaio 2013

 

La Villa delle Chimere, sull’Aventino, è un gioiello d’inizio Novecento immerso nel verde e nella tranquillità di uno dei colli più eleganti di Roma. Chiamata così per le curiose decorazioni con mostri e mascheroni di stile eclettico, tipico di alcuni edifici romani delle prime due decadi del XX secolo, era spesso chiusa e disabitata. Era una residenza di grande bellezza, ma dall’aspetto sinistro, con le sue mute chimere che fissavano con occhi di pietra i passanti. Silenziosa come sempre, da qualche giorno era tuttavia interessata da un insolito movimento e sembrava avesse preso vita improvvisamente. Grosse auto scure e persino qualche furgoncino andavano e venivano. Tutto però avveniva nella massima discrezione e quasi sempre di sera: le auto arrivavano e immediatamente sparivano all’interno del cancello automatico. Idem quando uscivano. Non si era mai vista una persona.

Nonostante il freddo di fine gennaio, anche quella mattina Francesco Ratti aveva deciso di sfidare i suoi chili di troppo ed era uscito presto per fare il solito giro dell’isolato con la sua cagnolina, un Cavalier King Charles Spaniel bianco e marrone di nome Pilù. Era un avvocato di un certo successo ormai in pensione, che amava la tranquillità di quella tranquilla zona di Roma.

Passò davanti alla villa e notò che il viavai quel giorno era cominciato fin dalla mattina. Era appena sopraggiunta una grossa Mercedes nera che si era fermata davanti al cancello in attesa che si aprisse. Francesco indugiò un secondo di troppo e, imprevedibilmente, Pilù, una cagnetta in genere molto tranquilla, ebbe un sussulto e si lanciò verso l’ingresso della villa senza che il padrone avesse il tempo di stringere il guinzaglio.

«Pilù, fermati! Vieni qui!».

La cagnetta attraversò il cancello, si fermò davanti alla portiera posteriore sinistra della Mercedes, che intanto si era fermata nello spiazzo antistante al garage, e iniziò ad abbaiare nervosamente. Francesco si avvicinò al cancello per cercare di fermarla e fu in quel momento che vide, per la prima volta, esseri umani in quell’abitazione. Due uomini in soprabito scuro si stavano avvicinando al cane con sguardi poco amichevoli, mentre la portiera si apriva. Uno dei due, una guardia del corpo, la aprì completamente per facilitare l’uscita del passeggero. Un vecchio del tutto calvo e con indosso un elegante cappotto nero e curiosi pincenez scuri, uscì dall’abitacolo proprio davanti a Pilù che smise di abbaiare di colpo. Il vecchio sorrise e con un gesto lento ma risoluto si abbassò fino a prendere il cane in braccio. Pilù non oppose la minima resistenza, come ipnotizzata.

«Sono dispiaciuto», mormorò Francesco avvicinandosi timidamente.

Il vecchio si voltò verso di lui e accarezzando Pilù tra le sue braccia gli si avvicinò. «È proprio una bestiola deliziosa», disse in perfetto italiano ma con un chiaro accento straniero. «Come si chiama?».

Francesco ricambiò il sorriso e rispose con garbo. «Si chiama Pilù e non è mai stata così indisciplinata, domando scusa».

«Oh, ma non fa nulla, sono cani, non possiamo pretendere che seguano la nostra stessa logica, non le pare?»

«Eh, certo, ha ragione», rispose Francesco confuso, ma anche rincuorato.

«Ma sì che è così, non è vero Pilù?», disse il vecchio guardando il cane e continuando ad accarezzarlo. Poi, sempre lentamente, rimise la bestiola a terra. Indietreggiando e senza staccargli lo sguardo di dosso, ritornò accanto al suo padrone.

Francesco afferrò il guinzaglio e le diede un buffetto di affettuoso rimprovero. In quell’istante, la portiera posteriore si aprì e ne uscì una splendida donna con un lungo cappotto bianco, che rimase immobile a fissare la scena.

«Bene, se ora vuole scusarmi, ho bisogno di riposo signor…», disse il vecchio con un sorriso gentile che aveva però un che d’inquietante.

«Oh, mi scusi. Ratti, avvocato Francesco Ratti, abito un paio di isolati più giù».

«Lieto di fare la sua conoscenza, avvocato Ratti, io sono Woland», disse il vecchio con quella sua voce roca.

Francesco si limitò a ricambiare il sorriso, desiderando dileguarsi il più in fretta possibile.

«Camille, ti dispiace accompagnare il signor Ratti al cancello?».

La donna si mosse lentamente. Il suo cappotto bianco ondeggiava a ogni passo, conferendole un aspetto regale ma anche minaccioso.

Francesco si lasciò condurre all’uscita.

«Buona giornata, signor Ratti», sussurrò la donna con voce sensuale, prima che il cancello automatico si chiudesse silenzioso.

Francesco rimase paralizzato per un istante, poi alzò la testa e notò una telecamera piazzata proprio sopra il cancello.

Abbassò lo sguardo e si allontanò, convinto di aver appena visto dei fantasmi.

Al di là del cancello, intanto, Raymond Severus Woland fu raggiunto da Camille che gli porse il braccio. Mentre si avviavano verso la casa, Woland commentò: «Proprio carino quel cane, non trovi Camille?».

La donna, continuando a guardare avanti, annuì. «Certo, dottor Woland».

Giunsero all’ingresso della villa, dove il dottore dai capelli brizzolati, che aveva preceduto Woland con l’altra macchina, attendeva il suo paziente. Il vecchio si girò verso la donna prima d’inoltrarsi nella casa. «Quel cane e il suo padrone sono vivi solo perché non dobbiamo attirare troppo l’attenzione su di noi», disse quasi giustificandosi per la dolcezza inusuale mostrata un attimo prima. Poi, dopo un istante aggiunse: «Lo so che pensi che questa villa non sia l’ideale come base operativa, ma non volevo un alloggio troppo lontano dal nostro obiettivo e poi è così… a tema». Si voltò e, allargando amichevolmente le braccia, si diresse verso il dottore. «Sono nelle sue mani, dottore, mi ringiovanisca».

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