CAPITOLO V
1 Ovidio, Tristia, IV, 1, 4, che spiega così il motivo per cui scrive poemi.
2 Petronio, Satyricon, 128: Encolpio, svenuto, si chiede se i suoi amori non erano che un sogno.
3 Marziale, X, 23, 7, a proposito di un uomo dabbene.
4 Leggi, II, 657d.
5 Seneca, Epistole, 99, contro un lutto ostentato, convenzionale.
6 Ennio, citato da Cicerone, De officiis, I, 24.
7 Cicerone, De senectute, XVI.
8 Orazio, Odi, IV, XII, 27.
9 Cicerone, De senectute, XVIII.
10 Ovidio, Epistulæ ex Ponto, I, 5, 18.
11 Id., Tristia, III, 11, 22, per tacciare di vigliaccheria una domanda di confisca dei suoi beni.
12 Platone tra gli altri, la cui teoria dei “quattro deliri” (cfr. Fedro, 265b) era stata divulgata nel Rinascimento da Marsilio Ficino.
13 Massimiano, Elegie, I, 125, sugli effetti della vecchiaia.
14 Orazio, Epodi, XIII, 5.
15 Sidonio Apollinare, Epistole, I, 9.
16 Buchanan, Baptistes, Prologo, 31.
17 Marziale, VII, 58, 9, a proposito di presunti stoici che ostentano un atteggiamento di gravità.
18 Leggi, VII, 791c.
19 Cfr. Cicerone, Tusculanæ disputationes, III, 15.
20 Ironia sugli adepti ficiniani di Platone che eludevano la questione delle relazioni omosessuali attribuite a quest’ultimo da Diogene Laerzio, III, 29-31 (dove non è citato Fedone, ma Fedro).
21 Cicerone, De finibus, II, 77.
22 Seneca, Epistole, 53.
23 Diogene Laerzio, I, 36, il cui testo è suscettibile di un’interpretazione diversa: Talete si limita a condannare simmetricamente lo spergiuro e l’adulterio.
24 Come Origene fu messo alle strette da questo dilemma, cfr. Niceforo Callisto, Ecclesiasticæ Historiæ, V, 32, che condanna la scelta di Origene (E con peccato, si dice).
25 Plutarco, De curiositate, III, 516f.
26 Sant’Agostino nelle sue Retractationes, su alcuni punti dottrinari; Origene nelle Lettere di san Girolamo (84, 10); Ippocrate ammise di essersi sbagliato su una questione di anatomia, cfr. Plutarco, Quomodo quis suos in virtute sentiat profectus, XI, 82e.
27 Plutarco, Regum et imperatorum apophthegmata, 177b (Archelao).
28 Diogene Laerzio, II, 36.
29 Etica a Nicomaco, IV, 15 (1128b).
30 Distico di Euripide citato da Plutarco, Maxime cum principibus philosopho esse disserendum, II, 778b. Montaigne trascrive la traduzione di Amyot.
31 Lucrezio, I, 21-23.
32 Virgilio, Eneide, IV, 23.
33 Jean Second, Elegie, I, 3, 29. Formula votiva: il poeta dedica la sua vita all’amore.
34 In italiano nel testo. Tasso, Gerusalemme liberata, XII, 63.
35 Giovenale, VI, 196, che reca vox blanda anziché versus: una vecchia innamorata si rivolge al suo amante in greco.
36 Eneide, VIII, 387-392 e 404-406.
37 È descritta qui vicino a Vulcano, suo sposo. Cfr. infra, p. 1617.
38 Cfr. I, XXX, pp. 361 sgg.
39 Cfr. Historia Animalium, X, 5, 636b, dove lo Pseudo-Aristotele afferma che il sincronismo sessuale, ritenuto propizio alla fecondazione, è favorito se l’uomo frena il suo ardore mostrandosi scontroso e freddo nei preliminari.
40 Virgilio, Georgiche, III, 137, dove si tratta delle femmine di animali di allevamento.
41 Plutarco, De vitioso pudore, XIV, 534cd, parla di un giovane rammollito e vile.
42 Erodoto, VI, 60.
43 Tutto il brano deriva da Osorio, Histoire de Portugal, II, 3. Calicut (Kozhikode) è un porto sulla costa sud-occidentale dell’India. Per il paragone con i gondolieri: Montaigne ha potuto vederli a Venezia, dove ha soggiornato dal 5 al 12 novembre 1580 (cfr. Journal).
44 Catullo, LXVI, 79. La sposa, a Roma, veniva portata in processione al lume delle torce.
45 Diogene Laerzio, II, 33.
46 La prima sentenza (homo homini deus est) è di Cecilio, citato da Simmaco, Epistole, IX, 114; la seconda (lupus est homo homini) di Plauto, Asinaria, 495.
47 Massimiano, Elegie, I, 61, che reca Sed mihi…
48 Detto anonimo.
49 Virgilio.
50 Giovenale, VI, 128, che reca et partibus.
51 Secondo Claudio Eliano, Varia Historia, XII, 52, che parla più crudamente di “etère”.
52 È ancora Virgilio.
53 Essi costringono i coniugi ad avere soltanto incontri furtivi. Cfr. Plutarco, Apophthegmata Laconica, 228b (Licurgo); per Platone, Leggi, VIII, 841b.
54 Ovidio, Metamorfosi, III, 323, a proposito di Tiresia, che Zeus aveva trasformato in donna per cinque anni.
55 Procolo, la cui lussuria era proverbiale, secondo il suo storico Flavio Vopisco (Historia Augusta), Vita Proculi, XII, che commenta con disapprovazione, e Messalina, oggetto dei versi che seguono.
56 Giovenale, VI, 129-130.
57 Tale aneddoto, riferito da Nicolas Bohier, Decisiones Burdigalenses, Lyon, 1567, quæstio 317, § 9 (dove la decisione della regina è motivata dal pericolo di morte incorso dalla donna, il che non impedisce a Bohier di stupirsi di fronte alla sua richiesta), si trova anche in vari compilatori del XVI secolo.
58 Secondo Plutarco, Amatorius, XXIII, 769a.
59 Marziale, XII, 97, 10, 7, 11. Rimproveri a un marito esausto a causa dei suoi amori extraconiugali.
60 Diogene Laerzio, IV, 17.
61 Dione Cassio, Vita di Caracalla, qui confuso con Caligola.
62 Herburt de Fulstin, Histoire des Rois de Pologne, VII, 2. Si tratta di Boleslao V il Casto e di sua moglie Cunegonda, santa patrona della Polonia.
63 Léonor, che aveva allora quindici o sedici anni.
64 Faggio. Tale parola richiama come suono il verbo foutre (fottere).
65 Orazio, Odi, III, 6, 21, che reca fingitur artibus (è addestrata a questi usi).
66 Secondo la teoria delle reincarnazioni per espiazione, Timeo, 42c.
67 Virgilio, Georgiche, III, 267, dove si tratta di giumente.
68 Catullo, LXVIII, 125, sull’amore appassionato della giovane sposa Laodamia per suo marito.
69 Orazio, Epodi, VIII, 15 che reca Quid, quod libelli… (Che dire di ciò…).
70 Plutarco, Quæstiones convivales, III, 6, 653e.
71 Inizio di una serie di esempi forniti separatamente da Diogene Laerzio. Nell’ordine: V, 49 (Stratone); V, 43 (Teofrasto); II, 84 (Aristippo); VI, 81 (Demetrio); V, 87 (Eraclide); VI, 15 e 18 (Antistene); VII, 163 (Zenone di Cizio); VII, 175 (Cleante); VII, 178 (Sfero); VII, 187 (Crisippo, i cui scritti il recensore giudica particolarmente scandalosi). L’assemblaggio potrebbe essere opera di un compilatore da cui Montaigne avrebbe attinto.
72 Tertulliano, De pudicitia, I, 16.
73 Cfr. Erodoto, II, 48.
74 Sant’Agostino, Civitas Dei, VII, 24.
75 Probabile allusione al papa Paolo IV, tristemente famoso per i suoi rigori, che fra l’altro incaricò Daniele da Volterra di coprire le nudità negli affreschi michelangioleschi della Cappella Sistina.
76 Ennio citato da Cicerone, Tusculanæ disputationes, IV, 33, contro i ginnasi alla greca.
77 Virgilio, Georgiche, III, 242-244.
78 Timeo, 91b.
79 Platone, Repubblica, V, 452ab, ma il motivo supposto qui non appare in Platone, che affida al magistrato l’incarico di vigilare sulla formazione delle coppie a fini di eugenismo.
80 Cfr. I, XXXVI, nota 8; questa usanza è riportata da Gasparo Balbi, Viaggio dell’Indie orientali, Venezia 1590, f. 126.
81 Dione Cassio, Tiberio, LVIII, 2, 4 (Giovanni Xifilino, 143, 25).
82 Repubblica, V, 457a, dove non si riferisce solo alle donne spartane.
83 Sant’Agostino, Civitas Dei, XXII, 17, con la confutazione: non ci sarà concupiscenza in paradiso.
84 Per esercitare uffici giudiziari, ritenuti redditizi.
85 Orazio, Odi, II, 12, 21-28.
86 San Girolamo che cita Geremia, Lamentazioni, 13, nella Lettera VII a Cromazio, § 19 (Migne, Patrologia Latina, t. XXII, col. 340) o nel libello Adversus Jovinianum, II, IV.
87 Lycosthenes, Apophthegmata, De maledicentia, p. 662.
88 Ovidio, Ars amatoria, III, 93, completato da 90 (Mille licet sumant, deperit inde nihil) nella versione dei Priapea, III, 2, Apologia dell’incostanza.
89 Claudio Eliano, Historia Animalium, VI, 42.
90 Jean Second, Elegie, I, 7, che evoca il libero amore tra i popoli dell’età dell’oro.
91 Particolari tratti o derivati per approssimazione dalle Vite di Plutarco: Lucullo, LXVII; Cesare, XI; Pompeo, LXI; Antonio, XII; Catone, XXXVI.
92 Plutarco, Vita di Pompeo, XXIV.
93 Catullo, XV, 17-19. Allusione al supplizio inflitto all’adultero colto sul fatto.
94 Ovidio, Metamorfosi, IV, 187. Vulcano (il dio del nostro poeta, cfr. la nota seguente) ha esposto al ludibrio degli dèi Marte e Venere abbracciati.
95 Virgilio, Eneide, VIII, 395: seguito del passo citato supra, p. 1571.
96 Ibid., 383, per Enea, figlio di Venere e di Anchise.
97 Ibid., 441.
98 Catullo, LXVIII, 141: il poeta non si avvarrà dell’esempio di Giunone (cfr. più avanti) per dolersi delle infedeltà della sua amante.
99 Platone in particolare, Repubblica, V, 457cd.
100 Catullo, LXVIII, 138-139.
101 Properzio, II, 8, 3: il poeta, tradito, rifiuta qualunque consolazione.
102 Tacito, Storie, IV, 44.
103 Virgilio, Eneide, V, 6: i Troiani prevedono il suicidio di Didone.
104 Erodoto, IV, 1-2, riferisce soltanto che le donne scite avevano approfittato della cecità dei loro schiavi per unirsi a loro in incognito (cfr. la frase precedente), durante una lunga spedizione militare dei loro mariti.
105 Nel suo trattato De vitioso pudore.
106 Odissea, XVII, 347.
107 Catullo, LXVII, 21-22.
108 Marziale, VII, 62, 6, dove si tratta di un omosessuale che si vergogna delle sue tendenze.
109 Ibid., VI, 7, 6, a proposito di una donna che si è risposata più volte.
110 Sant’Agostino, Civitas Dei, I, 18.
111 Lattanzio, Institutiones divinæ, I, 22.
112 Plutarco, De capienda ex inimicis utilitate, VII, 90b.
113 Id., Amatorius, XVI, 760ab.
114 Arriano, Indica, 17.
115 Diogene Laerzio, II, 105, precisa che vi era costretto dai suoi maestri.
116 Secondo il De incertitudine et vanitate scientiarum di Cornelio Agrippa, LXIII, De arte meretricia.
117 Erodoto, I, 94, 196 e 199.
118 Giovenale, VI, 347-348.
119 Plutarco, Ætia Romana et Græca, IX, 266b, con spiegazioni più edificanti.
120 López de Gómara, Histoire générale des Indes occidentales, III, 29, f. 252r.
121 Versi adattati da Lucrezio, VI, 1028 e 1026, dove non si tratta dell’essere cornuti, ma della morte.
122 Catullo, LXIV, 170: lamenti di Arianna, abbandonata su un’isola.
123 Plutarco, De tranquillitate animi, XI, 471b.
124 Secondo Baldassarre Castiglione, Il Cortegiano, III, 25, a proposito dei suicidi autorizzati (e dopo la menzione, nel paragrafo precedente, di quello che Montaigne colloca nell’isola di Ceo, II, III).
125 Alfonso d’Aragona, secondo Lycosthenes, Apophthegmata, De conjugis molestis, p. 178, o Erasmo, Apoftegmi, VIII, 4.
126 Utilizzando come mezzane le leggi restrittive che ne aumentano il prezzo; cfr. II, XV.
127 Plutarco, Vita di Flaminio, XXXIV, dove il paragone si riferisce ai diversi equipaggiamenti dei Siriani.
128 Ovidio, Tristia, IV, 1, 34, che paragona all’ostinazione di un amante la sua personale ostinazione a scrivere, a rischio di essere accagionato.
129 Terenzio, Eunuchus, 813.
130 Lucano, II, 446, dove si tratta di Cesare, che si riterrebbe umiliato di dover ubbidire alle leggi.
131 Virgilio, Eneide, XII, 499.
132 Lucrezio, I, 32-39.
133 Montaigne mescola, forse intenzionalmente, il lessico del passo di Lucrezio citato supra e quello del passo di Virgilio citato a p. 1571; questi due brani erano probabilmente contigui in una prima versione manoscritta.
134 Seneca, Epistole, 33 (dove le due proposizioni sono in ordine inverso), contro l’idea di compilare un florilegio di citazioni di filosofi.
135 Quintiliano, Institutio oratoria, X, VII, 15, dove l’espressione è pectus […] et vis mentis (la convinzione e il vigore intellettuale), con cui il retore esorta il discepolo a rappresentarsi vivamente l’oggetto del discorso (rerum imagines) piuttosto che a cercare le parole.
136 Si tratta probabilmente dello Pseudo-Gallo, Massimiano, spesso citato in questo capitolo.
137 Vita di Demostene, III. Ma l’espressione aggiunta che segue Esse significano più di quanto dicono è tratta da Seneca, Epistole, 59.
138 Neoplatonici e teorici dell’amore. Montaigne possedeva l’edizione veneziana (1549) dei Dialoghi d’amore del primo. Ficino è citato come traduttore e commentatore del Simposio di Platone, dialogo ampiamente diffuso nel XVI secolo in cui è presentata una serie di considerazioni sull’amore.
139 Il dialogo d’amore Gli Asolani di Bembo, cui Montaigne allude qui, era stato tradotto in francese nel 1545 e più volte ristampato nel corso del secolo. Il trattato Della natura d’amore di Equicola era stato tradotto in francese nel 1584.
140 Cfr. Plutarco, Quomodo adulator ab amico internoscatur, XXIV, 65c.
141 Antigenida, secondo Plutarco, Vita di Demetrio, II, da cui è tratto questo aneddoto.
142 Étienne Pasquier, tra gli altri, che afferma di avergli invano rimproverato i suoi tratti guasconi (Lettera a Pelgé, 1619).
143 Claudio Eliano, Historia Animalium, XVII, 25, o Diodoro Siculo, XVII, 90.
144 Diogene Laerzio, VII, 32 e VIII, 6.
145 In italiano nel testo. Montaigne scrive Cappari.
146 Platone, Simposio, 206e.
147 Id., Leggi, VII, 803c, metafora priva di derisione dell’uomo sottomesso alla volontà divina.
148 Claudiano, In Eutropium, I, 23, sulle catastrofi attribuite ai capricci della Fortuna.
149 Espressione proverbiale che dai bestiari medievali passa in testi più tardi e che Montaigne può aver tratta da Philippe Duplessis-Mornay, Vérité de la religion chrétienne, XVI.
150 Orazio, Satire, I, 1, 24, giustificazione del tono umoristico adottato per esprimere qui ciò che l’aggiunta manoscritta presenta come pensieri seri.
151 Plutarco, Quomodo adulator ab amico internoscatur, XXV, 59f.
152 Plinio, V, 15.
153 Zenone di Cizio, stoico; cfr. Diogene Laerzio, VII, 13.
154 L’antecedente è l’uomo, nella frase precedente, del 1588.
155 Plutarco, Ætia Romana et Græca, LII, 277c.
156 Diodoro Siculo, XII, 58.
157 Terenzio, Phormio, 172, rimprovero rivolto a un uomo scontento della sua sorte.
158 Descrizione dei dervisci tratta da Postel, Des histoires orientales et principalement des Turkes, pp. 228-229.
159 Virgilio, Georgiche, II, 511, su alcuni proscritti diventati avventurieri: la citazione è applicata qui a degli anacoreti.
160 Erodoto, IV, 184.
161 Massimiano, Elegie, I, 180, a proposito dei vecchi cui vengono rimproverati i loro piaceri (giochi, canti, feste).
162 Le regole codificate dall’uomo, il diritto positivo distinto dal diritto naturale.
163 Virgilio e Lucrezio (cfr. le citazioni delle pp. 1571 e 1617).
164 Plutarco, De curiositate, III, 516e.
165 Ovidio, Amores, I, 5, 24, dopo la descrizione di una parvenza di sforzo da parte della bella per tenere la tunica: giochi erotici interrotti dall’annuncio diretto dell’amplesso.
166 Citato da Aristotele, Etica a Nicomaco, III, 13 (1118a).
167 Catullo, LXIV, 147, lamenti di Arianna abbandonata da Teseo.
168 Diogene Laerzio, VII, 130, ma con una spiegazione del tutto diversa (la donna l’aveva in avversione), al fine di mostrare la priorità del consenso in amore (cfr. infra, p. 1635).
169 Cfr. Senofonte, Memorabili, I, 3, 11-12.
170 Marziale, VII, 95, 10-11 e 14, che reca al v. 14 cunnilinguis, cui Montaigne sostituisce, secondo la logica del paragone, un oggetto di disgusto.
171 Valerio Massimo, VIII, 11, ext. 4.
172 Erodoto, II, 89.
173 Ibid., V, 92.
174 Scherzi simili, ma burlandosi di Endimione, si trovano in Cicerone, Tusculanæ disputationes, I, 38.
175 Marziale, XI, 104, 12, che preferisce una donna brutta ma piena di ardore a una bella ma frigida (Absentem…); cfr. ibid., XI, 60, 8, recriminazione contro l’inerzia di sua moglie.
176 Catullo, LXVIII, 147-148.
177 Tibullo, I, 6, 35.
178 Tito Livio, XXXIV, 4, 19, discorso di Catone su una legge che limita il lusso vestimentario.
179 Ovidio, Amores, III, 4, 13-14.
180 Erodoto, IV, 117.
181 Diogene Laerzio, II, 69, a proposito di Aristippo.
182 Simposio, 184a.
183 Seneca, Epistole, 95.
184 Diodoro Siculo, XVII, 77, più prossimo di Quinto Curzio Rufo, VI, 5. Plutarco, Vita di Alessandro, LXXIX, ritiene che questo aneddoto sia inventato di sana pianta.
185 Venere.
186 Secondo Lavardin, che spiega il fatto anche come un complotto dei parenti della regina, Histoire de Scanderbeg, f. 383v.
187 Leggi, XI, 925a.
188 Marziale, VII, 58, 3, dove un libertino che trova i suoi amanti non abbastanza virili riceve il consiglio di andare a cercare tra gli stoici (cfr. l’altra citazione dello stesso epigramma, p. 1561).
189 Catullo, LXVII, 27-28.
190 Poiché l’inadempienza sessuale è un caso di annullamento del matrimonio, perché non dovrebbe annullare anche una relazione amorosa extraconiugale, e ciò in proporzione all’ardore che in essa si esige?
191 Virgilio, Georgiche, III, 127, dove si tratta dello stallone, che occorre ben nutrire per evitare che… (ne blando…).
192 Orazio, Epodi, XII, 15-16. Invettive di una donna gelosa: “Inochia, la prendi tre volte per notte, con me invece…”
193 Id., Odi, II, 4, 22-24, dopo aver lodato la bellezza della compagna dell’amico.
194 Virgilio, Eneide, XII, 67-69, a proposito del viso della giovane Lavinia.
195 Ovidio, Amores, I, 7, 21: l’amante ha appena colpito la sua bella.
196 Priapea, LXXX, 1 e VIII, 4-5.
197 Quinto Tullio Cicerone, De petitione consulatus, XIV, dove si tratta degli elettori di cui il candidato deve conciliarsi il favore.
198 Théodore de Bèze, Juvenilia, epigramma Ad quamdam, LXXIV. Teologo con funzioni pastorali, questo protestante fa parte secondo Montaigne degli uomini di chiesa dei nostri, diversamente dai pagani, più liberi nei loro costumi e nel loro linguaggio. Ma l’aver citato Bèze, considerato eretico, fu una delle accuse rivolte a Montaigne dai censori romani. Cfr. la nota 4 a I, LVI.
199 Mellin de Saint-Gelais, abate cappellano di corte e poeta. Il verso citato figura nel suo Rondeau sur la dispute des vits par quatre dames, che confrontano i loro criteri di valutazione sul membro virile.
200 Catullo, LXVIII, 145, che reca Sed furtiva dedit mira… Nel testo francese, la frase si sviluppa prima e dopo la citazione da dove può venire quell’abuso […] e un’autorità maritale?
201 Questo mio comportamento, che mi accingo a descrivere, è opposto al codice della galanteria attuale.
202 Nessuno, nei suoi rapporti, ha corso più a sproposito il rischio di procreare (cfr. la frase a p. 822, sulla natura come la mia, che pecco in rapidità, ostacolo alle pratiche anticoncezionali dell’epoca). La frase indica, come tra parentesi, il motivo della riserva evocato supra (In considerazione del loro onore) e presentato di seguito come conforme alla buona regola dell’amore cortese.
203 Orazio, Odi, I, 5, 13-16, dopo l’evocazione di una ex amante, che riserverà i suoi umori collerici a un altro.
204 Terenzio, Eunuchus, 61-63.
205 Seneca, Epistole, 95; questa citazione sembra aggiunta qui come un’obiezione, forse in modo da suggerire che la sensualità, così praticata, non è un vizio.
206 Ibid., 116.
207 Cioè confutare con l’esempio, cfr. Plutarco, Apophthegmata Laconica, 209f (Agesilao).
208 Giovenale, III, 26, dove il poeta pensa di espatriare finché ne ha la forza.
209 Cfr. Senofonte, Simposio, IV, 27-28, testo ricomposto.
210 Ripresi da Senofonte, Memorabili, I, 3, 6, e da Lucrezio, IV, 1063-1074.
211 Orazio, Epodi, XII, 19-20.
212 Id., Odi, IV, 13, 26, dove si tratta di una vecchia vanitosa.
213 Bione, cfr. Diogene Laerzio, IV, 47.
214 In italiano nel testo. Montaigne annota quest’uso dei mendicanti italiani nel Journal, alla fine del soggiorno a Bagni di Lucca, nel giugno 1581.
215 Senofonte, Ciropedia, VII, 1, 13.
216 Marziale, X, 110, 10 (Noli [non strappare]: si tratta delle depilazioni di una vecchia civettuola).
217 Anabasi, II, 6, 28.
218 Svetonio, VII, 22.
219 Ovidio, Epistulæ ex Ponto, I, 4, 49, alla moglie rimasta a Roma, invecchiata dal dispiacere.
220 Diogene Laerzio, IV, 34, con un’espressione più ironica.
221 Orazio, Odi, II, 5, 21-24.
222 Protagora, 309a.
223 Plutarco, Amatorius, XXIV, 770c. Come questi tirannicidi, i primi peli della barba degli adolescenti liberano gli innamorati dalla tirannia dell’amore.
224 Orazio, Odi, IV, 13, 9, lamento di una donna anziana.
225 Heptameron, novella XXXV, inizio.
226 Espressione di san Girolamo, che presenta come segno di affetto il disordine della sua lettera a Cromazio, § 21 (Migne, Patrologia Latina, t. XXII, col. 341).
227 Dei vecchi moralisti e teorici dell’amore.
228 Cioè le donne.
229 Cfr. Platone, Simposio, 218e: lo scambio dei vantaggi fisici contro la (ri)generazione spirituale che il sapiente procura ai suoi discepoli.
230 Repubblica, V, 468bc.
231 Virgilio, Georgiche, III, 98-100.
232 Catullo, LXV, 19-24.
233 Repubblica, V, 454e e 455d.
234 Diogene Laerzio, VI, 12.
Postilla. Il titolo, riferendosi ad un’evocazione poetica dell’amplesso, frappone un atto di linguaggio tra la meditazione, o la fantasticheria, e il suo oggetto. In effetti, non appena al termine di un preambolo tutto intriso di nostalgia lo scrittore dichiara di affrontare il suo tema (p. 1567), menziona l’atto genitale per notare subito la censura che ne proibisce l’espressione diretta, e per eludere questa censura grazie al potere evocativo dei versi di Virgilio (p. 1571) e di quelli di Lucrezio (p. 1617) che dovevano essere contigui in una prima redazione (cfr. la nota 133 di p. 1617); con un commento insistito attribuisce a questo tipo di linguaggio la sua verità propria, e l’assume (dico che è pensar bene, ibid.). Nella prosaicità saggiata in seguito (p. 1625), denuncia l’espressione triviale di una ripugnanza contro-natura nei confronti del piacere e della procreazione, e la condanna (pp. 1627-1629). Ritornato dunque al linguaggio poetico e alle sue allusioni, che aggirano i divieti verbali a beneficio della seduzione (pp. 1631-1635, cfr. II, XV, p. 1135), ne trae argomento per un elogio dei giochi galanti e, più profondamente, delle astuzie ed esigenze del desiderio, femminile come maschile, ritenuto legittimo nonostante la riprovazione sociale, filosofica o religiosa. A fronte, gli infortuni del declino, evocati con amarezza (p. 1645), accompagnati da qualche massima malinconica (pp. 1653, 1657); poi, con improvvisa diversione, la giustificazione (p. 1659) degli artifici della fantasticheria, attiva in queste pagine fin dall’inizio (pp. 1569-1571), e un ultimo elogio degli amori giovanili, associati da una citazione di Catullo al fiume di chiacchiere (pp. 1663-1665) che si è dato libero corso nel capitolo: il saggio della parola erotizzata è evocazione e acquiescenza. Ma la configurazione del testo si complica quando vi si inserisce, grazie a un’annotazione incidentale sulla Venere maritale descritta da Virgilio (p. 1571), una lunga disamina dei rapporti tra coniugi (e specialmente della castità imposta alle donne), prolungata (p. 1599) dalla critica della gelosia che li avvelena. Si disegna allora nell’insieme una concatenazione a contrasto: da una parte le relazioni di mutua soggezione, nel matrimonio, intese come appropriazione dell’altro e per ciò stesso snaturate; dall’altra il libero accordo (p. 1649) degli amori galanti, accordo di seduzione reciproca rispettato senza obblighi, se non la sincerità fino nell’incostanza (ibid.). In queste considerazioni etiche affiora l’antico codice dell’amore cortese, che opponeva la libertà del desiderio alle leggi e ai vincoli del matrimonio. Le aggiunte manoscritte non modificano la struttura del testo, ma ne mettono in risalto alcune inflessioni (particolarmente pp. 1627-1631, la protesta contro il disprezzo della sessualità); due di esse, di orientamento riflessivo, ne sottolineano l’audacia, fingendo di giustificarla con il motivo della confessione (pp. 1563-1567) o del rifiuto dei falsi pudori (pp. 1647-1649), scuse alla fine revocate per far emergere la semplice volontà di dire il desiderio e il piacere, all’occorrenza col pretesto di biasimarli, e di dilettarsi nel ricordo dei passati errori giovanili (p. 1555).
CAPITOLO VI
1 Lucrezio, VI, 703. Esempio: delle quattro spiegazioni possibili delle inondazioni del Nilo, ce n’è senz’altro una vera, e una sola, dato che ogni fenomeno ha una causa naturale, ma non si sa quale: bisogna dunque proporle tutte.
2 A causa dell’attribuzione erronea dei Problemi, XXXIII, 9, che per altro si limita a graduare questi indici di volgarità.
3 Ætia physica, XI, 914ef.
4 Seneca, Epistole, 53.
5 Platone, Simposio, 221ab.
6 Tito Livio, XXII, 5.
7 Diogene Laerzio, X, 117
8 Secondo Calcondila, VII, 7.
9 Quella dei Merovingi.
10 Questi esempi, forniti da Plutarco (Vita di Antonio, XIII), Lampridio (Eliogabalo, 27-28) e Vopisco (Firmus, 6), sono attinti da Crinito, De honesta disciplina, XVI, 10.
11 Isocrate, Discorso a Nicocle, 19.
12 Non ancora capo della famiglia, cioè fino alla morte del padre.
13 Demostene, Olintiache, III, 10-11.
14 Cicerone, De officiis, II, 16.
15 Ibid. Lo scritto da cui Cicerone trae la citazione è perduto.
16 Cfr. il Journal alla data 29 dicembre 1580, dove Montaigne, tessendo l’elogio del papa, lo chiama grand batisseur (gran costruttore).
17 Caterina de’ Medici.
18 Cominciato nel 1578 su ordine di Caterina de’ Medici, fu ultimato solo nel 1606.
19 Plutarco, Vita di Galba, XX.
20 Cicerone, De finibus, V, 6.
21 Plutarco, Regum et imperatorum apophthegmata, 176b (Dionigi).
22 Verso di Corinna citato da Plutarco, De gloria Atheniensium, IV, 348a, e ripreso da Giusto Lipsio nel De amphiteatro, che Montaigne utilizza più avanti, pp. 1679-1683.
23 Cicerone, De officiis, II, 15: Montaigne coordina le due frasi, separate nel contesto originale.
24 Senofonte, Ciropedia, VIII, 2, 15-19.
25 Cicerone, De officiis, I, 14, sulla distribuzione dei beni dei proscritti da parte di Silla e di Cesare.
26 Ibid., II, 15.
27 Questa evocazione degli spettacoli della Roma imperiale è attinta dal De Amphiteatro di Giusto Lipsio.
28 Calpurnio, Egloghe, VII, 47.
29 Giovenale, III, 153, a proposito di un arricchito, citato da Giusto Lipsio per attestare l’uso di cuscini (pulvinus) sui gradini riservati alle classi superiori.
30 Calpurnio, Egloghe, VII, 69-72 e 64-67. I “cavalli marini” sono gli ippopotami.
31 Marziale, XII, 29, 15: Ermogene è un ladruncolo di biancheria.
32 Calpurnio, Egloghe, VII, 53.
33 Orazio, Odi, IV, 9, 25-28: …carent quia vate (in assenza di un poeta che li celebri).
34 Lucrezio, V, 326-327. In realtà, per confutare l’ipotesi dell’eternità del mondo, il poeta chiede: se si ammette che il passato non ha limite, cur supera bellum… (perché non c’è stato, prima di Troia…). Montaigne piega il testo in senso inverso.
35 Platone, Timeo, 22b-23b.
36 Cicerone, De natura deorum, I, 20. A parlare è un epicureo, che confuta l’ipotesi di un dio creatore o demiurgo, cuius operam non desideraretis, si… (non ne avreste bisogno, se poteste vedere…). Montaigne cambia la prospettiva e modifica la fine del testo citato, che reca infinita vis innumerabilium volitat atomorum (una quantità infinita di atomi innumerevoli in esso volteggia).
37 Lucrezio, II, 1150, che reca adeo fracta est, con lo stesso senso.
38 Ibid., V, 330-334.
39 Attinto da López de Gómara, che descrive dettagliatamente i palazzi e i giardini di Montezuma in Messico, Histoire générale des Indes occidentales, V, 13, f. 322.
40 Ibid., III, 19, ff. 234v-235. Lo storico riferisce l’essenziale delle risposte degli Indiani, che situa a “Cenu”, sulla costa meridionale, ma aggiunge che il loro villaggio fu saccheggiato e molti di loro uccisi o catturati.
41 Cfr. I, XXXI.
42 López de Gómara, Histoire générale des Indes occidentales, V, 7, f. 231 (morte di Ataliba).
43 Id., Historia di Don Ferdinando Cortes, Venezia, Franceschini, 1576, III, 6, ff. 211-212. Lo storico spagnolo, cui si fa allusione più avanti (Noi abbiamo questi resoconti da loro stessi), accusa tuttavia Cortez di crudeltà e di cupidigia, prima di presentare le sue giustificazioni.
44 I due Diego Almagro, padre e figlio, furono condannati a morte dai Pizarro per ordine di Carlo V, che fece poi condannare a sua volta anche Gonzales Pizarro.
45 Filippo II.
46 López de Gómara, Histoire générale des Indes occidentales, II, 75, f. 158r.
47 Ibid., V, 86, f. 439v.
48 Ibid., 6, ff. 312-313.
Postilla. Tra questi discorsi dal carattere discontinuo, i più insistiti si riferiscono da un lato alle prodigalità dei principi (pp. 1675-1679), dall’altro alla devastazione del Nuovo Mondo (pp. 1691-1697), definendo e condannando le politiche gemelle, dello spreco e della depredazione omicida. Ma tra le due requisitorie trova spazio l’evocazione degli spettacoli dell’antica Roma (pp. 1681-1683), macchinose scenografie per carneficine, in cui si mescolano lusso, metamorfosi e distruzione; e proprio una meditazione sul flusso e le vicissitudini del mondo (p. 1685) introduce il tema del crollo degli imperi amerindi riassunto dall’ultima immagine, quella dell’inca buttato giù dal suo trono mobile, su sfondo di massacri (p. 1699). Questo tema di un mondo traballante è designato dal titolo enigmatico: i cocchi, che servono da pretesto iniziale alle considerazioni sul lusso, sono dapprima presentati come sedia traballante (p. 1671), base che sfugge, occasione di un’esperienza intima dell’instabilità, fino alla nausea. Lo scrittore si dà come regola di combattere contro questo malessere, forse come Socrate lotta contro la paura considerando e giudicando il pericolo (p. 1669); in effetti, nell’organizzazione del capitolo, finisce per lasciare sullo sfondo le immagini delle fluttuazioni dell’universo per identificare le cause storiche del disastro costatato, e condannare i responsabili. L’aspetto duplice del testo, saggio di lucidità su una tematica di vertigine, potrebbe avere come emblema a contrasto le parole degli Indiani citate nelle ultime pagine: un discorso razionale che confuta punto per punto i pretesti della conquista (pp. 1691-1692, con rimando al capitolo Dei cannibali, I, XXXI), e un mito in cui la rovina della civiltà azteca diventa una minaccia della fine del mondo (pp. 1697-1699).
CAPITOLO VII
1 Cfr. Plutarco, Vita di Cesare, XIII.
2 Il paragone si trova nel De finibus di Cicerone, II, 20, che proclama la superiorità di Regolo, anche rispetto alla felicità, sull’epicureo Balbo.
3 Sia che lo eserciti sia che lo subisca.
4 Erodoto, III, 83.
5 Il dialogo di Buchanan, De jure regni apud Scotos (Edinburgh, 1579), che subordina l’autorità dei re a quella della legge, e il libello di Blackwood in risposta a quest’opera, Adversus Georgii Buchani dialogum, De jure regni apud Scotos, pro regibus apologia (Poitiers, 1581).
6 Si tratta di Crisone, celebre atleta; cfr. Plutarco, Quomodo adulator ab amico internoscatur, XVI, 58f.
7 Iliade, V, 336-342.
8 Perché la mancanza e il bisogno sono condizione dei progetti e dell’azione.
9 Cfr. Tacito, Annali, II, 83, dove un omaggio postumo all’eloquenza di Germanico viene moderato da Tiberio, senza tuttavia allusione al servilismo dei senatori.
10 Plutarco, Quomodo adulator ab amico internoscatur, IX, 53d, poi (gli adulatori di Dionigi) 54a, e (poiché il sovrano odiava sua moglie) 54b, e per finire (Mitridate) XIV, 58a.
11 Crinito, De honesta disciplina, XII, 2, citando Elio Sparziano, Vita Hadriani, XIV.
12 Id., citando Macrobio, Saturnalia, II, 14.
13 Plutarco, De tranquillitate animi, XII, 471e.
Postilla. Singolarmente conciso, il capitolo insiste su una sola forma di svantaggio della grandezza (è questo, p. 1705): il principe è escluso da tutte le relazioni (di rivalità, di confronto ecc.) che presuppongono l’uguaglianza dei disputanti, il che lo priva nei rapporti fra gli uomini di quanto vi è di più piacevole (ibid., cfr. anche il capitolo seguente, p. 1711), e finisce per isolarlo dalla comunità umana (p. 1707). Si riconosce qui l’immagine in negativo dei rapporti fraterni celebrati nel capitolo Dell’amicizia (I, XXVIII) e postulati nel Discours de la Servitude volontaire, centro assente del primo libro. In virtù dell’effetto speculare così ottenuto tra i “centri” simmetrici – I, XXVIII-XXIX (virtuale) e III, VII –, Montaigne iscrive nel 1588 nell’armatura dei Saggi la sua istanza di uomo che detesta il dominio, e attivo e passivo (p. 1703): relazioni libere tra pari.
CAPITOLO VIII
1 Platone, Leggi, XI, 934a.
2 Orazio, Satire, I, 4, 109, che cita gli ammonimenti di suo padre.
3 Plutarco, Vita di Catone il Censore, XVII.
4 Id., Vita di Demetrio, II.
5 Cicerone, De finibus, I, 8, cui fa seguire neque cum iracundia aut pertinacia.
6 In francese Mais je romps paille, che esprime una rottura; qui se tient si haut à la main, termine d’equitazione, usato per un cavallo che leva la testa troppo in alto e disdegna le sollecitazioni dello scudiero.
7 Plutarco, De vitioso pudore, XVIII, 536b.
8 Repubblica, VII, 539bd.
9 Seneca, Epistole, 59, che annovera tra i piaceri vani una cultura letteraria senza valore edificante.
10 Cicerone, De finibus, I, 19, nel riferire l’opinione di Epicuro sulla dialettica.
11 Seneca, Epistole, 33.
12 Il primo è la caricatura, il secondo il modello della sofistica. Cfr. gli eponimi dialoghi di Platone.
13 Lattanzio, Institutiones divinæ, III, 28, con il medesimo riferimento a Democrito.
14 Mettre dedans (mettere dentro), nella corsa all’anello: infilare la lancia nell’anello.
15 Cfr. Platone, Simposio, 215d.
16 Eraclito. Cfr. I, L, p. 541.
17 Diogene Laerzio, I, 108.
18 Riferito da Plutarco, De recta ratione audiendi, VI, 40d. Più avanti è riportato il precetto di Alcibiade, che Montaigne ha evocato in precedenza, ma che Plutarco attribuisce agli efori di Sparta.
19 Antico proverbio citato da Erasmo, Adagi, III, 4, 2 (con Crepitus e personali riserve su bene).
20 Terenzio, Andria, 693, che reca si hic (se egli), poiché il verso si riferisce a un uomo.
21 Platone, Gorgia, 480c.
22 Ciò attraverso cui noi giudichiamo da noi stessi in prima istanza, prima dell’intervento della riflessione. Cfr. II, XII, pp. 1085 sgg.
23 I sostenitori della religione riformata, ostili al culto delle immagini e al cerimoniale cattolico.
24 Giovenale, VIII, 73-74.
25 Platone, Repubblica, VI, 495c.
26 Claudiano, In Eutropium, I, 303-306.
27 Plutarco, Quomodo adulator ab amico internoscatur, XV, 58d.
28 Marziale, VIII, 15, 8, in omaggio a Domiziano, che conosce la gratitudine dei suoi sudditi.
29 Plutarco, Regum et imperatorum apophthegmata, 172d.
30 Virgilio, Eneide, III, 95, dove il verbo è al futuro, invenient: è una profezia rassicurante.
31 Orazio, Odi, I, 9,I I9, dopo aver esortato alla tranquillità.
32 Pur considerando decisiva solo la fase finale del gioco (catastrophe [conclusione]), che è determinata dal caso.
33 Virgilio, Georgiche, I, 420-422, a proposito degli animali il cui comportamento cambia secondo le condizioni climatiche.
34 Tucidide, III, 37, espressione attribuita a Cleone, sostenitore di una politica brutale.
35 Plauto, Pseudolus, 679: il furfante si rallegra di avere ottenuto dalla sorte i mezzi per ingannare il prossimo.
36 Ci si serviva ai tempi di Montaigne, per contare, di gettoni posti su un abaco; nelle operazioni aritmetiche i gettoni venivano spostati ora in alto ora in basso.
37 Plutarco, De recta ratione audiendi, VII, 41d.
38 Diogene Laerzio, VI, 8.
39 López de Gómara, Histoire générale des Indes occidentales, II, 77, f. 160v.
40 Cicerone, De officiis, I, 41, in materia di morale.
41 Metafora tratta dal gioco della dama: si soffia la pedina che l’avversario non ha saputo usare come doveva.
42 Cfr. Diogene Laerzio, II, 95.
43 Senofonte, Ciropedia, III, 3, 50-51.
44 Plutarco, Vita di Licurgo, LIII-LIV.
45 Probabile allusione a Francesco di Borbone, conte d’Enghien, ucciso per incidente durante un gioco, nel 1546, e a Enrico II, morto in un torneo nel 1559.
46 Ovidio, Tristia, I, 7, 29.
47 In realtà Commynes (III, 12) non si attribuisce questo pensiero, ma dichiara di averlo udito esprimere da Luigi XI che gli citò l’autore dal quale lo aveva tratto.
48 Tacito, Annali, IV, 18.
49 Epistole, 81, dove questo tipo di ingratitudine è tacciato di furor (rabbia).
50 Quinto Tullio Cicerone, De petitione consulatus, IX, dove satisfacere non significa “sdebitarsi”, come interpreta Montaigne, ma “giustificarsi”: ossia non c’è amicizia possibile quando ci si sente oggetto di sospetto.
51 È probabile che Montaigne alluda qui a uno dei tre figli del marchese de Trans, cfr. I, XIV, nota 47.
52 Cfr. Tacito, Annali, IV, 32-33 e XVI, 16.
53 Id., Storie, II, 38.
54 Id., Annali, VI, 6; questa lettera mirava a discolpare uno dei suoi agenti e Tacito (come Svetonio, III, 67) presenta l’esitazione dell’imperatore (accentuata dal giuramento “che gli dèi mi puniscano, se so ciò che devo scrivervi”) come un segno di imbarazzo e di rimorso.
55 Ibid., XIII, 35.
56 Tacito, Storie, IV, 81.
57 Quinto Curzio Rufo, IX, I.
58 Tito Livio, I, 6, a proposito delle leggende, le poeticæ fabulæ, e VII, 6, a proposito della tradizione, la fama rerum.
59 Ibid., XLIII, 13.
Postilla. Come dal titolo, il capitolo tratta delle regole da osservare nella discussione, concepita come certame intellettuale (pp. 1711-1715, cfr. il capitolo precedente); e anzitutto della pertinenza degli enunciati, principio dell’ordine che nella concezione di Montaigne significa fedeltà all’oggetto del dibattito (p. 1717), e non richiede né scienza (che si presume inaccessibile, pp. 1721-1723), né abilità retorica (ridicolizzata insieme ad altre forme di cavillosità): si tratta semplicemente di non perdere di vista la questione e di discostarsene solo per interrogarsi sul modo di investigazione prescelto. Secondo questi criteri, non ulteriormente precisati, Montaigne propone di valutare le attitudini dell’interlocutore sul modello della discussione socratica, a prescindere dal prestigio sempre abusivo del sapere, dell’autorità o del successo (pp. 1729-1737); suggerisce in definitiva un tipo di dialogo più simile all’esame che al dibattito filosofico (pp. 1739-1741), avente come unico scopo di rivelare le incompetenze; l’aspetto conflittuale è sottolineato da un accostamento incidentale con gli scambi di motti pungenti e gli sport di combattimento (p. 1743). La coerenza dell’insieme appare soltanto nell’ottica dell’intento riflessivo annunciato fin dalle prime pagine, in cui si tratta di biasimare (p. 1713) se stesso per la propria eccessiva irritazione di fronte alla stoltezza, e definito poi con maggiore insistenza dopo la satira dei cattivi disputanti (Or dunque…, p. 1723). L’intolleranza che Montaigne si rimprovera è denunciata (per via di saggio) in questa stessa satira e nelle ricette date per sconcertare gli interlocutori pretenziosi. Ma il seguito del capitolo ne mette in luce il rovescio positivo: un sussulto dello spirito critico contro le autorità usurpate (Io ho in odio ogni sorta di tirannia, e quella a parole, e quella di fatto, p. 1729) che legittima l’impazienza stessa, come volontà di emancipazione. Le ultime pagine estendono agli scritti il programma di valutazione; Montaigne vi pone incidentalmente la questione del valore dei Saggi (p. 1745), come per invitare il lettore a esaminarli a sua volta (distinguendone i prestiti, cfr. III, V, pp. 1621-1623); poi presenta, a proposito dei prestiti, una serie di apprezzamenti su Tacito, scelto forse a motivo delle controversie di cui era stato oggetto (cfr. II, XIX, p. 1239), per dar materia a un saggio del giudizio operante nella lettura: quest’ultima risulterebbe dunque un sostituto della conversazione (cfr. I, XXVI, pp. 281-283, e il presente capitolo, p. 1723, E ogni giorno mi diverto a leggere certi autori…).
CAPITOLO IX
1 Allusione alla sentenza dell’Ecclesiaste (1, 2), Vanitas vanitatum et omnia vanitas.
2 Tipo di vile secrezione che il medico deve esaminare per trarne una diagnosi sulle condizioni del malato. La metafora svilisce il testo, ma lo presenta come oggetto di investigazioni sul pensiero che lo produce.
3 Tratto da Seneca, Epistole, 88, mediato da Bodin (che confonde Didimo con Diomede). La grammatica, fissando le condizioni dell’espressione verbale, ha a che fare con il primo articolarsi della lingua; la retorica, la filosofia ecc., con lo scilinguagnolo, cioè l’uso effettivo della lingua.
4 Pitagora imponeva ai suoi discepoli lunghi periodi di silenzio. Cfr. Giamblico, Pitagora, XVII, 72; Diogene Laerzio, VIII, 10.
5 Il futuro imperatore, in un’epoca in cui temeva di attirare l’attenzione di Nerone (Svetonio, VII, 9).
6 Allusione ai numerosi libelli e scritti satirici nati dalle guerre di religione.
7 Plutarco, De recta ratione audiendi, X, 43b.
8 Potrebbe trattarsi di Michel de l’Hospital, autore di leggi restrittive sul lusso vestimentario e culinario, nonché di riforme giudiziarie.
9 Cfr. Erodoto, VII, 209.
10 Ciropedia, I, 6, 3, il cui ragionamento è che occorre conciliarsi in anticipo il favore degli dèi.
11 Frammento di Petronio.
12 Orazio, Odi, III, 1, 29-32, dove questi inconvenienti inducono a cercare la quiete nella frugalità.
13 Lucrezio, V, 215, per mostrare che la natura non si preoccupa particolarmente dell’uomo.
14 Aneddoto di un romano che spiegava così che sua moglie gli era insopportabile, nonostante la sua bellezza; cfr. Plutarco, Vita di Paolo Emilio, VII.
15 Cicerone, Paradoxa, VI, 3, Solo il saggio è ricco.
16 Di colui che spendeva per proprio conto, mentre la moglie, da parte sua, faceva altrettanto, si diceva che “la sua candela bruciava alle due estremità”.
17 Léonor, l’unica sopravvissuta degli eredi di Montaigne.
18 Cornelio Nepote, XIX, 1.
19 Diogene Laerzio, VI, 88.
20 Seneca, Epistole, 13.
21 Lucrezio, I, 313, per spiegare l’azione degli atomi invisibili.
22 Virgilio, Eneide, V, 720, a proposito di Enea posto di fronte a un’alternativa dolorosa.
23 Diogene Laerzio, VI, 54.
24 Virgilio, Egloghe, II, 71, consiglio che un innamorato deluso rivolge a se stesso.
25 La nostra condotta e condizione individuale: Michel, nome di Montaigne, indica l’individuo in opposizione a l’uomo, concetto astratto che definisce il genere.
26 Orazio, Odi, II, 6, 6-8.
27 Cicerone, De amicitia, 19.
28 Diogene Laerzio, III, 23.
29 Seneca, Epistole, 3.
30 Cicerone, Paradoxa, V, 1, dove, per provare che “solo il saggio è libero”, qualunque sottomissione alle passioni è assimilata alla schiavitù. Il testo è sollecitato qui in direzione della reciproca: non c’è altra schiavitù che la sottomissione alle passioni.
31 Diogene Laerzio, VI, 87-88, imputa questa scelta alle sue convinzioni di filosofo cinico.
32 Sottolinea la forza dell’impressione sensibile, che prevale sull’intelletto. Cfr. Lucrezio, II, 434, Tactus enim, tactus, pro divum numina sancta, con commento di Montaigne al margine: Exclamation de la force de l’attouchement.
33 Orazio, Epistole, I, 5, 23-24.
34 Lettera IX ad Archita, 357e.
35 Esistere solo in rapporto agli altri e non per se stessi.
36 Giovenale, XIII, 28-30.
37 Virgilio, Georgiche, I, 505, sulle guerre civili che fecero seguito alla morte di Cesare.
38 Id., Eneide, VII, 748, a proposito del popolo selvaggio arruolato nell’esercito di Turno, contro Enea.
39 Plutarco, De curiositate, X, 520b, non dice nulla delle regole in vigore a Poneropolis, “la città dei malvagi”.
40 Creatori di generazioni senza passato, uscite da pietre (Pirra) o da denti di drago (Cadmo); cfr. Ovidio, Metamorfosi, I, 399, e III, 405.
41 Plutarco, Vita di Solone, XXIII.
42 Sant’Agostino, Civitas Dei, VI, 4, che accusa il teologo pagano di impostura.
43 Versi tratti dalla raccolta di Quatrains di Guy de Pibrac, magistrato e umanista (Tolosa 1529 - Parigi 1584). Inviato da Caterina de’ Medici al Concilio di Trento, vi denunciò apertamente gli abusi del clero. Fu poi mediatore della pace stipulata nel 1576 tra cattolici e protestanti. Compose anche varie opere di politica.
44 Paul de Foix, consigliere del re Enrico III e ambasciatore in Scozia, in Inghilterra, a Venezia e a Roma. Montaigne gli aveva dedicato, nel 1570, la sua edizione dei versi francesi di La Boétie. Morì nel 1584.
45 Cicerone, De officiis, II, 1, riferito a Cesare e ai suoi sostenitori.
46 Tito Livio, XXIII, 3.
47 Orazio, Odi, I, 35, 33-38.
48 Terenzio, Adelphœ, 761-762.
49 Repubblica, VIII, 546a, sentenza riferita al regime aristocratico e accompagnata dalle cause possibili dell’alterazione di quest’ultimo, enumerate qui da Montaigne, ma come insufficienti.
50 Cfr. Plutarco, Consolatio ad Apollonium, IX, 106b, che attribuisce queste parole a Socrate.
51 Plauto, Captivi, 22.
52 Discorso a Nicocle, VII, 26.
53 Lucano, I, 82, in un discorso destinato a mostrare che Roma può essere distrutta solo da se stessa.
54 Ibid., 138, dove si paragona Pompeo a una vecchia quercia.
55 Virgilio, Eneide, XI, 422, che reca sunt illis sua funera (hanno i loro lutti), parole di Turno per mostrare che anche i nemici sono provati dalla guerra.
56 Poiché sono abolite le differenze da cui si potrebbe riconoscere la malattia di una nazione particolare, e perché la conformità delle collettività, anche nel male, si oppone alla loro dissoluzione.
57 Orazio, Epodi, XIII, 7-8.
58 Ibid., XIV, 3-4.
59 Quinto Curzio Rufo, VII, 1, 8-9.
60 La professione militare, naturalmente; cfr. più oltre la citazione di Quintiliano.
61 Cicerone, Academica, II (Lucullus), 4.
62 Da Cicerone, nel Brutus, LX.
63 Quintiliano, Institutio oratoria, XI, 1, 33.
64 Il libro III dei Saggi.
65 L’arricchimento dei Saggi per aggiunte successive permetteva al tipografo di approfittare di un nuovo privilegio per ogni edizione.
66 Cicerone, Academica, II (Lucullus), 22.
67 Si ignora a chi Montaigne faccia allusione.
68 Per quanto riguarda questa affermazione di Montaigne (e tutte le precedenti a partire dal capoverso Lascia correre ancora, lettore… a p. 1789), il suo valore e i suoi limiti e, più in generale, la questione della stratificazione e delle correzioni dei Saggi, cfr. l’introduzione a questa edizione, Per leggere gli Essais.
69 Il metallo della nuova età, più nocivo del ferro.
70 I protestanti (cfr. infra, l’allusione alle chiese […] da noi disertate e distrutte) o anche i sostenitori della Lega. Montaigne rifiuta il settarismo di entrambi.
71 Montaigne ha appena citato un’espressione giuridica che associa mancato guadagno e danni effettivi nella valutazione del pregiudizio subito.
72 Plutarco, Vitæ decem oratorum, VI, 841d.
73 Negli impegni garantiti da atti notarili, contratti ecc., oltre la parola data.
74 Cicerone, De officiis, I, 9.
75 Terenzio, Adelphœ, 490, dove il portavoce di una giovane sedotta, che richiede il matrimonio, dice al futuro suocero: Quod vos vis cogit, id voluntate impetret (ciò che siete costretti a fare, che essa lo ottenga dalla vostra libera volontà).
76 Preferisco non mettere in gioco la mia volontà personale, superflua in situazioni di obbligo.
77 Valerio Massimo, II, 2, 6.
78 Cicerone, De amicitia, 17.
79 Virgilio, Eneide, XII, 519-520.
80 Terenzio, Adelphœ, 455, che reca al contrario un’espressione di supplica: In te spes omnis, Hegio, nobis (tutta la nostra speranza è in te, Egione).
81 Platone, Ippia minore, 368b.
82 Calcondila, II, 12.
83 Osorio, Histoire de Portugal, XIX, 6. Per Calicut cfr. supra, III, V, nota 43.
84 Aristotele, Etica a Nicomaco, IV, 8 (1124b).
85 Cfr. Ibid., IX, 7 (1168a), dove si dice incidentalmente che è più facile ricevere che dare, senza che si tratti del rifiuto di ricevere.
86 Senofonte, Ciropedia, VIII, 4, 8.
87 Cfr. Tito Livio, XXXVII, 6.
88 Virgilio, Egloghe, I, 70, lamento di Melibeo espropriato dei suoi beni.
89 Ovidio, Tristia, IV, 1, 59, a proposito della città del Ponto Eusino dove è esiliato, in mezzo a gente ostile.
90 Ibid., III, 10, 67, allusione alle incursioni imprevedibili dei Sarmati e dei Geti.
91 Lucano, I, 261-262 (che reca quoties Romam invece di quoties pacem) e 256-258.
92 Cfr. Seneca, Epistole, 101.
93 Per evitare di temere la morte, non tanto mi metto a distanza dallo stato che seguirà (dall’esser morto) quanto piuttosto cerco di familiarizzarmi con il suo processo (col morire); discreta rettifica dell’espressione che precede [B], che dava come motivo di consolazione la conseguenza prevedibile della morte, cioè l’insensibilità. Cfr. Lucrezio, III, 830, e anche Saggi, II, XIII, p. 1127.
94 Montaigne generalizza la nozione di furto, forse pensando ai soprusi giudiziari e amministrativi, commessi all’ombra delle leggi.
95 Virgilio, Georgiche, I, 506.
96 Secondo Plutarco, De exilio, V, 600f.
97 Ibid., VI, 601d.
98 Platone, Critone, 52c; poi (sdegnava le peregrinazioni) 52b, e (rifiutò di uscir di prigione) 51-54.
99 Virgilio, Eneide, VI, 114.
100 Senofonte, Ciropedia, VIII, 8, 17.
101 Cfr. Plutarco, De communibus notitiis contra Stoicos, XXII, 1068f, dove questa teoria della simpatia viene data come assurda per la sua esagerazione.
102 Ovidio, Tristia, III, 4, 11, che reca domus, Urbsque et forma locorum (la mia casa e la città [scil. Roma] e l’immagine dei luoghi [abbandonati a causa dell’esilio]).
103 Orazio, Epistole, II, 1, 38, poi 45-47 per confutare con un sofisma, detto “del sorite”, l’idea di una demarcazione precisa tra vicino e lontano. Ciò suggerisce a Montaigne l’osservazione epistemologica sull’incertezza quale sia il punto di mezzo.
104 Cicerone, Academica, II (Lucullus), 29.
105 L’informazione sugli stregati di Karenty passa dallo storico danese Sassone Grammatico (c. 1150-c. 1220), autore di Danorum regum heroumque historiæ, a Jean Wier (De Præstigiis Dæmonum, & Incantationibus ac Veneficiis Libri V, 1563, trad. in francese Cinq livres de l’imposture et tromperies des diables, des enchantements & sorcelleries, 1567) a Ambroise Paré, Des monstres et prodiges (1575), XXX, dove ha potuto leggerla Montaigne.
106 Terenzio, Adelphœ, 32-34.
107 Si tratta naturalmente dell’amicizia con La Boétie.
108 Leggi, XII, 950d-951d.
109 Dignità ecclesiastica accompagnata da rendita.
110 Plutarco, De exilio, XIV, 605b, enumera questi maestri della setta più severa, la scuola stoica, nota per la sua austerità.
111 Si ha qui ancora una volta l’intraducibile gioco di parole tra sage-femme (ostetrica) e homme sage (uomo saggio). Cfr. II, XII, p. 923 e nota 219.
112 Plutarco, Consolatio ad Apollonium, XXX, 117b, da dove viene anche la massima (p. 1819) di diffondere la gioia, ma limitare […] la tristezza, XIX, 111f.
113 Cfr. Diogene Laerzio, IV, 46-47, dove il filosofo si accusa inoltre di avere dilapidato l’eredità e bruciato gli scritti del suo maestro.
114 Persio, V, 22, che si rivolge a un amico: tibi nunc… (a te, oggi…).
115 Erodoto, III, 99-100, accentua il carattere selvaggio di queste usanze.
116 Tale fatto è attribuito da alcuni a Luigi XI, per esempio dallo storico e umanista francese Robert Gaguin, Rerum gallicarum annales, X, 33 (senza sgozzatura).
117 Probabile allusione all’episodio di David e di Abisag la Sunamita.
118 Il latino, in opposizione al francese, la cui morfologia e il cui vocabolario sono fissati assai imperfettamente nel XVI secolo.
119 Lucrezio, I, 402, che riassume così le sue prove dell’esistenza del vuoto.
120 Probabilmente La Boétie. Di queste controversie sulla sua memoria non è rimasta traccia, a meno che Montaigne si riferisca qui alle interpretazioni del Discours de la Servitude volontaire (cfr. I, XXVIII, in fine).
121 Plutarco, Vita di Antonio, XCII. Avendo giurato, dopo la sconfitta di Anzio, di darsi la morte con Antonio e la sua compagna, essi aspettavano questo giorno in lieti e continui festeggiamenti.
122 Cfr. Tacito, Annali, XVI, 18-19 (Petronio, cui si riferisce il seguito della frase), e Storie, I, 72 (Tigellino).
123 Proverbio citato e approvato da Teofrasto secondo Cicerone, Tusculanæ disputationes, V, 9.
124 La frase si trova in Giusto Lipsio, Saturnales, I, 6.
125 Cornelio Nepote, Vita di Attico, XIII.
126 Seneca, Epistole, 6.
127 Cicerone, De officiis, I, 43.
128 Id., De amicitia, 23.
129 Secondo Senofonte, Memorabili, II, 1, 13, che lo presenta come mezzo per sfuggire all’oppressione.
130 Virgilio, Eneide, IV, 340-341.
131 Orazio, Odi, III, 3, 54, a proposito dell’espansione della potenza romana.
132 Il re di Navarra soggiornò due volte a Montaigne, nel 1584 e nel 1587.
133 Ennio, citato da Cicerone, De senectute, I.
134 Quinto Curzio Rufo, IV, 14, nell’arringa di Dario alle truppe prima della sconfitta di Arbela.
135 Seneca, Epistole, 56.
136 Queste parole sembrano introdurre il dibattito che segue, dove il precetto generale di stabilità viene eluso con il pretesto di distinzioni e adattamenti.
137 Properzio, III, 3, 23, dove l’espressione mira a dissuadere il poeta dall’arrischiarsi nel genere eroico.
138 Salmi, 93, 11; San Paolo, Prima lettera ai Corinzi, 3, 20.
139 Virgilio, Eneide, VI, 743, sulla sorte riservata alle anime secondo i geni (manes) che hanno presieduto alla loro vita terrestre. L’espressione si riferisce al destino individuale, con o senza un’idea di sanzione.
140 Cicerone, De officiis, I, 31.
141 Figlia di Catone e moglie di Bruto, famosa per la sua virtù. Cfr. Plutarco, Vita di Bruto, XIV.
142 Forse Muret, che pubblicò nello stesso anno (1552) un discorso sull’eccellenza della teologia e la raccolta Juvenilia, poemi latini assai liberi. Oppure Théodore de Bèze, che pubblicò anch’egli a poca distanza di tempo dei Juvenilia (di cui un verso erotico è citato supra, III, V, p. 1649) e un’apologia del supplizio di Michele Serveto.
143 Plutarco, De recta ratione audiendi, VIII, 42b (così come l’immagine che segue, 42d).
144 Diogene Laerzio, II, 48-49 e 65.
145 Giovenale, XIII, 124, che sconsiglia i grandi rimedi filosofici a chi abbia subito solo un lieve danno.
146 Diogene Laerzio, VI, 11.
147 Ibid., 38.
148 Secondo Guevara, Epístolas familiares, lettera del 16 maggio 1531.
149 Giovenale, XIV, 233-234.
150 Marziale, VII, 10, 1, in risposta a pettegolezzi sui dissoluti.
151 Non è certo a chi Montaigne alluda; forse a Carlo VIII che restituì il Roussillon a Ferdinando di Castiglia dietro le insistenze del proprio confessore Olivier Maillard.
152 Lucano, VIII, 493, sentenza di Potino, che consiglia a Tolomeo di tradire Pompeo sconfitto.
153 Repubblica, VI, 493a, sull’effetto nefasto dell’opinione pubblica, nonché (dice anche) 497b, sulle ragioni che impediscono alle città di avvalersi dell’intervento del saggio (con l’immagine dell’erba trapiantata).
154 Catullo, VIII, 19, che esorta se stesso a non pensare più all’amata che lo respinge.
155 Platone, Gorgia, 474a.
156 Trebellio Pollione, Trenta tiranni, 22.
157 Seneca era il precettore e consigliere di Nerone.
158 Cfr. Agesilao, III e IV, sullo stesso fatto, ma senza elogi, poiché la lealtà è considerata qualcosa di scontato.
159 Giovenale, XIII, 64-66.
160 L’uno era un ribelle, l’altro investito dal senato di un potere legittimo.
161 Il triumvirato di Ottaviano, Antonio e Lepido, che usurparono (ladroni) il potere dopo il tentativo di restaurazione della Repubblica.
162 Virgilio, Eneide, V, 166, a un pilota che devia la nave dalla meta.
163 Il Fedro, composto da un duplice discorso sull’amore, poi da una riflessione sull’espressione e l’argomentazione utilizzate.
164 Commedie di Terenzio, il cui titolo rimanda a ciò che non è il personaggio designato.
165 Tali nomi designano i personaggi che li portano per un tratto caratteristico; secondo Plutarco, infatti, a Silla fu imposto questo nome, che significa “il rosso”, perché era rosso di viso; e il nome di Cicerone, che significa “il cece”, venne attribuito a un suo antenato perché aveva una verruca sul naso. Quanto a Torquato, “l’uomo dal collare”, tale soprannome, secondo Livio e Aulo Gellio, fu dato a Manlio in ricordo di un collare che aveva tolto a un Gallo durante la lotta.
166 Titolo di un dialogo in cui, alla vigilia della liberazione di Tebe, i compagni di Epaminonda si interrogano sulle premonizioni soprannaturali che regolano la condotta degli uomini privilegiati. Il racconto dell’insurrezione è strettamente legato alla scoperta della segreta vocazione eroica di Epaminonda.
167 Platone, Ione, 534b.
168 Leggi, VI, 719c, dove questa incoerenza, richiesta dai diversi modelli imitati nell’epopea o nella tragedia, viene presentata come un difetto atto a screditare i poeti.
169 Seneca, Epistole, 2.
170 Cfr. Plutarco, Vita di Alessandro, XI.
171 Dell’antica Roma, per anticipazione sul seguito del testo (ma l’allusione a statue e rovine, con il tema della città-tomba, vale come identificazione per un umanista del XVI secolo). Nel Journal (gennaio 1581), Montaigne si esprime in modo analogo: la Roma del suo tempo è il sepolcro della Roma antica.
172 Plutarco, Quomodo adulator ab amico internoscatur, XXII, 63d.
173 Cfr. la meditazione riferita nel Journal (26 gennaio 1581).
174 Cicerone, De finibus, V, 1 e 2, a proposito di Atene.
175 Seneca, Epistole, 64, sui maestri di saggezza.
176 La Roma contemporanea, regno temporale del papa (il magistrato supremo).
177 Sidonio Apollinare, Carmina, XXIII, 62, riferendosi a Narbona devastata dai barbari.
178 Plinio, III, 5, sull’ubicazione di Roma e a proposito della Campania in generale.
179 Orazio, Odi, III, 16, 21-23 e 42-43.
180 Ibid., II, 18, 11-12.
181 Ovidio, Metamorfosi, II, 140: conclusione dei consigli di Apollo a Fetonte.
182 Tertulliano, De pudicitia, I, 2, sulle sventure degli ultimi tempi.
183 Tale bolla gli fu concessa il 13 marzo 1581, non senza tuttavia che Montaigne l’avesse sollecitata, come risulta dal Journal.
184 Allusione alla famosa massima “Conosci te stesso”, scolpita sul frontone del tempio di Apollo a Delfi.
185 Gli astri del firmamento sono assimilati a occhi (lumina), sguardi che convergono verso il centro dell’universo.
Postilla. Come indica la prima frase, che fa dell’insieme del capitolo un esempio della vanità (inanità) di cui tratta, tutto si iscrive nel quadro di una meditazione riflessiva. Montaigne prende a tema la sua predilezione per l’agitazione e il cambiamento (p. 1757), sperimentata nel corso del suo viaggio in Italia del 1581 (si veda il relativo diario); ma vi riscontra, come elemento soggiacente, l’inettitudine a vivere nella situazione presente con i suoi obblighi: beghe familiari (pp. 1759-1773), minacce delle guerre civili e condizionamenti che ne derivano (pp. 1773-1809) – tratto ritenuto bizzarro in un uomo ammogliato e vecchio (pp. 1811-1829) e che rivela in lui una propensione all’instabilità, oggetto degli ammonimenti dei saggi come dei parenti (pp. 1835-1837). Lo scrittore risponde assumendo questo difetto come vanità costitutiva del suo essere e della condizione umana (pp. 1837-1839); ed esibisce ciò che potrebbe esserne l’emblema, il titolo di cittadinanza romana che gli assegna un posto fittizio in remoti tempi e spazi (pp. 1859-1861); poi rivolge a se stesso, in nome del dio di Delfi (p. 1863) maestro della conoscenza di sé, quelle esortazioni alla stabilità che eludeva in precedenza. Su questo discorso ricco di contrasti, al cui termine la delega di parola al dio appare più una scappatoia che una conclusione, si innestano in modo intermittente considerazioni sui Saggi: l’inutilità di scribacchiare (p. 1755), l’elaborazione della terza aggiunta (p. 1789), le funzioni da essi assunte, di identificazione per sé e per gli altri (pp. 1821-1823) e di immagine testamentaria (pp. 1825-1827), e infine l’irregolarità della loro composizione (pp. 1849-1853), evidente in questo stesso capitolo. Di queste parentesi riflessive sono costellate le pagine in cui Montaigne insiste sui disastri della sua epoca, sull’imminenza della propria morte quale potranno viverla parenti e amici, sugli obblighi della vita pubblica – in altri termini, sulle imposizioni che gli incombono. Esse potrebbero indicare, come in risposta, ciò che dà senso alla vanità individuata per saggio nella redazione del capitolo come nei tratti descritti: il riconoscimento di una devianza rispetto ai comportamenti richiesti o imposti, registrata come privazione dell’essere, vacanza interiore o spazio di libertà.
CAPITOLO X
1 Leggi, VII, 792c-793a.
2 Ovidio, Tristia, III, 2, 9, evocando la sua spensieratezza di un tempo, prima dell’esilio.
3 Seneca, Epistole, 22: <Sapiens> sordido labore non conteret nec in negotiis negotii causa erit.
4 Orazio, Odi, II, 1, 7, rivolto a Pollione che intraprende la storia delle guerre civili.
5 Montaigne fu eletto dai Jurats di Bordeaux, cioè i magistrati municipali. Questa elezione, votata, sembra, all’unanimità, si tenne il 1o agosto 1581 e fu immediatamente confermata da Enrico III: probabilmente era stata concordata all’epoca degli accordi di Fleix (1580) con Enrico di Navarra. Montaigne ne ricevette notizia a Pisa il 7 settembre (cfr. il Journal, a questa data). Si conserva la lettera di Enrico III che invita Montaigne ad accettare la carica e a rientrare in patria.
6 Virgilio, Eneide, XI, 658, dove si tratta delle compagne (ministras) dell’amazzone Camilla.
7 Seneca, De beneficiis, I, 13, o Plutarco, De unius in republica dominatione, populari statu, et paucorum imperio, I, 826c, dove gli ambasciatori vengono da Megara.
8 Pierre Eyquem era stato sindaco di Bordeaux dal 1554 al 1556.
9 Quintiliano, Institutio oratoria, II, 17.
10 Dea della saggezza.
11 Seneca, Epistole, 6.
12 Orazio, Odi, IV, 9, 51, parlando del console Lollio: non ille…
13 Stazio, Tebaide, X, 704-705, avvertimento destinato a Meneceo che si accinge a sacrificarsi, invano, per la salvezza dei Tebani.
14 Quinto Curzio Rufo, IX, 9.
15 Seneca, Epistole, 44, che paragona la ricerca della felicità all’errare in un labirinto.
16 Probabilmente il re di Navarra, poi Enrico IV.
17 Lucilio, Satire, V, 2.
18 Cicerone, Tusculanæ disputationes, V, 32.
19 Seneca, Epistole, 18.
20 Plutarco, An vitiositas ad infelicitatem sufficiat, III, 499a.
21 Seneca, Epistole, 90.
22 Diogene Laerzio, VII, 169-170.
23 Orazio, Epistole, I, 5, 12.
24 Per correggere la sfasatura tra calendario e ciclo solare, il papa Gregorio XIII aveva soppresso dieci giorni (dal 10 al 19 dicembre) dell’anno 1582. I paesi sotto influenza protestante (“eretica”) in un primo tempo non avevano accettato questa rettifica.
25 Frammento di Petronio, trasmesso da Giusto Lipsio, De constantia, I, 8.
26 Quinto Curzio Rufo, III, 2, 18: parole di Caridemo su Dario che l’ha condannato a morte per aver consigliato la prudenza verso Alessandro.
27 Tito Livio, XXVIII, 22, con inversione della frase sull’odio degli abitanti di Astapa contro i Romani.
28 Cicerone, Tusculanæ disputationes, IV, 25.
29 Tito Livio, XXXIV, 36.
30 Allusione al rimprovero rivolto ai Saggi dal censore pontificio per avere lodato l’opera poetica di Théodore de Bèze (II, XVII, p. 1227). Cfr. il Journal (20 marzo 1581), dove Montaigne afferma di aver rifiutato alcune censure, tra cui probabilmente questa, cui non ha mai ottemperato. Cfr. I, LVI, nota 4.
31 All’inizio del capitolo Della libertà di coscienza (II, XIX).
32 Il pitagorico Apollonio di Tiana, la cui taumaturgia per un certo periodo fu in concorrenza con quella dei cristiani.
33 Il partito protestante.
34 Il partito cattolico.
35 La lebbra (ladrerie) rende insensibili le zone che colpisce.
36 Cfr. Plutarco, Apophthegmata Laconica, 233a, dove Diogene stringe nelle stesse condizioni una statua di bronzo.
37 Id., Regum et imperatorum apophthegmata, 174d.
38 Seneca, Epistole, 62, dove si tratta di occupazioni estranee alla saggezza.
39 Virgilio, Eneide, X, 693-696.
40 Diogene Laerzio, VII, 17.
41 Senofonte, Memorabili, I, 3, 13.
42 Senofonte, Ciropedia, V, 1, 7-8.
43 Matteo, 6, 13.
44 Montaigne cita, probabilmente a memoria, dal Franciscanus di Buchanan (vv. 13-14, alquanto differenti).
45 Cicerone, Tusculanæ disputationes, IV, 18.
46 Seneca, Epistole, 74.
47 Virgilio, Eneide, X, 97-99.
48 Cicerone, De officiis, II, 18.
49 Un carretto di pelli di montone confiscato dal conte de Romont, luogotenente di Carlo il Temerario, a uno svizzero che passava sulle sue terre, fu (secondo Commynes, V, 1) all’origine della guerra fra gli Svizzeri e il duca di Borgogna, che si concluse con la sconfitta di quest’ultimo a Granson (1475).
50 Silla aveva fatto incidere un sigillo a commemorazione della cattura di Giugurta, di cui si attribuiva il merito a scapito di Mario, capo della spedizione (secondo Plutarco, Vita di Silla, IV). Il conflitto tra Pompeo e Cesare sarebbe derivato da quello degli altri due, Mario e Silla.
51 De vitioso pudore, IX, 532de.
52 Diogene Laerzio, I, 87.
53 Frase derivata per condensazione da Seneca, Epistole, 85 e 116 (“Gli stoici mettono al bando le passioni, i peripatetici le tengono a freno […]. È più facile impedir loro l’accesso che metterle al bando”).
54 Virgilio, Georgiche, II, 490-494.
55 Orazio, Odi, III, 16, 18-19.
56 Quinto Tullio Cicerone, De petitione consulatus, II.
57 Il compito di regolazione assegnato al magistrato e alle leggi è statico, non dinamico: interviene solo nel caso di una disfunzione e per ripristinare la stabilità.
58 Cicerone, De officiis, I, 34, che definisce così la condotta che si richiede al semplice cittadino, a differenza del magistrato, più preoccupato del prestigio, e dello straniero, più riservato.
59 Plutarco, Quomodo adulator ab amico internoscatur, XXXII, 71a.
60 Cfr. Id., Vita di Alessandro, VII.
61 Platone, Alcibiade primo, 105a.
62 Cfr. Plutarco, Quomodo quis suos in virtute sentiat profectus, X, 80f, dove il personaggio proclama davanti alla sua serva: “Ho smesso di essere orgoglioso!”
63 Salmi, 115 (113 b), 1.
64 Plutarco, De communibus notitiis contra Stoicos, VI, 1061a.
65 Cicerone, De officiis, II, 22, con lo stesso commento.
66 Id., De finibus, II, 15.
67 Id., Tusculanæ disputationes, II, 26.
68 Virgilio, Eneide, V, 849 e 848, risposta del pilota Palinuro al Sonno che lo invita al riposo. Questo prodigio (huic monstro): la calma insolita del mare.
Postilla. La prima pagina pone il discorso sul piano dell’etica privata, e dei principi di moderazione comuni a tutte le saggezze antiche; ma subito dopo (p. 1867) ne viene definito il tema, più preciso: il modo in cui Montaigne ha esercitato le sue funzioni di sindaco di Bordeaux, dal 1582 al 1585, e la parte di volontà personale da investire a servizio della città (pp. 1869-1873). La disamina è all’inizio incentrata su quest’ultimo punto. I precetti del mondo, e forse le prescrizioni ufficiali, incitano il magistrato a consacrarsi senza riserve alla sua missione. A torto: tale comportamento è pregiudizievole all’uomo, ma anche agli affari che intende dirigere (pp. 1873-1875). L’argomento è di ordine pratico: pur ispirato da buoni motivi, l’impegno violento e ardente provoca mosse incaute e insuccessi, aliena e altera il giudizio; un atteggiamento riservato assicura il controllo dell’azione e dei suoi moventi. Ritornando sulle sue attività di sindaco (p. 1899), Montaigne rivela il significato politico di quest’arte di governare la propria volontà: ai suoi occhi, la missione non era di comandare, ma di assicurare il corso normale della vita collettiva; anche in periodo di crisi (cfr. I, XXIV, pp. 231-235) doveva solo conservare e continuare (p. 1905), senza affermare il suo potere attraverso l’innovazione. Tra etica privata e responsabilità pubbliche, si delinea così una concezione dell’autorità del tutto diversa da quelle prevalenti all’epoca (per esempio in Bodin, Les six livres de la République, I, 7 e III, 5): il magistrato non impone la sua volontà ai concittadini ma, istanza regolatrice, garantisce la loro concordia sulla base di un generale consenso (I, XXIII, p. 219) alle consuetudini della città.
CAPITOLO XI
1 Cfr. p. 1879 e nota 24.
2 Ætia Romana et Græca, XXIV, 269d.
3 Persio, V, 20.
4 Cicerone, Academica, II (Lucullus), 21.
5 Allusione ai numerosi prodigi (nascite di mostri, sole doppio, meteore ecc.) menzionati nelle cronache del tempo e in cui si vedeva la manifestazione della collera divina.
6 Tito Livio, XXVIII, 24.
7 Cicerone, De divinatione, II, 39.
8 Sant’Agostino, Civitas Dei, VI, 10, sulle automutilazioni dei preti di Cibele, che si giudicherebbero dissennate se fossero compiute da individui isolati.
9 Una persona moltiplicata per cento. Allusione alla regola testis unus, testis nullus (un solo teste, nessun teste), e al suo inverso: il numero dei testimoni concordi dà forza alla testimonianza. Regola rifiutata qui, trattandosi di fatti incredibili: ciascuna delle cento testimonianze è priva di valore e dunque pari a zero. Per la frase seguente: si suppone che l’antichità avvalori le opinioni, specialmente in campo giuridico. Montaigne, come i suoi contemporanei, fonda su di essa l’autorità della consuetudine e anche delle leggi acquisite; e cfr. I, XLIII, p. 485.
10 Non si sa esattamente a chi Montaigne alluda. Forse al signor de Nemours, nipote di Luisa di Savoia, tormentato dalla gotta fin dall’età di trentasei anni.
11 Seneca, Epistole, 118, dove si tratta di oggetti desiderati.
12 Quinto Curzio Rufo, IX, 2, per smentire dicerie allarmanti.
13 Secondo la terminologia del diritto romano, in una questione di fatto, il giudice che ha prestato giuramento usa l’espressione videtur (sembra). Cfr. Cicerone, Academica, II (Lucullus), 47.
14 Platone, Teeteto, 155d, che cita Esiodo, Teogonia, 265: la dea Iris, messaggera degli dèi, dunque annunciatrice di verità, è figlia di Taumante, in cui risuona la parola thauma (stupore, ammirazione).
15 L’affare Martin Guerre, il cui processo fu pubblicato nel 1561, con commenti, da Jean de Coras, consigliere al Parlamento di Tolosa. L’espressione Vidi potrebbe indicare soltanto una lettura di questo opuscolo; con enfance, Montaigne non indica l’età che aveva all’epoca, ma il proprio posto nella successione delle generazioni, come figlio di un padre ancora in vita nel 1561. Cfr. I, XIV, p. 104, dove Montaigne si definisce sorti de l’enfance quando comincia a gestire le proprie risorse personali (probabilmente la rendita assegnatagli dal padre).
16 Aulo Gellio, XII, 7, o Valerio Massimo, VIII, 1, in fine.
17 Probabile allusione alla Démonomanie des sorciers pubblicata nel 1580 da Jean Bodin per incitare a una repressione accanita dei casi di stregoneria.
18 I casi di stregoneria attestati dalle Scritture (tra gli altri la negromante consultata da Saul, Samuele, 28, 7-8) erano citati per avallare, per analogia, le persecuzioni contro quelli dell’epoca (applicarli ai nostri avvenimenti moderni).
19 Bodin aveva rimproverato al medico Jean Wier (la cui opera latina De Præstigiis Dæmonum, & Incantationibus ac Veneficiis Libri V, 1563, era stata tradotta in francese da Jean Grévin col titolo Cinq livres de l’imposture et tromperies des diables, des enchantements & sorcelleries, 1567) di giustificare i comportamenti delle streghe supponendo in loro, senza prove, delle cause patologiche (follia) e dei mezzi naturali (erbe allucinogene ecc.). Montaigne rivolge la critica contro il demonologo Bodin, che attribuisce tali fenomeni a cause soprannaturali, al di là della portata dell’intelligenza umana.
20 Sotto forma di confessione, prova per eccellenza agli occhi dei giuristi del tempo, ma che Montaigne respinge.
21 Autore ignoto.
22 Tacito, Storie, I, 22, a proposito della fiducia di Ottone nell’astrologia.
23 Bodin reclamava punizioni per coloro che non credevano alla stregoneria accusandoli di empietà e di ateismo.
24 Cicerone, Academica, II (Lucullus), 27.
25 Questi contradittori increduli sono in migliore posizione nel dibattito: la loro opinione deve prevalere poiché non induce a giustiziare un uomo (conseguenza effettiva dell’opinione dei demonologi). Infatti, secondo i giuristi, la sentenza favorevole prevale in caso di dubbio, cioè, nelle cause capitali, quando la colpevolezza dell’accusato non è “chiara come il sole” (detto giuridico evocato dalla frase che segue).
26 La frequentazione dei sabba e i mezzi per recarvisi erano regolarmente esaminati nei processi di stregoneria.
27 Nel vocabolario giuridico, elidere accusationem, cioè annullare, in quanto senza oggetto, una eventuale procedura di verifica del prodigio, riducendolo a un fenomeno naturale, come il delirio individuale o collettivo.
28 Civitas Dei, XIX, 18, dove questa sentenza è introdotta solo come riserva, dopo la condanna di qualunque forma di scetticismo nei confronti dei dati della percezione, della ragione e della Rivelazione.
29 Si è avanzata l’ipotesi che si tratti di Carlo III di Lorena, le cui terre Montaigne aveva attraversato durante il suo viaggio nel 1580; ma nulla conferma tale congettura.
30 Gli investigatori ricercavano sul corpo degli accusati di stregoneria una macchia cutanea insensibile, identificata come “sigillo di Satana”. Montaigne, in virtù della sua “ignoranza” socratica, rifiuta l’identificazione.
31 L’elleboro era considerato antidoto con-tro la follia. La cicuta era il veleno che dovevano bere i condannati a morte ad Atene.
32 Tito Livio, VIII, 18, a proposito delle matrone accusate di avvelenamento, che, obbligate a bere le loro pozioni, ne muoiono.
33 I malati mentali erano costretti a cure (come l’ingestione dell’elleboro), ma anche, in caso di scandalo, a sanzioni (incarcerazione, frustate, messa al bando ecc.) senza proporzione con i supplizi inflitti nei casi di stregoneria.
34 Il nodo gordiano, inestricabile. L’impero universale era stato promesso a chi lo avrebbe sciolto: Alessandro lo tagliò con un colpo di spada.
35 Sant’Agostino, Civitas Dei, XVIII, 18, che spiega le metamorfosi in animali con fenomeni di autosuggestione e di sogni materializzati (concretarsi in fatti) per influenze demoniache.
36 Cicerone, Tusculanæ disputationes, I, 25.
37 Cfr. Erasmo, Adagi, III, 9, 49.
38 Cfr. Aristotele, Problemi, X, 26.
39 Il Paragone dell’Italia alla Francia, nelle Rime e Prose.
40 Svetonio, IV, 3.
41 L’oratore ateniese Teramene era soprannominato Coturno, poiché si adattava sia all’uno sia all’altro partito, come ciascun coturno si adatta sia all’uno sia all’altro piede (Plutarco, Præcepta gerendæ reipublicæ, XXXII, 824b).
42 Id., De vitioso pudore, VII, 531ef.
43 Virgilio, Georgiche, I, 89, per spiegare l’ammendamento delle terre con il debbio.
44 In italiano nel testo.
45 Cicerone, Academica, II (Lucullus), 34.
46 Nella Vita di Esopo del monaco trecentesco Massimo Planude il favolista è venduto al filosofo Xantia.
47 Cfr. la tripartizione delle scuole filosofiche nell’Apologia di Raymond Sebond, II, XII, p. 909.
Postilla. A proposito del carattere convenzionale della misura del tempo, rivelato dalla recente riforma del calendario (1582), viene annunciata una meditazione sulle derive della ragione, lezione di scetticismo ripresa in conclusione; e il titolo le assegna per tema una chimera validata un tempo dallo scrittore stesso, che è arrivato a credere di aver avuto più piacere da una donna perché non era dritta (p. 1925), prestando fede a un proverbio confermato da Aristotele. Ma questa riflessione umoristica attira l’attenzione sulla propensione all’errore, materia per una critica dei processi di stregoneria che si moltiplicano alla fine del XVI secolo. Dopo un’analisi dei modi di propagazione delle dicerie e del credito loro prestato, seguita da un invito alla riserva pirroniana (p. 1917), Montaigne argomenta contro i demonologhi (pensando forse a Bodin, la cui Démonomanie des sorciers era stata pubblicata nel 1580); ammette in teoria la possibilità di atti satanici, che per parte sua non ha mai costatato (cfr. I, XXVII, p. 327), ma nega a chiunque la facoltà di provarli, attraverso indagini, testimonianze o anche confessioni: nell’ambito del soprannaturale, solo l’attestazione diretta di Dio è ammissibile (pp. 1917-1919). L’istruzione di processi diventa dunque impossibile, e può sfociare solamente nel rilascio dei presunti maghi, col beneficio del dubbio, a meno che il tribunale non si dichiari incompetente. Più in generale, e a prescindere dall’argomentazione, l’insieme della questione è presentato sotto la categoria generale delle fantasmagorie, così da presupporre l’inanità dei casi sottoposti a esame: queste illusioni estranee e sconosciute imputate ai demoni si spiegano riflessivamente con le illusioni domestiche e nostre (p. 1921) che danno loro corpo. Il saggio dell’errore discredita dunque le elucubrazioni mortifere degli esperti, e la critica pirroniana ne completa la confutazione.
CAPITOLO XII
1 Lucano, II, 381-382, che riassume le regole dello stoico Catone.
2 Di Platone e di Senofonte.
3 Seneca, Epistole, 106.
4 Agricola, 4.
5 Seneca, Epistole, 106.
6 Cicerone, Tusculanæ disputationes, V, 5, dove le sottigliezze degli stoici sono paragonate a vini troppo leggeri.
7 Seneca, Epistole, 75, che definisce l’oggetto della vera filosofia.
8 Ibid., 115, in opposizione ai linguaggi ricercati.
9 Ibid., 114, le affettazioni stilistiche sono segno di corruzione.
10 Parentesi su Seneca, cui sono state applicate le sue stesse critiche.
11 Seneca, Epistole, 95, senza biasimo verso questa evoluzione, richiesta dalla complessità crescente dei vizi da combattere.
12 Probabilmente nel corso dell’estate 1586, quando le truppe della Lega assediavano Castillon, in mano ai protestanti, non lontano da Montaigne.
13 Tito Livio, XXIX, 8, a proposito di abusi commessi dai Romani, peggiori di quelli dei Cartaginesi.
14 Ovidio, Epistulæ ex Ponto, I, 3, 57-58.
15 I sostenitori della Lega, partigiani della repressione a oltranza contro i protestanti, sfidavano in permanenza l’autorità di Enrico III, sospettato di lassismo, soprattutto a partire dal 1584.
16 Questi versi di origine ignota esprimono in francese il concetto del frammento virgiliano che segue.
17 Virgilio, Eneide, XII, 46, a proposito delle violenze di Turno, esacerbate dai discorsi tenuti per calmarlo.
18 Catullo, LXIV, 405, che rimpiange i tempi mitici in cui gli dèi soggiornavano tra gli uomini esenti da corruzione.
19 L’impiego di mercenari tedeschi, svizzeri o italiani si era generalizzato.
20 Virgilio, Georgiche, 1, 500, allusione alla restaurazione dello Stato compiuta da Augusto. Montaigne applica probabilmente questi versi al re di Navarra, futuro Enrico IV.
21 Montaigne modifica la fonte (Valerio Massimo, II, 7) che trasmette il precetto di Clearco, secondo cui “il soldato deve temere il suo capo più del nemico”.
22 Attinto da Giusto Lipsio, Politiche, V, 13.
23 Cioè di Malta, dove era stato trasferito nel 1522 l’Ordine dei cavalieri di san Giovanni di Gerusalemme, dopo che Rodi era stata presa dai Turchi. L’Ordine lottava incessantemente contro la pirateria nel Mediterraeo.
24 Secondo Guillaume Postel, Des histoires orientales et principalement des Turkes, p. 316.
25 Fra i Turchi.
26 Selim I; cfr. Paolo Giovio, Historiæ sui temporis, XVII.
27 Plutarco, Vita di Bruto, XII. Fu tale frase di Faonio a indurre Bruto a non metterlo a parte della congiura.
28 Platone, Lettera VII, 331d (ai parenti di Dione).
29 Dalla comunità cristiana.
30 La Francia.
31 Gli Spagnoli, in lotta contro la Francia durante tutto il regno di Francesco I, sostenevano i partigiani della Lega e speravano di ottenere da loro concessioni territoriali. L’inizio della frase sembra avere di mira piuttosto i protestanti (quelli che vanno verso la réformation). Montaigne condanna entrambi gli antagonisti.
32 Tito Livio, XXXIX, 16, nel discorso di Postumio contro i Baccanali.
33 Repubblica, II, 361a. Queste ultime espressioni si riferiscono ai sostenitori della Lega, che si richiamavano contemporaneamente alla religione e all’ordine pubblico.
34 Virgilio, Egloghe, I, 11-12.
35 Ovidio, Tristia, III, 10, 65-66.
36 Claudiano, In Eutropium, I, 244.
37 Ai tempi di Montaigne gli abitanti del Périgord erano in maggioranza protestanti.
38 Cicerone, De natura deorum, III, 4, che limita la regola ai dibattiti giudiziari.
39 Orazio, Epistole, I, 18, 107-108.
40 Seneca, Epistole, 90.
41 Senza vergogna.
42 Tito Livio, XXX, 44, parole di Annibale ai Cartaginesi obbligati a pagare un tributo ai Romani.
43 Si tratta probabilmente dell’epidemia che era esplosa durante l’assedio di Castillon e si era propagata nelle zone vicine nel settembre 1586.
44 Orazio, Odi, I, 28, 19-20.
45 Questo vagabondaggio durò dal settembre 1586 al marzo 1587.
46 Il seguito del testo lascia intendere che Montaigne avrebbe tranquillamente atteso la morte, fuga definitiva.
47 Virgilio, Georgiche, III, 476-477.
48 Diodoro Siculo, XVII, 105.
49 Tito Livio, XXII, 51.
50 Ispirato da Plutarco, De amore prolis, I, 493c.
51 Seneca, Epistole, 91 e 107.
52 Ibid., 74.
53 Lo stoico Seneca, Epistole, 13, poi (A che cosa ti serve) 24.
54 Virgilio, Georgiche, I, 123, dove è Giove a incitare gli uomini al lavoro.
55 Quintiliano, Institutio oratoria, I, 12, 11.
56 Properzio, II, 27, 1. At vos incertam…: Montaigne aggiunge frustra (invano).
57 Massimiano, Elegie, I, 277, sulle minacce dell’estrema vecchiaia.
58 Cicerone, Tusculanæ disputationes, I, 30; cfr. il titolo e l’inizio di I, XX.
59 Orazio, Epistole, I, 1, 15: il moralista, dichiarando di non essere attaccato ad alcuna scuola, suggerisce un paragone tra il suo eclettismo e l’errare di Ulisse.
60 Svetonio, I, 87; cfr. II, XIII, p. 1125.
61 Seneca, Epistole, 98.
62 Montaigne ha derivato l’essenziale di questa sua perorazione da Platone, Apologia di Socrate, 29ab, 34c, 35.
63 Diogene Laerzio, II, 40-41.
64 Plutarco, De invidia et odio, VI, 538a.
65 Lucrezio, II, 75.
66 Ovidio, Fasti, I, 380, a proposito delle api che escono dall’animale sacrificato da Aristeo.
67 Platone, Eutidemo (l’insieme del dialogo).
68 Poiché confessano i loro furti, il che si suppone procuri loro l’indulgenza del giudice.
69 Probabile allusione ai sentimenti che la lettura dei Saggi aveva suscitato in Marie de Gournay. Cfr. la fine di II, XVII.
70 Cioè chiunque fa stampare i prodotti della propria vecchiaia.
71 Cicerone, Tusculanæ disputationes, I, 33.
72 Socrate, il cui discorso citato a fronte nella versione del 1588 si riferisce alla sua bruttezza (naso camuso, strabismo, malformazione del collo).
73 Cicerone, Tusculanæ disputationes, IV, 37. Cfr. Saggi, II, XI, p. 765.
74 Diogene Laerzio, V, 19, detto di Socrate, citato con quello di Platone che segue.
75 Quintiliano, Institutio oratoria, II, 15, 9.
76 La parola καλοκἀγαθóς.
77 Gorgia, 451e. Gli scoliasti la attribuiscono a Simonide o a Epicarmo.
78 Cfr. Politica, III, 1, 1290b, sui capi degli Etiopi.
79 Diogene Laerzio, V, 20.
80 Vincolata dalla speranza della ricompensa e dal timore della punizione.
81 Terenzio, Heautontimorumenos, 94, a proposito di un figlio che il personaggio pensa di avere perduto.
82 Massimiano, Elegie, I, 238.
83 Virgilio, Eneide, VI, 261, incoraggiamento della Sibilla all’entrata degli Inferi: il testo originale porta: Nunc […] nunc (È ora…).
84 Catullo, LXVIII, 65, dove alcuni marinai implorano i loro dèi tutelari.
85 Tito Livio, XXIX, 21, dove alleati di Roma spiegano così il fatto che Scipione non abbia punito gli abusi che un suo subordinato ha fatto loro subire.
86 Diogene Laerzio, V, 17.
87 Plutarco, De invidia et odio, V, 537d.
88 Opposizione tra le decisioni giudiziarie, legittime ma evidentemente spiacevoli per i condannati, e probabilmente le relazioni galanti, illegittime ma gradite ai consenzienti.
Postilla. Il titolo, confermato incidentalmente (il trattato della fisionomia, p. 1967), designa come oggetto di ricerca gli indizi di carattere che si trovano nell’espressione del viso (è il significato preciso del termine, che rimanda a un trattato aristotelico). Il problema si pone a proposito di Socrate. Modello di una saggezza perfetta che non deve nulla all’artificio delle dottrine (pp. 1929-1931 e 1963-1967), Socrate era brutto (p. 1969); e se si devono riconoscere nella sua fisionomia i segni di una indole cattiva, che avrebbe corretta con l’educazione (ibid., cfr. II, XI, p. 765, possibile origine del capitolo), qual era in lui la parte del naturale? Il testo, provvisto di ritocchi e aggiunte manoscritte, mostra su questo punto le tracce di un’esitazione; senza concludere, Montaigne si limita a costatare che la sua spontanea franchezza traspare dai suoi tratti, e illustra con due aneddoti la fiducia che essi ispirano. Ma su questo schema della redazione originaria, si inseriscono già prima del 1588 i ricordi della guerra e della peste che hanno devastato la Guyenne nel 1585-1586 (si innestano a p. 1935 sull’esempio della pazienza dei contadini, ripreso e ricollegato al discorso alle pp. 1951-1953). Su questo sfondo di disastri, sviluppato dopo il 1588 con condanne veementi della guerra civile, la meditazione sulla costanza nelle difficoltà occupa la posizione principale; Socrate resta al centro, presente attraverso le parole pronunciate di fronte al tribunale che sta per condannarlo: interprete della semplicità naturale (p. 1959), si limita a costatare di non aver frequentato né conosciuto la morte e trae da questa riflessione la ragione della sua fermezza, senza tener conto dell’apporto della filosofia (cfr. I, XX, contestato a p. 1957). Questo nuovo orientamento del capitolo, confermato dopo il 1588 da importanti aggiunte, potrebbe intersecare il problema iniziale e indirettamente risolverlo: prendendo coscienza della condizione umana e dei suoi limiti, il saggio rappresenta (p. 1963) la maniera naturale di essere, autentificando così il suo messaggio, quali che siano i suoi tratti originari e il lavoro che su di essi ha dovuto compiere.
CAPITOLO XIII
1 Prima frase della Metafisica di Aristotele (980a), che nel seguito del suo preambolo stabilisce una gerarchia dei vari tipi di sapere (teorico, tecnico, empirico) e dei gradi di autorità che ne derivano. Montaigne insiste sulla nozione di desiderio, che implica l’insoddisfazione, e passa subito al modo di conoscenza meno prestigioso.
2 Manilio, Astronomica, I, 61-62.
3 Cfr. Cicerone, Academica, II (Lucullus), 18, dove l’esempio, ambientato a Delo, serve a confutare l’argomento scettico dell’indistinzione.
4 Fabbricante di carte da gioco.
5 Forse Triboniano, che su ordine dell’imperatore Giustiniano raccolse le sentenze (leggi) degli antichi giureconsulti per costituire il Digesto e il Codice, che dovevano fornire tutti i modelli dei casi da giudicare con i verdetti appropriati (cfr. Bodin, Les six livres de la République, VI, 6). Il diritto, nel XVI secolo, era considerato un sapere empirico, derivato dalla giurisprudenza.
6 Tacito, Annali, III, 25, a proposito di una legge che per un effetto perverso aveva fatto proliferare le delazioni.
7 Il Cattolico; cfr. Bodin, Les six livres de la République, V, 1.
8 Repubblica, III, 405a.
9 Seneca, Epistole, 89, dove si tratta delle divisioni e suddivisioni della filosofia.
10 Quintiliano, Institutio oratoria, X, 3, 16, sul caso, presentato come aberrante, di un oratore che, per paura di infrangere le regole dell’esordio, non riuscirebbe nemmeno a cominciare il suo discorso.
11 Giurista dell’Alto Impero, le cui sentenze figuravano nel Digesto.
12 Commentatori medievali del Digesto; cfr. p. 1075 e nota 493.
13 Proverbio latino raccolto da Erasmo, Adagi, II, 3, 68, come esempio di diffidenza: invischiato una volta, il topo non toccherà più la pece.
14 Cfr. Plutarco, De communibus notitiis contra Stoicos, XIX, 1067f.
15 Diogene Laerzio, IX, 12.
16 Plutarco, De Pythiæ oraculis, XXVI, 407de, con un’altra spiegazione, cioè la preoccupazione di nascondere la verità ai tiranni e di proteggere i preti da questi ultimi.
17 La Boétie, Œuvres, p. 255. Questi versi, che costituivano la prefazione della sua traduzione dei lamenti di Bradamante (Ariosto, Orlando furioso, XXXII, 18-46) per sua moglie Marguerite de Carle, celebrano le risorse inestinguibili dell’“invenzione”. Il sesto verso, nell’originale, è: Et cette-ci par une autre avancée (e questa da un’altra è spinta avanti).
18 Etica a Nicomaco, IV, 7 (1123b).
19 Cfr. il Journal, alla data 10 ottobre 1580, in occasione della visita della chiesa cattolica di Lindau.
20 Intesa qui nel senso giuridico.
21 Plutarco, De amicorum multitudine, I, 93b.
22 La sentenza del Parlamento era effettiva solo dal momento in cui era stata pronunciata dal presidente della Grand’Chambre durante una seduta. Fino a quel momento, la procedura poteva dunque essere interrotta.
23 Plutarco, Regum et imperatorum apophthegmata, 179a (Filippo).
24 Id., Præcepta gerendæ reipublicæ, XXIV, 818a, che giudica tiranniche queste massime attribuite a Giasone, re di Tessaglia. Il paragone che segue è pure tratto da Plutarco, De sera numinis vindicta, XVI, 559e.
25 Cfr. Id., De Stoicorum repugnantiis, XXXV, 1050f.
26 Discepoli del filosofo ateo Teodoro, egli stesso cirenaico; cfr. Diogene Laerzio, II, 93 e 99.
27 Secondo Plutarco, Vita di Alcibiade, XL, questi affermava che, quando si trattasse della propria vita, non si sarebbe fidato neppure di sua madre.
28 Attinto da González de Mendosa, Histoire du grand royaume de la Chine, trad. di La Porte, Paris 1588, p. 72.
29 Properzio, III, 5, 26-31, che traccia un programma di ricerca per la sua vecchiaia.
30 Lucano, I, 417, dopo aver formulato diverse ipotesi sulla causa delle maree.
31 Virgilio, Eneide, VII, 528: lo scatenarsi del mare paragonato a quello degli assalitori che brandiscono le armi.
32 Apollo a Delfi; cfr. Plutarco, De E apud Delphos, XVII, 392a.
33 Carmide, 164c.
34 Memorabili, IV, 2, 23-36 (stesso riferimento subito dopo: come Socrate).
35 Menone, 80e.
36 Memorabili, IV, 2, 23-26.
37 Cicerone, Academica, I, 12, che cita lo scettico Arcesilao.
38 Plutarco, De fraterno amore, I, 478b.
39 Lucano, IV, 599, a proposito del gigante Anteo, figlio di Gaia, la Terra.
40 Diogene Laerzio, VI, 2 e 11.
41 Virgilio, Georgiche, II, 103, parlando dei diversi vigneti.
42 Cicerone, De finibus, III, 7.
43 Tito Livio, XLI, 20 (su Antioco, re di Siria).
44 Forse François d’Alençon, noto per la sua volubilità.
45 Gorgia, 487a.
46 Virgilio, Eneide, V, 415-416: è un vecchio atleta che parla.
47 Marziale, X, 42, 12, che esprime in seconda persona, quod sis, le condizioni della felicità.
48 Tacito, Annali, VI, 46, o Svetonio, III, 68, che reca “trent’anni”.
49 Senofonte, Memorabili, IV, 7, 9.
50 Repubblica, III, 408de.
51 Orazio, Epodi, XVIII, 1, fingendo di rendere omaggio alla magia di Canidia.
52 I tedeschi ignoravano l’uso dei materassi, come Montaigne nota nel Journal, in occasione del suo passaggio a Lindau (10 ottobre 1580).
53 Non si trova nel Journal alcuna allusione all’incontro con questo tedesco ad Augsburg, dove Montaigne soggiornò dal 15 al 19 ottobre 1580; mentre vi si trovano le considerazioni che seguono sulle stufe (stanze riscaldate con stufe di terracotta) che Montaigne ebbe occasione di sperimentare durante il soggiorno a Baden (2-7 ottobre 1580).
54 Epistole, 90.
55 Il tedesco citato supra.
56 Plutarco, Quomodo adulator ab amico internoscatur, II, 50a.
57 Gli stoici; cfr. Plutarco, De communibus notitiis contra Stoicos, VIII, 1062a.
58 I celebri stampatori di Parigi e di Anversa.
59 Diogene Laerzio, IX, 81.
60 Epistole, 56.
61 Diogene Laerzio, II, 36.
62 Seneca, Epistole, 108; i pitagorici, di cui faceva parte Sestio, erano vegetariani.
63 Plutarco, De exilio, VIII, 602c, attribuisce questo precetto a Pitagora.
64 Giovenale, VI, 577, dove si tratta di una donna.
65 Plutarco, Vita di Filopemene, IV.
66 Per tutte queste usanze, cfr. il Journal, passim. Si sa che l’uso della forchetta era eccezionale in Francia nel XVI secolo, mentre era già diffuso in Italia.
67 Plutarco, De cohibenda ira, XIII, 461e.
68 Montaigne allude alle riunioni serali.
69 Plutarco, Vita di Cesare, XXI.
70 Seneca, Epistole, 92, sugli usi vestimentari.
71 È una delle ultime frasi di La Boétie, citata nel Discours sur la mort de M. de La Boétie, collocato da Montaigne alla fine della raccolta degli opuscoli di quest’ultimo (Paris, F. Morel, 1571).
72 Massimiano, Elegie, I, 155-156, sulle condizioni di vita dei vecchi.
73 Ibid., 247-248, sullo stesso tema.
74 Catullo, LXVIII, 133, a proposito della sua amata, Quam…
75 Orazio, Odi, III, 26, 2, nel costatare che ormai tutto ciò è passato.
76 Ovidio, Amores, III, 7, 26, ricordandosi che la sua amata gli ha fatto sostenere nove assalti in una breve notte: Exigere a nobis angusta nocte Corinnam / Me memini numeros sustinuisse novem.
77 Petronio, Satyricon, XXV.
78 Marziale, XI, 22, 7-8, su di una precocità sessuale provocata.
79 Verso di Santillana citato da Guevara, Epístolas familiares, lettera del 30 agosto 1528.
80 Medico di Enrico II.
81 È questo il nome francese del padovano Giulio Cesare Scaligero, che insegnò la medicina ad Agen.
82 Plutarco, De garrulitate, XXI, 513c: si tratta degli esordi di Carneade.
83 Quintiliano, Institutio oratoria, XI, 3, 40.
84 Cfr. Cicerone, Tusculanæ disputationes, III, 6.
85 Seneca, Epistole, 91.
86 Ovidio, Tristia, III, 8, 11: il desiderio è quello di possedere un carro magico per raggiungere Roma.
87 Repubblica, III, 408b.
88 Massimiano, Elegie, I, 171-174, per mostrare l’impotenza dei rimedi contro la vecchiaia.
89 Un pugile di cui parla Plutarco, De cohibenda ira, VIII, 457a.
90 Ovidio, Heroides, V, 8, dove un’amante irreprensibile si lamenta di essere stata abbandonata.
91 Cfr. II, II, p. 617, o II, XI, p. 753.
92 Nel Journal sono infatti frequenti le annotazioni di questo genere: quasi un diario clinico.
93 Le Sibille incidevano i loro oracoli su foglie di palma che poi disperdevano.
94 È questa la spiegazione della renella data da Ambroise Paré nel suo Traité des pierres.
95 Plutarco, De communibus notitiis contra Stoicos, XIII, 1065ad.
96 Platone, Fedone, 60b.
97 Allusione ironica al De senectute.
98 Leggi, VII, 808b, dove manca il paragone con l’eccesso nel bere.
99 Plutarco, Præcepta gerendæ reipublicæ, IV, 800d.
100 Repubblica, V, 466e, senza per questo svalutare le attività militari.
101 Virgilio, Eneide, II, 317, parole di Enea.
102 Seneca, Epistole, 96: incoraggiamento allo sforzo.
103 Orazio, Odi, III, 10, 19-20, lagnanza contro una bella rintanata in casa propria. Montaigne adatta il verso alla sua frase: Non hoc semper erit… (il mio corpo non lo sopporterà indefinitamente…).
104 Ovidio, Tristia, III, 8, 25, che immagina invece che il suo corpo deperisca per la tristezza (seu vitiant [o che lo affliggano]).
105 Giovenale, XIII, 162; nell’originale, proverbio per esprimere la banalità dei crimini.
106 Versi di una tragedia di Attico citati da Cicerone, De divinatione, I, 22, in questa forma: Rex, quæ… (Re, se quello che gli uomini…).
107 Timeo, 72a.
108 Cfr. Cicerone, De divinatione, I, 25.
109 Erodoto, IV, 184.
110 Cicerone, De divinatione, II, 58.
111 Diogene Laerzio, IX, 82.
112 Aulo Gellio, XV, 8, dove Favorino illustra queste raffinatezze che tuttavia disapprova.
113 Seneca, Epistole, 18, che distingue tra questi capricci e la vera frugalità.
114 Orazio, Epistole, I, 5, 2, invito in forma umoristica: si potes, nec times… (se puoi, e se non temi…).
115 Seneca, Epistole, 123.
116 Plutarco, Agide e Cleomene, XVIII-XIX.
117 Id., Vita di Flaminio, I; Vita di Pirro, VIII.
118 Svetonio, II, 74.
119 Erodoto, I, 32.
120 Diogene Laerzio, I, 93.
121 Cicerone, De senectute, XIX.
122 Timeo, 81e.
123 Cicerone, De senectute, XIX.
124 Seneca, Epistole, 18.
125 Di Venere con Bacco, cioè del piacere dell’amore con quello dei banchetti.
126 Seneca, Epistole, 19.
127 Plutarco, Septem sapientium convivium, II, 148a.
128 Svetonio, II, 77.
129 Demetrio. L’errore è dovuto a Erasmo, Adagi, II, 3, 1 che citava Plinio, XXVIII, 17.
130 Circa 75 cl, in cinque bicchieri da 15 cl.
131 Cfr. Ateneo, II, 7, 38c, che evoca “Anfitrione, re degli Ateniesi”.
132 Diogene Laerzio, VII, 183.
133 Plutarco, An virtus doceri possit, II, 439de.
134 Cfr. Protagora, 347c, dove questo discorso è attribuito a Socrate.
135 Secondo Aulo Gellio, XIII, 11.
136 Cicerone, Tusculanæ disputationes, V, 7.
137 Orazio, Epistole, I, 2, 54.
138 Cicerone, Tusculanæ disputationes, V, 17, poneva sui piatti di una bilancia immaginaria i beni temporali e i beni spirituali, e affermava che questi ultimi pesavano molto di più.
139 Diogene Laerzio, II, 90. Montaigne aggiunge il motivo citato: perché doppi, in quanto riguardano le due parti dell’uomo, e perché più veri, in quanto non falsati dall’immaginazione.
140 Etica a Nicomaco, III, 14 (1119a), che dichiara soltanto che questa insensibilità non è umana.
141 Cicerone, Academica, II (Lucullus), 45.
142 Sant’Agostino, Civitas Dei, VIII, 4, che non parla di misura media, ma attribuisce a Platone “il compimento della filosofia, grazie alla combinazione (iungendo) di entrambi”.
143 In quelli che si nascondono dietro la tenda come in quelli che si espongono.
144 Plutarco, Vita di Bruto, IV, con una confusione sull’epoca (ma cfr. XLIV).
145 Orazio, Odi, I, 7, 30-32: parole di Teucro che invita i suoi compagni al riposo.
146 L’espressione vino teologale si trova negli Adagi di Erasmo, e deriva forse dall’ammenda di due quarti di vino imposta in Sorbona agli studenti di teologia che nelle discussioni cercavano soltanto di brillare e ottenere gli applausi. Cfr. Estienne, Apologie pour Hérodote, XXII, t. II, p. 34.
147 Cicerone, De finibus, II, 8, che si limita a dichiarare che lo stoico Lelio non era tenuto dai precetti della sua setta a ignorare i piaceri dei sensi.
148 Cfr. Cornelio Nepote, XV, 1-2.
149 L’Africano, appassionato di filosofia (infra, secondo Tito Livio, XIX, 9), confuso qui con Scipione Emiliano, che gioca a raccogliere correndo una serie di oggetti; cfr. Cicerone, De oratore, II, 6.
150 Cfr. I, XL, nota 3.
151 Montaigne continua a confondere i due Scipioni. Qui si tratta dell’Africano.
152 Senofonte, Simposio, II, 16-19.
153 Segue una combinazione di prestiti attinti da Platone (Simposio, 219e-221c), Diogene Laerzio (II, 22 sgg.) e, sul soccorso offerto a Teramene, da Diodoro Siculo (XIV, 5).
154 Cfr. Diogene Laerzio, VIII, 88, per la sua concezione del bene supremo; i suoi compagni potrebbe designare gli epicurei, benché non appartenesse alla loro scuola.
155 Cicerone, Tusculanæ disputationes, IV, 31.
156 Qualcosa che non è auspicabile evitare (e non qualcosa di inevitabile).
157 Leggi, I, 633cd, e per l’immagine delle due fontane: 636de.
158 Seneca, Epistole, 15, dove cita Epicuro.
159 Virgilio, Eneide, X, 641-642.
160 Arriano, Anabasi di Alessandro, V, 26.
161 Lucano, II, 637, a proposito di Cesare.
162 Seneca, Epistole, 119, citando Catone.
163 Plutarco, Septem sapientium convivium, XIV, 157d, con una certa ironia.
164 Cicerone, De finibus, III, 6: testo originale abbreviato.
165 Intraducibile equivoco intorno alla parola droit, significante a un tempo “diritto” e “membro virile”.
166 Sulla gerarchia dei piaceri, cfr. Platone, Repubblica, IX, 585ae.
167 Cicerone, De finibus, V, 16.
168 Simonide. Cfr. il detto citato da Platone, Leggi, VII, 818b.
169 Sant’Agostino, Civitas Dei, XIV, 5, contro i manichei e i neoplatonici.
170 Seneca, Epistole, 74.
171 Allusione all’entusiasmo di Archimede per la scoperta del suo principio idrostatico.
172 Tra di noi che non godiamo di questo statuto privilegiato.
173 Termine simmetrico a supercelesti, è un’iperbole di “terrestri” (peggiorativo secondo l’opposizione tra terra e cielo).
174 Massimo Planude, Vita di Esopo.
175 Secondo Quinto Curzio Rufo, VI, 9, 18, risposta citata da Alessandro come malevola quando fece accusare Filota di complotto.
176 Orazio, Odi, III, 6, 5, rivolgendosi al popolo romano all’epoca della restaurazione religiosa intrapresa da Augusto.
177 Plutarco, Vita di Pompeo, XLII, brano messo in versi da Amyot.
178 Apollo.
179 Orazio, Odi, I, 31, 17, invocazione ad Apollo (quel dio protettore).
Postilla. Le prime pagine abbozzano una critica dell’induzione empirica fondata sulle somiglianze tra i fenomeni; come esempio delle aberrazioni che ne derivano viene citata la giurisprudenza, che tratta casi considerati simili e li codifica in leggi inapplicabili alla realtà, se non distorcendole, e per di più inique (pp. 1981-1997). Giunge così a compimento quel processo dei saperi istruito nel corso dell’Apologia di Raymond Sebond e continuato nell’ultimo capitolo del libro II. A corollario, Montaigne rivendica, come fondamento della saggezza, una conoscenza di sé in quanto essere singolo (p. 1999), prima nella forma di ignoranza socratica cosciente di se stessa (pp. 1999-2007), poi in quella della sua stessa esperienza, di cui espone dettagliatamente le conquiste relative alla salute del corpo (pp. 2009 sgg.): la maggior parte del capitolo è costituita da informazioni minuziose sulle sue abitudini e comportamenti, registrati alla maniera di un “regime” ippocratico, ma come scelte spontanee che escludono qualunque prescrizione che lo distoglierebbe artificialmente dal suo modo di vivere. Ma questo è solo il tema del saggio che si realizza retrospettivamente nelle ultime pagine dove Montaigne legittima il suo consenso ai bisogni e piaceri del corpo, precisato nella scelta di descriverli, protestando contro l’inumana sapienza che ne raccomanda il disprezzo (p. 2065). Alla gerarchia interna e alla coercizione richieste dalle ascesi spiritualiste sostituisce il principio di una regolazione mediante la coscienza di sé: il filosofo prende atto delle sollecitazioni del suo spirito e del suo corpo e le controlla, pur restando come in disparte rispetto ai loro eventuali conflitti. È quanto illustrava già il repertorio dei sofismi dello “spirito”, che spiega al soggetto sofferente i vantaggi della renella (p. 2033): repertorio redatto da uno scrittore ironico che, col sostegno di argomenti e forti e deboli (p. 2041) sparsi in altri luoghi dei Saggi, lascia intravedere, regolando il gioco, l’istanza sovrana che ne accetta le virtù sedative (cfr. I, XIV, p. 115) senza rinunciare alla sua lucidità e alle sue esitazioni. L’esempio umoristico vale per tutto il testo: invita a cogliere, in controcampo rispetto a ciascuno dei tratti di comportamento censiti, sia lo sguardo che l’osserva con distacco sia la riflessione che lo motiva e l’assume; proprio quel che realizza la scrittura stessa del saggio. L’etica della regolazione che ne procede instaura l’autonomia del soggetto cosciente, come unica alternativa ai sistemi di eteronomia rappresentati all’inizio del capitolo sotto forma di leggi (coercitive in virtù dello pseudosapere con cui mascherano la loro arbitrarietà), e alla fine sotto quella degli ideali disincarnati che mutilano l’uomo. A questo soggetto liberato dalle illusioni e dalle ingiunzioni, che ha saputo raggiungere la perfezione assoluta, e quasi divina, [di] saper godere lealmente del proprio essere (p. 2085), essa assicura la serenità, impressa nell’ultima meditazione sull’arte di assaporare ogni momento, anche nel declino, con la speranza di poter modulare gli accordi del pensiero e della vita sino al momento del silenzio finale (ibid.).